Le teorie letterarie e l’arte

Sentivo di non dovermi preoccupare delle varie teorie letterarie che m’avevano turbato per un istante – in particolare di quelle che la critica aveva sviluppate al momento dell’affare Dreyfus e riprese, poi, durante la guerra, e che tendevano a “far uscire l’artista dalla sua torre d’avorio” e a trattare temi non frivoli né sentimentali, ma relativi a grandi movimenti operai e, in mancanza delle masse, quanto meno a dei nobili intellettuali, a degli eroi, anziché a degli oziosi insignificanti (“ti dirò che il ritratto di    quegli esseri vani non mi fa né caldo né freddo”, diceva Bloch).

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L’arte vera non sa che farsene di tanti proclami, e si compie nel silenzio. D’altronde, chi teorizzava in quel modo usava frasi fatte curiosamente somiglianti a quelle degli stessi imbecilli che bollava a fuoco. E forse è più dalla qualità del linguaggio che dal genere d’estetica che si può valutare a quale livello sia giunto il lavoro intellettuale e morale. Ma, inversamente, tale qualità del linguaggio (e lo stesso vale per le leggi del carattere, che si possono studiare su un soggetto serio quanto su un soggetto frivolo, così come un prosettore può studiare quelle dell’anatomia sul corpo di un imbecille quanto su quello d’un uomo d’ingegno, le grandi leggi morali differendo ben poco, al pari di quelle della circolazione del sangue o dell’eliminazione renale, in individui dal diverso valore intellettuale), di cui i teorici credono di poter fare a meno, quanti ammirano i teorici sono portati a credere che non sia prova d’un grande valore intellettuale, valore ch’essi hanno bisogno, per accorgersene, di veder espresso direttamente, e che non sanno dedurre dalla bellezza di un’immagine. Di qui la grossolana tentazione, per lo scrittore, di scrivere opere intellettuali. Grave indelicatezza. Un’opera in cui vi siano delle teorie è come un oggetto cui non si sia tolto il cartellino del prezzo. E quest’ultimo, ancora, non fa che indicare un valore che il ragionamento logico in letteratura, invece, diminuisce. Si ragiona, cioè si esce dal seminato, ogni volta che non si ha la forza d’applicarsi a far passare un’impressione attraverso tutti gli stati successivi che condurranno alla sua fissazione, all’espressione.

Marcel Proust, Il Tempo ritrovato

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori