Le illusioni dell’amore paterno

Le illusioni dell’amore paterno non sono minori di queste; molte figlie considerano il padre solo come il vecchio che lascia loro il suo patrimonio. Lungi dall’essere un’occasione perché si parlasse ancora, qualche volta, di suo padre, la presenza di Gilberte in un salotto impediva di cogliere quelle, sempre più rare, che avrebbero consentito di farlo. Anche a proposito delle parole che aveva dette, degli oggetti che aveva regalati, si prese l’abitudine di non nominarlo più, e colei che avrebbe dovuto rinfrescare, se non perpetuare, la sua memoria, fu quella che portò a compimento l’opera della morte e dell’oblio.

Marcel Proust, Albertine scomparsa II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

L’abitudine e i suoi segretari

Quando Albertine se ne andò, ricordai d’aver promesso a Swann che avrei scritto a Gilberte, e mi sembrò più gentile farlo subito. Fu senza emozione, e come mettendo l’ultima riga a un noioso compito di scuola, che tracciai sulla busta il nome – Gilberte Swann – di cui, tempo addietro, coprivo le pagine dei miei quaderni per regalarmi l’illusione d’essere in corrispondenza con lei. È che allora ero io a scriverlo, quel nome, mentre adesso l’abitudine ne aveva demandato il compito a uno dei segretari di cui si circonda. Costui poteva scrivere il nome di Gilberte con assoluta calma perché, collocato di recente in casa mia dall’abitudine, entrato di recente al mio servizio, non avendo mai conosciuto Gilberte, sapeva tutt’al più, senza far aderire a queste parole alcuna realtà, e solo per avermene sentito parlare, che era una fanciulla di cui ero stato innamorato.

M. Proust, Sodoma e Gomorra II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Proust al lycée Condorcet

Proust (a sinistra nella fila centrale) al liceo Condorcet

Ritratto di Gilberte Swann

Nel volto di Gilberte, accanto al naso di Odette perfettamente riprodotto, la pelle si sollevava per esibire intatti i due nei di Swann. Una nuova varietà di Madame Swann era stata ottenuta e si trovava lì al suo fianco, come un lillà bianco vicino a un lillà viola. Non bisogna però figurarsi che il confine tra le due somiglianze fosse netto, assoluto. A tratti, quando Gilberte rideva, si scorgeva l’ovale del padre dentro il volto della madre, come se qualcuno li avesse messi insieme per vedere l’esito del miscuglio; l’ovale si precisava nel modo in cui si forma un embrione: s’allungava obliquamente, si gonfiava, un istante dopo era scomparso. Negli occhi di Gilberte c’era lo sguardo franco e buono del padre; lo stesso con cui mi aveva fissato dandomi la biglia d’agata e dicendomi: “Tenetela in ricordo della nostra amicizia”. Ma appena s’interrogava Gilberte su quel che avesse fatto, subito, in quegli stessi occhi, apparivano l’imbarazzo, l’incertezza, la dissimulazione, la tristezza di Odette quando, un tempo, Swann le chiedeva dove fosse stata e lei gli dava una di quelle risposte menzognere che costernavano l’amante e che ora, al marito prudente e non curioso, facevano cambiare bruscamente discorso. Spesso, ai Champs-Élysées, cogliere quello sguardo in Gilberte mi aveva turbato. Ma, il più delle volte, non ce n’era motivo. In lei, sopravvivenza puramente fisica della madre, quello sguardo – almeno quello – non corrispondeva più a niente. Quando era andata a scuola, quando doveva tornare a casa per una lezione, le pupille di Gilberte eseguivano il movimento che, in passato, nasceva negli occhi di Odette dalla paura di rivelare che durante la giornata aveva ricevuto uno dei suoi amanti, o che aveva fretta di recarsi a un appuntamento. Così si vedevano quelle due nature – di Swann e di sua moglie – ondeggiare, rifluire, sconfinare alternativamente l’una sull’altra nel corpo di quella Melusina.

M. Proust, Intorno a Madame Swann

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

(The Year of Reading Proust)

Le sue labbra parvero spogliarmi

E venne anche un giorno in cui mi disse: “Sapete, potete chiamarmi Gilberte, io, comunque, vi chiamerò col nome di battesimo. Così è troppo imbarazzante”. Ancora per un poco, tuttavia, continuò a dirmi semplicemente “voi” e, come glielo feci notare, sorrise, e componendo, costruendo una frase simile a quelle che, nelle grammatiche straniere, hanno l’unico scopo di farci usare un nuovo vocabolo, la terminò col mio nome di battesimo. Ricordando, più tardi, quel che provai allora, vi ho isolato l’impressione di essere stato tenuto, io stesso, per un istante, nella sua bocca, nudo, senza più nessuna delle connotazioni sociali che appartenevano, anche, sia agli altri suoi compagni sia, quando pronunciava il mio cognome, ai miei genitori, e delle quali le sue labbra – nello sforzo che faceva, un po’ come suo padre, per articolare le parole che voleva mettere in risalto – parvero spogliarmi, svestirmi, come della buccia un frutto di cui non si mangia che la polpa, mentre il suo sguardo, allineandosi al nuovo livello d’intimità assunto dall’eloquio, mi raggiungeva a sua volta più direttamente, non senza testimoniare, la consapevolezza, il piacere e persino la gratitudine che ne traeva.

M. Proust, Nomi di paesi: il nome

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Intorno a Gilberte Swann

“Addio, Gilberte, io vado a casa, non dimenticare che stasera dopo pranzo veniamo da te”. Quel nome, Gilberte, mi passò accanto, tanto più evocatore dell’esistenza di colei che designava in quanto non la nominava soltanto come si nomina un assente, ma l’interpellava; mi passò dunque accanto, per così dire, in piena azione, con una potenza accresciuta dalla traiettoria del lancio e dal suo avvicinarsi alla meta; – portando con sé, lo sentivo, la conoscenza, le nozioni concernenti la sua destinataria che non io, ma l’amica che l’aveva chiamata possedeva, tutto ciò che questa, nel pronunciare quel nome, rivedeva o, perlomeno, custodiva nella memoria, della loro intimità quotidiana, delle visite che si facevano l’un l’altra, tutto l’ignoto reso per me ancor più inaccessibile e doloroso dal fatto d’essere invece così familiare e a portata di mano per quella ragazzina felice che me lo faceva lambire dentro un grido.

E già Gilberte mi correva velocemente incontro, arrossata e sfavillante sotto un berretto quadrato di pelliccia, animata dal freddo, dal ritardo e dal desiderio di giocare sul ghiaccio e, forse per mantenere meglio l’equilibrio, o perché le sembrava più grazioso, o per imitare la posa di una pattinatrice, avanzava sorridendo a braccia spalancate, come se tra quelle avesse voluto accogliermi.

Cresceva la mia fiducia nella vitalità e nel futuro della nostra amicizia, che restava vivace in mezzo al torpore e alla rovina delle cose che ci circondavano; e mentre lei mi ficcava delle manciate di neve nel colletto, io sorridevo commosso a quella che mi appariva al tempo stesso come una predilezione manifestata da Gilberte tollerandomi come compagno di viaggio in quel paese invernale e sconosciuto, e come una sorta di fedeltà conservatami nel cuore della sventura. Presto, una dopo l’altra, come passerotti esitanti, arrivarono le sue amiche, tutte nere sulla neve.

M. Proust, Nomi di paesi: il nome

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Marcel Proust - Richard Lindner - WikiArt.org

Richard Lindner, Marcel Proust

[Jacques Dubois, Le Roman de Gilberte Swann]