Quelle carezze

Rivedevo Albertine seduta alla pianola, rosa sotto i capelli neri; sentivo sulle mie labbra che cercava di schiudere la sua lingua, la sua lingua materna, incommestibile, nutritiva e santa la cui fiamma e la cui rugiada segrete facevano sì che persino quando Albertine si limitava a farla scivolare sulla superficie del mio collo, del mio ventre, quelle carezze superficiali ma in qualche modo scaturite dall’interno della sua carne, rovesciata in fuori come una stoffa che mostri la propria fodera, assumessero anche nei toccamenti più esterni la misteriosa dolcezza d’una penetrazione.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori