Brichot e l’ostilità del piccolo clan

Erano proprio le cose che imparavo da Brichot a interessarmi. Quanto a ciò che s’usava chiamare il suo spirito, era esattamente lo stesso che nel piccolo clan, un tempo, era stato tanto apprezzato. Parlava con la stessa irritante facilità, ma le sue parole non coglievano più nel segno, dovevano vincere un silenzio ostile o spiacevoli echi; ciò ch’era mutato non era la sua conversazione, ma l’acustica del salotto e gli umori del pubblico. “Attento!” disse a mezza voce Madame Verdurin indicando Brichot. Lo studioso, il cui udito era rimasto più penetrante della vista, gettò sulla Padrona uno sguardo, subito distolto, di miope e di filosofo. Se i suoi occhi erano meno efficienti, quelli della sua intelligenza, in compenso, spaziavano più largamente sulle cose. Vedeva quanto poco ci si può aspettare dagli affetti umani, vi si era rassegnato. Ne soffriva, certamente. Anche a chi, in un ambiente dove è abituato a piacere, intuisce che in una certa sera, e solo in quella, lo si è giudicato troppo frivolo, o troppo pedante, o troppo goffo, o troppo disinvolto, ecc., succede di tornare a casa in preda all’infelicità. Spesso è per una questione d’opinioni, di sistema, ch’egli è parso a certi altri stolido o fuori moda. Spesso, sa perfettamente che questi altri non lo valgono. Potrebbe facilmente dissezionare i sofismi in base ai quali lo si è tacitamente condannato, pensa di fare una visita, di scrivere una lettera; più saggio, non fa nulla, aspetta l’invito della settimana successiva. A volte, anche, queste “disgrazie”, anziché concludersi in una serata, durano mesi. Nate dall’instabilità dei giudizi mondani, contribuiscono ad accrescerla ulteriormente. Infatti, uno che sa d’essere disprezzato da Madame X, sentendo che da Madame Y, invece, lo si stima, dichiara la superiorità della seconda ed emigra nel suo salotto. D’altronde, non è questa la sede per dipingere uomini di tale natura, superiori alla vita mondana ma incapaci di realizzarsi al di fuori di essa, felici d’essere ricevuti, inaspriti dal sentirsi misconosciuti, portati a scoprire anno dopo anno i difetti della padrona di casa che incensavano e il genio di quella che non avevano apprezzata nel suo giusto valore, salvo tornare ai loro primi amori quando avranno patito gli inconvenienti che anche i secondi presentavano, e avranno un po’ dimenticato quelli dei primi. Si può capire, sul metro di queste rapide disgrazie, quale dispiacere provasse Brichot per la sua, che sapeva definitiva.

M. Proust, Sodoma e Gomorra II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Gli antropofagi

“Ero alla Ch…, alla Che… – Che, che, cercate di parlare chiaro, disse il signor Verdurin, non riesco neanche a sentirvi”. Quasi nessuno dei fedeli tratteneva le risa, sembravano una banda di antropofagi nei quali una ferita inferta a un bianco avesse risvegliato il gusto del sangue. L’istinto di imitazione e l’assenza di coraggio governano, infatti, sia le società che le folle. E tutti ridono di qualcuno che vedano schernito da qualcun altro, salvo venerarlo dieci anni dopo in una cerchia dove sia ammirato. È in questo modo che il popolo scaccia o acclama i re.

M. Proust, Sodoma e Gomorra II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori