Madame d’Arpajon

Sembrava che respingesse a stento, come una nuotatrice appesantita che vede ormai la riva a una distanza remota, i flutti del tempo che la sommergevano. A poco a poco, tuttavia, a forza di guardare il suo volto esitante, incerto come una memoria infedele che non riesce più a trattenere le forme del passato, riuscii a ritrovarne qualche tratto, ricorrendo al piccolo gioco d’eliminare i quadrati, gli esagoni che il tempo aveva tracciato sulle sue guance. Non sempre, d’altronde, esso metteva sulle guance delle donne soltanto delle figure geometriche. Su quelle, pur rimaste tanto simili, della duchessa di Guermantes, ma composite ora come un torrone, distinsi una traccia di verderame, una piccola porzione rosa di conchiglia tritata, una sporgenza difficile da definire, più piccola d’una pallina di vischio e meno trasparente d’una perla di vetro.

Marcel Proust, Il Tempo ritrovato

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori