Il signor di Charlus, un efebo

Adesso, l’astratto s’era materializzato; l’essere, finalmente capito, aveva perso di colpo il potere di rimanere invisibile, e la metamorfosi del signor di Charlus in una nuova persona era così completa che non solo i contrasti del suo viso, della sua voce, ma anche, gli alti e bassi dei suoi rapporti con me, tutto ciò che, fino a quel momento, il mio intelletto aveva trovato incoerente, diventava intelligibile, appariva evidente, così come una frase che non offriva alcun senso finché restava scomposta in lettere sparse a casaccio esprime, non appena i caratteri vengano rimessi nella giusta successione, un pensiero che non potremo più dimenticare. Capivo anche, adesso, come avessi potuto pensare, vedendolo uscire poco prima dall’abitazione di Madame de Villeparisis, che il signor di Charlus sembrava una donna: in effetti, era una donna! Apparteneva alla razza di quegli esseri – meno contraddittorî di quanto non appaiano – il cui ideale è virile proprio perché il loro temperamento è femminile, e che sono nella vita, ma solo in apparenza, simili agli altri uomini; là dove per ciascuno, inscritta negli occhi attraverso i quali vede tutte le cose del mondo, cesellata sulla faccetta della pupilla, vi è la silhouette d’un corpo, loro non hanno quella d’una ninfa, ma d’un efebo. Razza su cui pesa una maledizione, costretta a vivere nella menzogna e nello spergiuro perché sa che il suo desiderio – ciò che costituisce per ogni creatura la suprema dolcezza del vivere – è considerato punibile e vergognoso, inconfessabile; costretta a rinnegare il proprio Dio, giacché, se anche siano cristiani, quando compaiono in veste d’imputati alla sbarra del tribunale, devono, davanti al Cristo e al suo nome, difendersi come da una calunnia da ciò che è la loro stessa vita; figli senza madre, cui sono obbligati a mentire persino al momento di chiuderle gli occhi; amici senza amicizie, malgrado tutte quelle che il loro fascino sovente riconosciuto può far nascere e che il loro cuore, non di rado buono, saprebbe provare; ma è lecito chiamare amicizie le relazioni che vegetano solo col favore d’una menzogna e dalle quali il primo slancio di confidenza e di sincerità cui fossero tentati d’abbandonarsi li farebbe respingere con disgusto, a meno che non avessero a che fare con uno spirito imparziale, se non addirittura simpatetico, che in tal caso, tuttavia fuorviato nei loro confronti da una psicologia convenzionale, attribuirebbe al vizio confessato anche l’affetto che gli è più estraneo, allo stesso modo che certi giudici suppongono e giustificano più facilmente l’assassinio negli invertiti e il tradimento negli ebrei, per ragioni tratte dal peccato originale e dalla fatalità della razza? E infine – almeno secondo la prima teoria ch’io ne abbozzavo allora, destinata, come si vedrà, a modificarsi più tardi, e nella quale proprio questo elemento li avrebbe più d’ogni altra cosa urtati se la contraddizione non fosse stata sottratta ai loro occhi dall’illusione stessa che li faceva vedere e vivere – amanti ai quali è pressoché preclusa la possibilità di quell’amore la cui speranza dà loro la forza di sopportare tanti rischi e solitudini, giacché s’innamorano appunto d’un uomo che non ha nulla della donna, d’un uomo che non è invertito e che, dunque, non può amarli, così che il loro desiderio sarebbe perennemente inappagabile se il denaro non facesse cadere fra le loro braccia dei veri uomini, e se l’immaginazione non gli facesse scambiare per veri uomini gli invertiti cui essi stessi si sono prostituiti.

M. Proust, Sodoma e Gomorra I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Il signor di Charlus

In alcune donne di grande bellezza e di raffinata cultura i cui antenati, due secoli prima, avevano partecipato di tutta la gloria e l’eleganza dell’ancien régime, egli scorgeva una distinzione grazie alla quale si trovava a suo agio solo in loro compagnia, e non c’è dubbio che fosse, la sua, un’ammirazione sincera, ma vi contribuiva in gran parte una quantità di reminiscenze storiche e artistiche evocate dai loro nomi, così come i ricordi dell’antichità sono tra le cause del piacere che un letterato prova leggendo un’ode di Orazio di per sé inferiore, forse, a certe poesie del nostro tempo che lo lascerebbero indifferente. Confrontata con una graziosa borghese, ciascuna di quelle donne era per lui ciò che sono, rispetto a un quadro contemporaneo raffigurante una strada o una scena di nozze, i dipinti antichi di cui si conosce tutta la storia, cominciando dal papa o dal re che ne furono i committenti e continuando con questo o quel personaggio accanto al quale la loro presenza, a titolo di regalo, acquisto, preda o eredità, ci ricorda qualche avvenimento o, perlomeno, qualche matrimonio storicamente rilevante e, dunque, delle cognizioni da tempo acquisite, cui conferisce una nuova utilità intensificando il senso della ricchezza della nostra memoria o erudizione. Il signor di Charlus si rallegrava all’idea che un pregiudizio analogo al suo, impedendo a queste grandi dame di frequentare donne di sangue meno puro, le offrisse al suo culto intatte nella loro inalterata nobiltà, come una di quelle facciate settecentesche, sostenute da colonne piatte di marmo rosa, che i nuovi tempo non hanno mutato in nulla.

M. Proust, Nomi di paesi: il paese

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori