Il ricordo, le idee, l’amicizia

Se, scendendo la scala, avevo rivissuto le sere di Doncières, quando fummo per strada, di colpo, la notte quasi fonda, dove la nebbia sembrava aver spento i lampioni che si scorgevano, fiochi, soltanto da due passi, mi riportò a non so quale arrivo, di sera, a Combray, quando ancora la città non era illuminata che a larghi intervalli e vi si vagava a tentoni in un’oscurità umida, tiepida e santa da presepio, appena costellata, qua e là, da qualche lumicino che non rischiarava più d’un cero. Quante differenze fra quell’anno, per altro incerto, di Combray, e le serate di Rivebelle, che mi erano riapparse poco prima sullo sfondo delle tende! Provavo, nel riscontrarle, un entusiasmo che sarebbe potuto riuscire fecondo se fossi stato solo, e m’avrebbe così evitato il giro tortuoso di tanti anni inutili per i quali sarei ancora dovuto passare prima che si dichiarasse l’invisibile vocazione di cui quest’opera è la storia. Se, quella sera, ciò si fosse verificato, la vettura su cui ero salito avrebbe meritato di restare più memorabile, per me, di quella del dottor Percepied, sul cui seggiolino avevo composto la breve descrizione (ritrovata per l’appunto poco tempo prima, e inutilmente inviata, con qualche ritocco, al “Figaro”) dei campanili di Martinville. È perché, forse, non riviviamo i nostri anni nella loro successione ininterrotta, giorno dopo giorno, ma nel ricordo rappreso nella freschezza o nel gran sole d’una mattina o d’una sera, all’ombra di quel certo luogo isolato, recintato, immobile, definito e perduto, lontano da tutto il resto, e perché così i cambiamenti graduali intervenuti non soltanto all’esterno, ma anche nei nostri sogni e nel nostro carattere in evoluzione – quei cambiamenti che ci hanno insensibilmente portati, nella vita, da un tempo a un altro affatto diverso -, si trovano ad essere soppressi – è per questo, forse, che se riviviamo un altro ricordo, prelevato in un diverso anno, troviamo fra questo e quello, grazie a delle lacune, a degli immensi lembi dell’oblio, come l’abisso d’una differenza d’altitudine, come l’incompatibilità di due qualità incomparabili d’atmosfera respirata e di colorazioni ambientali. Ma fra i ricordi, allora appena succedutisi, di Combray, di Doncières e di Rivebelle, io avvertivo ben più d’una distanza temporale: la distanza che potrebbe esserci fra differenti universi la cui materia non fosse la stessa. Se avessi voluto, in un’opera, imitare quella nella quale m’apparivano cesellati i più insignificanti fra i miei ricordi di Rivebelle, avrei dovuto venare di rosa, rendere di colpo traslucida, compatta, rinfrescante e sonora, una sostanza sino a quel momento simile alla scura, rude arenaria di Combray. Ma Robert, impartite le sue istruzioni al vetturino, mi raggiunse nella carrozza. Le idee che m’erano balenate svanirono. Sono dee che si degnano, qualche volta, di rendersi visibili a un solitario mortale, alla svolta d’un sentiero, o magari in camera sua, mentre sta dormendo, e gli recano, ritte nel riquadro della porta, la loro annunciazione. Ma, non appena si è in due, spariscono; mai gli uomini le scorgono in compagnia. E mi ritrovai ricacciato nell’amicizia.

M. Proust, La parte di Guermantes II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

I lampioni nelle notti dipinte - Didatticarte