I diminuendo e la regola dei tre aggettivi

La vecchia marchesa m’aveva scritto una di quelle sue lettere la cui scrittura si riconosceva fra mille. Mi diceva: “Portate con voi la vostra deliziosa – incantevole simpatica cugina. Sarà un’estasi, un piacere”, fallendo sempre e in modo così immancabile la progressione di cui il destinatario delle lettere era sempre in attesa, che finii col cambiare idea sulla natura di quei diminuendo, col crederli voluti, riscontrandovi la stessa depravazione del gusto – trasposta sul piano della mondanità – che induceva Sainte-Beuve a spezzare ogni parentela fra le parole, ad alterare ogni espressione appena abituale. Due metodi, appresi senza dubbio da maestri diversi, si fronteggiavano l’un l’altro nello stile epistolare di Madame de Cambremer, e il secondo faceva sì che la marchesa riscattasse la banalità degli aggettivi multipli impiegandoli in una gamma discendente, evitando di chiudere sull’accordo perfetto. In compenso, ero incline a vedere in tali gradazioni inverse, non più una raffinatezza, come quando erano opera della marchesa madre, ma una semplice goffaggine, ogni volta che a usarle erano il marchese suo figlio o le sue cugine. In tutta la famiglia, infatti, sino a un grado di parentela abbastanza remoto, e in virtù di un’imitazione ammirativa di zia Zélia, la regola dei tre aggettivi era talmente onorata, così come un certo modo entusiastico di riprendere fiato parlando. Imitazione passata nel sangue, d’altronde; e quando, in famiglia, una bambina ancora piccolissima, parlando, faceva una pausa per inghiottire la saliva, si commentava: “Ha preso da zia Zélia”; si capiva bene che, fra non molto, le sue labbra avrebbero cominciato a ombreggiarsi d’una leggera peluria, e ci si riprometteva di coltivare in lei le immancabili disposizioni alla musica.

M. Proust, Sodoma e Gomorra II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori