Il violoncellista e l’arpista

Li guardai, gli esecutori. Il violoncellista dominava lo strumento, che teneva fra le ginocchia, inchinando la testa cui dei tratti volgari davano, negli istanti di manierismo, un’involontaria espressione di disgusto; si chinava sul suo strumento, lo palpava con la stessa pazienza domestica che se avesse mondato un cavolo, mentre accanto l’arpista ancor bambina, in vestina corta, superata dai raggi orizzontali del quadrilatero d’oro, simili a quelli che, nella camera magica d’una sibilla, configurassero arbitrariamente l’etere secondo le forme consacrate, sembrava vi andasse a cercare qua e là, al punto stabilito, un suono delizioso, allo stesso modo in cui, piccola dea allegorica ritta dinnanzi alla griglia d’oro della volta celeste, vi avrebbe colto, una ad una, le stelle.

Marcel Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori