Nuovi io

Il nuovo essere che avrebbe sopportato facilmente di vivere senza Albertine aveva già fatto la sua comparsa in me, dal momento che, in casa di Madame de Guermantes, avevo potuto parlare di lei con parole accorate, ma senza sofferenza profonda. Il possibile sopraggiungere di questi nuovi io, il cui nome sarebbe stato diverso dal precedente, mi aveva sempre spaventato, a causa della loro indifferenza verso ciò che amavo. (…) Ora, invece, quell’essere tanto temuto e tanto benefico che era semplicemente un io di ricambio, uno dei tanti che il destino tiene in serbo per noi e che nostro malgrado, senza dare ascolto alle nostre preghiere più d’un medico illuminato e proprio per questo autoritario, sostituisce con opportuno intervento a un io davvero troppo ferito, quell’essere mi portava, assieme all’oblio, una soppressione quasi completa della sofferenza, una possibilità di benessere. Questo ricambio, d’altronde, avviene di tanto in tanto, come l’usura e la rigenerazione dei tessuti; ma noi ci facciamo caso solo se il vecchio io conteneva un grande dolore, un corpo estraneo e offensivo che ci meravigliamo di non trovare più, stupiti come siamo d’essere diventati qualcun altro, un altro per cui la sofferenza del predecessore non è più che una sofferenza altrui, della quale possiamo parlare impietosendoci perché non la proviamo più. Essere passati per tante sofferenze ci è addirittura indifferente, dal momento che d’averle patite non abbiamo che un confuso ricordo. Allo stesso modo è possibile che, di notte, i nostri incubi siano spaventosi. Ma al risveglio siamo un’altra persona, a cui importa ben poco che quella che l’ha preceduta abbia dovuto, dormendo, fuggire davanti a degli assassini.

Marcel Proust, Albertine scomparsa II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

La soppressione della sofferenza

La soppressione della sofferenza? Ho potuto crederlo veramente – credere che la morte si limiti a cancellare quel che esiste lasciando il resto com’era, che elimini il dolore nel cuore di chi dall’esistenza dell’altro non ricava più che dolori, che elimini il dolore senza metter niente al suo posto? La soppressione della sofferenza! Scorrendo la cronaca dei giornali, rimpiangevo di non avere abbastanza coraggio per augurarmi quel che s’era augurato Swann. Qualora Albertine fosse rimasta vittima di un incidente, se viva avrei avuto un pretesto per correre da lei, se morta avrei ritrovato, come diceva Swann, la libertà di vivere. Ci credevo? Lui ci aveva creduto, quell’uomo così fine e convinto di conoscersi bene. Quanto poco si sa di quello che si ha nel cuore! Come, poco tempo dopo, se fosse stato ancora vivo, avrei potuto insegnarli che il suo augurio era tanto assurdo quanto criminale, che la morte di colei che amava non l’avrebbe liberato di niente!

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

La sofferenza di tutti quegli “io”

La sofferenza, prolungamento di un colpo morale subìto, aspira a cambiar forma; si spera di dissolverla facendo progetti, chiedendo informazioni; si vuole che passi attraverso le sue innumerevoli metamorfosi, ci vuole meno coraggio che non a conservarla pura; il letto sembra così freddo quando ci si corica con il proprio dolore. Mi rimisi dunque in piedi; mi muovevo nella stanza con una prudenza infinita, mi mettevo in modo da non scorgere la sedia di Albertine, la pianola sui cui pedali appoggiava le sue pianelle dorate, tutti gli oggetti di cui aveva fatto uso e che, nel linguaggio particolare insegnato loro dai miei ricordi, sembrava volessero darmi una traduzione, una versione diversa, annunciarmi una seconda volta la notizia della sua partenza. Ma, pur non guardandoli, li vedevo; le forze mi abbandonarono, caddi a sedere in una di quelle poltrone di raso azzurro il cui luccichio m’aveva fatto fare un’ora prima, nel chiaroscuro della camera anestetizzata da un raggio di sole, dei sogni allora appassionatamente accarezzati, adesso così lontani da me. Ahimè! non mi ci ero ancora seduto prima di quell’istante, mai se non quando c’era ancora Albertine. Dunque non potei resistere, mi alzai; e così, di continuo, qualcuno degli innumerevoli e umili io che ci compongono era ancora all’oscuro della partenza di Albertine e bisognava notificargliela; bisognava – ed era più crudele che se fossero stati degli estranei e non avessero preso in prestito, per soffrire, la mia sensibilità – annunciare la sventura appena occorsa a tutti quegli esseri, a tutti quegli “io” che ancora non lo sapevano; bisognava che ciascuno di loro, arrivato il suo turno, sentisse per la prima volta quelle parole: “Albertine ha chiesto i suoi bauli” – quei bauli a forma di bara che avevo visto caricare a Balbec accanto a quelli di mia madre -, “Albertine se n’è andata”.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Quando la nonna soffriva

Quando la nonna non prendeva morfina, i suoi dolori diventavano insopportabili; ricominciava senza sosta un certo movimento che le era difficile compiere senza un gemito: la sofferenza è, in larga misura, una sorta di bisogno, da parte dell’organismo, di prendere coscienza d’un nuovo stato che lo inquieta, di adeguare ad esso la propria sensibilità. (…) Quando la nonna soffriva, il sudore le colava sulla grande fronte livida, incollandovi le ciocche bianche, e se le sembrava che nella stanza non ci fosse nessuno, gridava: “Ah! è terribile!”; ma non appena scorgeva mia madre, concentrava ogni sua energia nel tentativo di cancellarsi dal volto le tracce del dolore, eppure ripeteva gli stessi lamenti accompagnandoli con spiegazioni che davano retrospettivamente un altro significato a quelli che mia madre avesse potuto udire. “Ah! figlia mia, è terribile starsene a letto quando, con questo bel sole, verrebbe tanta voglia d’andare a passeggio! Piango di rabbia per le vostre prescrizioni…”. Ma non poteva vietarsi il gemito degli sguardi, il sudore della fronte, il soprassalto convulso, subito represso, delle membra. “Non ho dolori, mi lamento perché sono messa male nel letto, mi sento i capelli in disordine, ho un po’ di nausea, ho urtato contro il muro”. E mia madre, ai piedi del letto, inchiodata a quella sofferenza come se, a forza di trapassare con lo sguardo quella fronte dolorosa, quel corpo che nascondeva il male, potesse finalmente raggiungerlo e strapparlo via, mia madre rispondeva: “No, mammina, non ti lasceremo soffrire così, troveremo qualcosa, abbi pazienza un secondo, mi permetti di darti un bacio senza che tu debba muoverti?”.

M. Proust, La parte di Guermantes II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Marcel Proust: un secolo "Dalla parte di Swann" - Panorama

Robert e Marcel Proust con la nonna paterna, Virginie Torcheux