I petali di tiglio, sorta di crepuscolo dei fiori

Dopo un momento, entravo a baciarla; Françoise preparava il suo tè; oppure, se la zia si sentiva agitata, chiedeva invece una tisana, e spettava a me il compito di far cadere dal sacchetto della farmacia in un piatto la quantità di tiglio da versare poi nell’acqua bollente. Seccandosi, gli steli si erano curvati in un intreccio capriccioso dalle cui volute spuntavano i pallidi fiori come se un pittore li avesse sistemati mettendoli in posa nel modo più ornamentale. Le foglie avevano perduto o mutato il loro aspetto assumendo quello delle cose più disparate, un’ala trasparente di mosca, il rovescio bianco di un’etichetta, un petalo di rosa, ma impilate, ridotte in frantumi o intrecciate come per la confezione di un nido. Mille piccoli dettagli inutili – fascinosa prodigalità del farmacista- che sarebbero stati soppressi in una preparazione artificiale, mi offrivano, come un libro dove ci si imbatta con stupore nel nome di una persona conosciuta, il piacere di capire che si trattava davvero degli steli di autentici tigli, come quelli che vedevo in avenue de la Gare, trasformati proprio perché non erano delle copie ma loro stessi, invecchiati. E poiché ogni nuovo carattere non era in essi che la metamorfosi di un carattere antico, ecco che in certe palline grigie riconoscevo delle gemme verdi non fiorite; ma soprattutto la luminosità lunare, rosea e mite che faceva spiccare i fiori nella fragile foresta dei gambi dove stavano sospesi come piccole rose d’oro – segno, come il chiarore che ancora rivela su un muro la sede di un affresco cancellato, della differenza tra le parti dell’albero che erano state “in colore” e quelle che non lo erano state – mi dimostrava che quei petali erano proprio gli stessi che prima di ornare il sacchetto della farmacia avevano profumato le sere di primavera. Quel bagliore di rosa di cera, pur essendo ancora la loro tinta, appariva semispento e assopito in quella vita ridotta che era adesso la loro, sorta di crepuscolo dei fiori. Ben presto la zia poteva inzuppare nell’infuso bollente, di cui assaporava il gusto di foglia morta o di fiore appassito, una petite madeleine, e porgermene un pezzetto quando fosse ammorbidito a sufficienza.

[Marcel Proust, Alla Ricerca del tempo perduto, Dalla parte di Swann, traduzione di Giovanni Raboni, I Meridiani Mondadori] pp. 63-64