Se la nostra vita è vagabonda la nostra memoria è sedentaria

[…] perché se la nostra vita è vagabonda la nostra memoria è sedentaria, e per quanto noi ci slanciamo senza sosta i nostri ricordi restano inchiodati, loro, ai luoghi da cui ci stacchiamo, continuano a combinarvi la loro vita casalinga, come gli amici momentanei che il viaggiatore si è fatti in una città ed è costretto ad abbandonare quando la lascia, perché è lì che loro, che non partono, finiranno la loro giornata e la loro vita come se lui ci fosse ancora, accanto alla chiesa, davanti al porto, sotto gli alberi del corso.

Marcel Proust, Il Tempo ritrovato

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Pronunciai allora la parola “morte”

So che pronunciai allora la parola “morte”, come se Albertine stesse per morire. Sembra che gli avvenimenti siano più vasti del momento in cui si verificano, e che questo non possa contenerli per intero. Certo è che essi debordano sul futuro grazie alla memoria che ne serbiamo, ma domandano un posto anche al tempo che li precede. Si dirà certo che noi, allora, non li vediamo quali saranno; ma non sono forse ugualmente modificati nel ricordo?

Marcel Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

I ricordi d’amore, la memoria, l’abitudine

Ora, i ricordi d’amore non fanno eccezione rispetto alle leggi generali della memoria, a loro volta regolate dalle più generali leggi dell’abitudine. Poiché questa affievolisce tutto, quel che più ci ricorda una persona è proprio ciò che avevamo dimenticato (parendoci insignificante, gli abbiamo lasciata intatta la sua forza). Ecco perché la parte migliore della nostra memoria è fuori di noi, in un soffio piovoso, nell’odore di chiuso d’una stanza o nell’odore d’una prima fiammata, ovunque ritroviamo quanto di noi stessi la nostra intelligenza, incapace di servirsene, aveva disprezzato, l’estrema riserva del passato, la migliore, quella che, quando tutte le nostre lacrime sembrano disseccate, sa farci piangere ancora. Fuori di noi? Per essere più precisi, dentro di noi, ma sottratta ai nostri stessi sguardi, immersa in un oblio più o meno prolungato. Solo grazie a questo oblio possiamo, di tanto in tanto, ritrovare l’essere che siamo stati, metterci di fronte alle cose nella stessa posizione in cui era quell’essere, soffrire di nuovo, perché non siamo più noi, ma lui, e lui amava quello che oggi ci è indifferente.

M. Proust, Nomi di paesi: il paese

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori