La conquista mentale, in tutto simile al possesso fisico

Lasciata la chiesa, davanti al vecchio ponte vidi alcune ragazze del villaggio le quali – verosimilmente perché era domenica – se ne stavano là agghindate e apostrofavano i ragazzi di passaggio. Meno in ghingheri delle altre, ma con l’aria di dominarle grazie a qualche suo ascendente (giacché rispondeva appena a quello che le dicevano), composta in un atteggiamento più serio, più volitivo, una ragazzina slanciata era per metà seduta sulla spalletta del ponte, le gambe penzoloni, e davanti a sé teneva un barattolo pieno di pesci che, probabilmente, aveva appena pescati. La sua pelle era abbronzata, gli occhi dolci – ma lo sguardo sembrava disdegnare ciò che la circondava -, il naso piccolo e di forma delicata. I miei sguardi indugiavano su quella pelle, e le mie labbra, a rigore, potevano credere d’averli seguiti. Non era solo il suo corpo, tuttavia, che avrei voluto raggiungere, ma anche la persona che viveva in esso – e, quella, c’è un modo solo per toccarla: attirare la sua attenzione, un modo solo per penetrarla: risvegliarvi un’idea. E appunto, quell’essere interiore della bella pescatrice mi sembrava ancora inaccessibile; rimasi incerto se vi fossi o no entrato anche dopo aver visto la mia immagine riflettersi furtivamente nello specchio del suo sguardo, secondo un indice di rifrazione a me altrettanto sconosciuto che se fossi capitato nel campo visivo di una cerbiatta. Tuttavia, come non mi sarebbe bastato che le mie labbra prendessero piacere dalle sue senza che gliene dessero in cambio, così avrei voluto che l’idea della mia persona, insinuandosi, aggrappandosi a quell’essere, mi procurasse, oltre alla sua attenzione, anche la sua ammirazione, il suo desiderio, e lo costringesse a ricordarsi di me fin quando non mi fosse stato possibile rivederlo. Ma ecco, a pochi passi, la piazza dov’era inteso che la carrozza di Madame de Villeparisis mi avrebbe aspettato. Non mi restava che un istante; e già sentivo che le ragazze stavano scoppiando a ridere vedendomi così bloccato. Avevo in tasca cinque franchi. Li tirai fuori, e prima ancora di spiegare alla bella fanciulla la commissione di cui l’incaricavo, per aumentare le probabilità di ascolto da parte sua le tenni per un attimo la moneta davanti agli occhi:

– Voi che mi sembrate del posto, dissi alla pescatrice, avreste la bontà di farmi una piccola cortesia? Bisognerebbe andare davanti a una pasticceria che si trova, mi dicono, in una piazza, io però non so arrivarci, dove c’è una carrozza che mi sta aspettando. Un momento!…per non scambiarla con un’altra, dovrete chiedere se è la carrozza della marchesa di Villeparisis. Del resto la riconoscerete facilmente, ha due cavalli.

Era quanto volevo comunicarle perché si facesse di me un’opinione grandiosa. Ma, appena pronunciate le parole “marchesa” e “due cavalli”, provai subito un gran sollievo. Compresi che la pescatrice mi avrebbe ricordato, e assieme al mio timore di non poterla più rivedere sentii dissolversi una parte del mio desiderio di rivederla. Mi sembrava di averla toccata con labbra invisibili, e di esserle piaciuto. E questa conquista mentale, questo immateriale possesso, aveva intaccato il suo mistero con la stessa efficacia del possesso fisico…

M. Proust, Nomi di paesi: il paese

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori