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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Storia. Anni 1935-36. Parte Prima

Post n°148 pubblicato il 11 Settembre 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

Storia. Anni 1935-36. Parte Prima

- IL CONFLITTO ITALO-ETIOPICO E LA SOCIETA' DELLE NAZIONI (1935)
- GLI ACCORDI ITALO FRANCESI (1935)

IL CONFLITTO ITALO-ETIOPICO E LA SOCIETA' DELLE NAZIONI
(giugno 1935 - da Civiltà Fascista n. 6)

Prima di procedere ad un esame della situazione politico giuridica che si è venuta creando, particolarmente per il fatto dell'atteggiamento dell'Inghilterra, fra l'Italia e la Società delle Nazioni, in relazione al conflitto italo etiopico, sarà forse utile riassumere le fasi della vertenza, precedenti all'ultima sessione del Consiglio della S. d. N. della quale dovremo occuparci con maggior dettaglio.
Il 5 dicembre dello scorso anno (1934) degli armati abissini, in numero di circa 1500, attaccarono di sorpresa il nostro posto di Ual Ual il presidio italiano, nonostante l'enorme sproporzione delle forze, poté resistere fino all'arrivo di qualche rinforzo, col cui intervento fu possibile mettere in fuga l'avversario. Il Rappresentante italiano ad Addis Abeba fu subito incaricato dal nostro Governo di richiedere al Governo etiopico delle scuse ed una indennità per gli uccisi, calcolata secondo gli usi locali. Il Governo abissino rispose alla nostra nota richiedendo, sulla base dell'art. 5 del Trattato italo-etiopico, l'applicazione della procedura arbitrale. Da parte nostra si fecero delle riserve circa la opportunità e la possibilità di applicare la procedura arbitrale : il Governo etiopico, invece di rispondere alla Legazione italiana, indirizzò al Segretario Generale della S. d. N. un telegramma invocante l'intervento della Lega.

Per meglio comprendere l'atteggiamento del Governo etiopico bisogna risalire un po' indietro. La frontiera fra la Somalia italiana e l'Ogaden non é mai stata delimitata sul terreno : il trattato del 1908 si limita a fissare i principi generali a cui si dovrà ispirare la commissione di delimitazione il giorno in cui si sia riunita : ma sebbene da parte italiana lo si fosse ripetutamente richiesto, la commissione non é stata mai convocata. Per molti anni noi ci eravamo limitati a mantenere il nostro protettorato sui sultanati di Obbia e dei Migiurtini, senza però procedere ad una effettiva presa di possesso. Il Governo italiano ritenne questa situazione incompatibile con l'autorità e col prestigio dell'Italia coloniale e decise di effettuare l'occupazione effettiva del territorio : l'azione, auspice il quadrumviro De Vecchi, venne portata a termine nel 1926. Fu all'incirca in quell'epoca che venne dai nostri occupato e presidiato il posto di Ual Ual.
L'Ogaden era stato conquistato da Menelik : per molto tempo però il Governo abissino si era limitato a lasciare alla sua sovranità sulla regione una forma molto vaga : in pratica erano i piccoli capi locali che governavano : Addis Abbeba, di tanto in tanto, organizzava una spedizione più o meno razziatoria, per riscuotere i tributi e riaffermare la sua autorità.

Poi, un bel giorno, quale conseguenza dell'opera centralizzatrice a cui si era accinto il Negus, si decise di inviare sul posto dei capi abissini e di stabilire una autorità effettiva sul paese. Con quanta gioia delle popolazioni somale lo potrebbe dimostrare il numero di indigeni che sono venuti a rifugiarsi nelle nostre colonie per sfuggire alla rapacità dei funzionari etiopici. Da questo momento comincia la pressione etiopica sulla nostra frontiera : ammassamenti di armati, tentativi di occupare, di sorpresa, questo o quel posto, razzie eseguiti nel nostro territorio ai danni dei nostri sudditi : una situazione la quale obbligava le nostre autorità ad una continua vigilanza e sulla quale, a più riprese e senza risultati tangibili, era stata attirata l'attenzione del Governo etiopico.

Verso la fine dello scorso anno (1934) era in giro per la regione una Commissione anglo etiopica incaricata di stabilire il confine fra l'Ogaden ed il Somaliland britannico: e fissare la frontiera in una regione come l'Ogaden, stepposa ed abitata in gran parte da nomadi, é una cosa complessa poiché, più che stabilire una linea di frontiera propriamente detta, essa richiede che vengano stabiliti i diritti di pascolo delle tribù che si trovano sotto la sovranità dell'uno o dell'altro Governo : diritti di pascolo i quali si appoggiano a consuetudini antichissime e spesso in contrasto.
Il 23 novembre la Commissione mista anglo etiopica si presentava al nostro posto di Ual Uual : il nostro comandante si dichiarò pronto a lasciar passare in territorio italiano i due commissari, ma
rifiutò il passaggio alla loro scorta, dichiarando, come era logico, che in territorio italiano essi sarebbero stati sotto la protezione delle nostre autorità : il nostro comandante poi, di fronte ai reclami del Commissario etiopico, che sosteneva essere Ual Ual territorio dell'Impero eccepì che, in ogni caso, la questione di frontiera non poteva essere di competenza che dei due Governi e che lui, da buon soldato, non aveva altra incombenza che quella di provvedere alla guardia del posto affidatogli. La Commissione anglo etiopica si ritirò allora ad Ado e di lì inviò al Capitano Cimmaruta una lettera di protesta.

L'atteggiamento del Colonnello Clifford - il commissario britannico - in tutto questo affare non risulta molto chiaro : in mancanza di documenti precisi ci guarderemo bene, naturalmente, da qualsiasi affermazione : gli agenti locali, si sa, sono qualche volta affetti dalla mania di strafare. Quello che é certo é che l'atteggiamento del Commissario britannico dovette essere interpretato dagli etiopici come una specie di impegno, da parte dell'Inghilterra, ad appoggiare i reclami abissini relativi all'appartenenza di Ual Ual da quei buoni barbari che essi sono ritennero che fosse quello il momento opportuno per procedere all'attacco dei nostro posto.
L'art. 5 del Trattato italo etiopico del 1928 prevede, per la risoluzione delle questioni che possano sorgere fra i due paesi, tre fasi distinte - le trattative diplomatiche - la procedura di conciliazione - l'arbitrato. A parte quindi ogni considerazione di sostanza, giuridicamente parlando, il Governo abissino non poteva reclamare l'arbitrato fino a che non fossero state esaurite le due fasi precedenti, negoziati cioé e conciliazione. Ancora meno poteva rivolgersi alla Società delle Nazioni poiché la Società delle Nazioni, a norma dell'art. 15 del Covenaut, avrebbe potuto, eventualmente, intervenire soltanto dopo che fossero state esaurite senza risultato, tutte le procedure conciliative previste dai trattati esistenti fra le due parti in causa.
Il Governo abissino intanto sosteneva di essere stato lui l'aggredito a Ual Ual : poteva essere anche una buona tattica, quella di mettere le mani avanti, per chi non si sentiva la coscienza del tutto pulita. Ma oltre a questo il Governo etiopico tentava di spostare i termini della questione : per sfuggire alle sue eventuali responsabilità in merito all'incidente stesso, tentava di allargare la discussione portandola sulla questione delle frontiere : tendeva in altre parole a sostenere che gli italiani a Ual Ual si trovavano abusivamente in territorio etiopico e che quindi, se anche del sangue era corso, ciò era dovuto al fatto che gli italiani stavano avanzando al di là delle loro frontiere. Tesi anche questa giuridicamente poco fondata poiché, anche ammettendo che realmente Ual Ual fosse in territorio etiopico, il possesso italiano del posto durava, indisturbato, da otto anni. Ora nel diritto internazionale, come nel diritto privato, il possesso indisturbato, protratto, per un certo periodo di tempo, crea una situazione di diritto che non può essere modificata dall'azione diretta ed individuale. Il Governo etiopico avrebbe potuto reclamare, quindi, presso il Governo italiano per avere la restituzione di un territorio che esso reclamava come suo : non era però in diritto di inviare dei suoi armati a riprenderselo colla forza.

Alla Società delle Nazioni il Governo italiano fece valere le sue ragioni ed il Consiglio della Lega riconobbe di non essere competente ad occuparsi della questione fino a che le due parti non avessero esperita la procedura di risoluzione delle vertenze prevista dall'art. 5 del Trattato nel 1928. Fin da quel momento però si ebbero le prime avvisaglie di quella che sarebbe stata in seguito all'attitudine dell'Inghilterra, ma per allora non si insistette oltre.

Si domanderà ora : come é che da un incidente, grave sì, ma sostanzialmente di una importanza locale si é potuti arrivare fino alla situazione attuale ? il fatto é che l'incidente di Ual Ual non é stata che la manifestazione sanguinosa di uno stato di cose che veniva maturando oramai da molti anni, era la fiamma che rivela il fuoco che cova da tempo sotto la cenere.
Non staremo qui a rifare la storia degli incidenti di frontiera i quali si sono susseguiti, senza interruzione, lungo tutta la nostra linea di confine. L'Imperatore Haile Selassié, salito al trono dopo un'opera lunga e paziente eliminandone gli eredi legittimi, i figli di Menelik, si é voluto accingere all'opera ardua di «modernizzare » il suo Impero. Modernizzare voleva dire, soprattutto abbattere il potere locale dei ras, qualche volta superiore a quello dello stesso imperatore. Questo Luigi XI in miniatura - il paragone vale soprattutto per le doti morali e militari del Sovrano - per stroncare i grandi feudatari ha preferito appoggiarsi di preferenza sulla classe dei giovani abissini : quelli cioè dei suoi compatrioti i quali, avendo passato qualche anno nelle scuole europee, credono oramai di avere appreso tutto lo scibile e di potersi considerare degli uomini moderni : fra gli elementi che questi giovani hanno portato dall'Europa c'é anche il nazionalismo, nella forma che esso assume quando esso si innesta sulle razze inferiori, ossia della megalomania e della xenofobia.

Ecco quindi la politica interna trasformarsi in funzione di politica estera : da una parte i capi tradizionalisti, timorosi dei progressi del potere centrale, incapaci di lottare contro un uomo il quale usa come arma la penna invece della spada, si sono dati a cercare di creargli delle difficoltà all'estero, nella speranza di riuscire così a rovesciare il non bene amato Imperatore. Dall'altra i giovani nazionalisti, prima ancora di avere iniziata la parte più elementare dell'opera di civilizzazione del loro paese, già sognano di una grande Abissinia col suo sbocco al mare, sul Mar Rosso e sull'Oceano Indiano, ossia attraverso quelle che sono oggi le colonie italiane.
Di qui lo stato permanente di anarchia di cui hanno avuto a soffrire tutti i paesi confinanti coll'Etiopia : la stessa Inghilterra, sebbene oggi essa cerchi di negarlo, per non indebolire le sue tesi, ma soprattutto l'Italia poiché é contro l'Italia, che essi considerano come la più debole, che si appuntano le ambizioni abissine.
Di qui il primo aspetto del problema italo etiopico ; quello della sicurezza. Tanto la Eritrea quanto la Somalia sono abitate da popolazioni da tempo pacificate, affezionate al nostro dominio e quindi, per mantenervi l'ordine, basterebbe, come é stato fatto fino a poco tempo fa dall'Italia, una esigua forza di polizia. Ma di fronte alla minaccia etiopica noi saremmo obbligati a mantenere quelle colonie in stato permanente di difesa, a stabilirvi forze del tutto sproporzionate alla entità delle colonie stesse, ma in rapporto a quelle forze che il vicino etiopico potrebbe mettere in campo. E l'Italia sarebbe costretta a tener presente che, ogni qualvolta essa si trovasse implicata in qualche conflitto europeo, l'Abissinia non perderebbe una buona occasione per attaccarla alle spalle. Se già durante la guerra mondiale, l'Abissinia essendo in istato di sfacelo, dovemmo d'urgenza mandarvi delle truppe per mettere fine alle velleità di Ras Seyum cosa avverrebbe domani di fronte ad una Abissinia unificata ed armata sufficientemente, col concorso di amabili istruttori europei ?

E' questo un problema che va risolto una volta per tutte : l'Italia ha, al pari delle altre potenze europee, il diritto di avere la sicurezza delle sue colonie dell'Africa Orientale ; specialmente se si tiene conto che essa, a differenza della Francia e dell'Inghilterra, non ha là solo alcune briciole di un vasto impero, ma la metà quasi delle colonie che essa possiede.
Il secondo aspetto del problema é di più vasta portata. L'Italia, entrata per ultima nell'agone delle competizioni coloniali, non ha potuto assicurarsi il suo posto al sole : al tavolo di Versailles essa é stata defraudata di quello che era il suo buon diritto in materia di distribuzione di mandati e di colonie. Ma l'Italia ha anche essa, non meno degli altri, il diritto di avere un campo che sia lasciato libero alla sua espansione, alla sua attività ; di uno sfogo per il soprappiù della sua popolazione. Le Colonie italiane non sono sufficienti a questo scopo : in particolare l'Eritrea e la Somalia hanno per l'Italia una importanza soprattutto in quanto ponte di passaggio verso l'Etiopia tanto più vasta e più ricca.

Con il Trattato del 1928 l'Italia ha fatto il suo massimo sforzo per vedere di assicurarsi questo sbocco attraverso una politica di buone relazioni e di collaborazione amichevole con l'Etiopia : poi ha atteso con pazienza i frutti della sua politica. Ed i frutti sono stati una diffidenza sempre crescente che ha poi degenerato in ostilità aperta. Il Negus si é sempre dimostrato pronto a prestare un orecchio benevolo alle richieste che gli venivano da ogni parte, anche dal Giappone, ma con l'Italia mai.

Ora, al XX secolo, non é possibile ammettere che un popolo barbaro voglia volontariamente chiudere ad ogni attività civile un territorio ricco e vasto, per ragioni di semplice xenofobia : e non é possibile che un popolo giovane ed in pieno sviluppo se ne stia lì sulla porta ad attendere, per un principio astratto di rispetto al diritto di indipendenza dell'Abissinia. Come nel diritto privato italiano non si ammette che il proprietario lasci incolte le sue terre, così nel campo internazionale, non é possibile ammettere che uno stato voglia volontariamente escludersi dalla collettività civile. In questo caso bisognerà presto o tardi sfondare quella porta che si vuole tenere chiusa.

Questi in breve i termini del problema : queste le ragioni per cui l'Italia ha trasportate sulle rive dei Mar Rosso le sue truppe, decisa, questa volta, a risolvere una volta per tutte il problema dei suo rapporti, sia politici che militari che economici col vicino Impero. Tanto meglio se questo problema potrà essere risolto senza che sia necessario far uso delle forze raccolte laggiù : ma bisogna che tutti si rendano conto che, occorrendo, l'Italia é ben decisa a servirsene

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...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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