Lo scrittore

Infatti, mosso dal suo istinto, lo scrittore, assai prima di sapere che sarebbe diventato tale, tralasciava regolarmente di guardare una quantità di cose che gli altri osservano con attenzione, ragione per cui gli altri lo accusavano di distrazione e lui stesso si accusava di non saper ascoltare né vedere; mentre per tutto quel tempo egli dettava ai propri occhi e alle proprie orecchie di ricordare per sempre cose che agli altri sembravano puerili piccolezze, l’accento con cui era stata pronunciata una frase, l’espressione del viso, il movimento delle spalle fatto a un certo punto, parecchi anni prima, da una persona di cui magari non sa nient’altro, e questo perché quell’accento l’aveva già sentito o intuito che avrebbe potuto risentirlo, che era qualcosa di rinnovabile, di durevole; è lo stesso senso della generalità a scegliere, nello scrittore, ciò che è generale e potrà entrare nell’opera d’arte. Perché li ha ascoltati, gli altri, solo quando, per stupidi o pazzi che fossero, ripetendo come pappagalli quanto dicono le persone della medesima natura, si erano fatti per ciò stesso gli uccelli profeti, i portavoce d’una legge psicologica. Non ricorda altro che il generale. Attraverso quegli accenti, quei movimenti fisiognomici, anche se visti nella sua infanzia più remota, la vita degli altri è rappresentata in lui; e quando, più tardi, si metterà a scrivere, comporrà con un movimento delle spalle comune a molti, vero come se fosse annotato sul quaderno d’un anatomista, ma atto ad esprimerla, una verità psicologica; e innesterà su quelle spalle un movimento del collo fatto da un altro, in modo che ciascuno avrà collaborato con il suo istante di posa.

Marcel Proust, Il Tempo ritrovato

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori