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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Storia. Anni 1935-36. Parte Seconda.

Post n°149 pubblicato il 11 Settembre 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

Storia. Anni 1935-36. Parte Seconda.

- IL CONFLITTO ITALO-ETIOPICO E LA SOCIETA' DELLE NAZIONI (1935)
- GLI ACCORDI ITALO FRANCESI (1935)

IL CONFLITTO ITALO-ETIOPICO E LA SOCIETA' DELLE NAZIONI
(giugno 1935 - da Civiltà Fascista n. 6)

E ora torniamo a Ginevra:
Il 24 maggio la Società delle Nazioni si é riunita per discutere della attuale fase del conflitto italo etiopico.
Poco prima della ultima riunione del Consiglio della S. d. N, il 16 aprile, il Governo etiopico aveva, di sua iniziativa unilaterale dichiarata esaurita la fase della trattative diplomatiche, reclamando quindi l'intervento del Consiglio della S. d. N. Da parte nostra, per spirito di conciliazione, non si era voluto sollevare questioni sul fatto, se le trattative diplomatiche avessero effettivamente esaurite tutte le loro possibilità, ci si era limitati a ricordare che, ai termini del sempre citato articolo 5, si doveva ora passare alla procedura di conciliazione. Questo principio era stato accettato senza difficoltà dal Consiglio ed il Governo italiano aveva proceduto alla nomina dei suo rappresentanti nella Commissione di conciliazione.

Sebbene questa non sia stabilito da nessuna precisa disposizione internazionale pure é uso, generalmente adottato, che i due arbitri scelti dalle due parti siano dei nazionali : solo per il superarbitro si sceglie generalmente uno straniero : l'Etiopia invece cominciò subito col nominare un francese ed un americano, non solo, ma tentò anche con una sua nota di impugnare la validità degli arbitri italiani, sostenendo che essi, essendo funzionari, non potevano esplicare il loro mandati con la necessaria imparzialità. Messo alle strette, il Governo etiopico finì poi per dichiarare che era stato obbligato a ricorrere a degli arbitri stranieri, perché non vi erano degli abissini in grado di assumersi il compito.
Questa dichiarazione era di per se stessa una riprova di quanto andava sostenendo l'Italia, essere cioé impossibili voler trattare su di un piede di eguaglianza noi e gli abissini : in ogni modo, per dar ancora una prova della sua buona volontà, i Governo italiano fece conoscere che non avrebbe sollevate obiezioni alla nomina di due arbitri non etiopici.
Ciononostante il dibattito ginevrino, chiusosi in seduta notturna é stato abbastanza agitato. Il Governo abissino spalleggiato da quello britannico insisteva soprattutto su due punti : primo che la competenza degli arbitri dovesse estendersi anche alle questioni relative alla delimitazione della frontiera italo etiopica : secondo, che la questione non dovesse essere lasciata alla sola competenza degli arbitri, ma che se ne dovesse incaricare fin da questo momento il consiglio della società delle Nazioni, trattandosi di questione che poteva essere ricondotta nei casi previsti dall'art. 11 del Covenant.

A questa richiesta etiopica era stata data una più precisa formulazione dall'Inghilterra nel senso che essa richiedeva che venisse nominato dal Consiglio un apposito comitato per seguire le fasi della vertenza o, in mancanza di un comitato, si passasse senz'altro alla nomina di un relatore. A queste richieste etiopiche l'Inghilterra aggiungeva la pretesa che il Governo italiano si impegnasse a non fare ricorso alla forza o, comunque, facesse esplicito riferimento all'art. 5 del Trattato, che fa menzione appunto di tale obbligazione.
Da parte italiana si é sostenuta ancora una volta la incompetenza del consiglio. In suo intervento infatti avrebbe potuto giustificarsi sia in base all'art. 11 che in base all'art. 15. Per quanto riguarda l'applicazione dell'art. 11, ogni eventuale misura di salvaguardia presa in sua applicazione deve, per essere possibile, essere approvata all'unanimità dal Consiglio, comprese nel computo dei voti le parti in causa. Dato che l'Italia non accettava l'ingerenza della Lega l'articolo 11 si dichiarava per ciò stesso inapplicabile.

L'art. 15, da parte sua, prevede esplicitamente che la procedura in esso prevista non può essere applicata quanto sia già in corso una procedura arbitrale, come era appunto il caso per la fase attuale della vertenza italo-etiopica.
Nonostante le resistenze inglesi, il consiglio si é trovato costretto ad ammettere la limitatezza dei suoi poteri e ad astenersi per il momento, da qualsiasi « iniziativa » da parte sua.
Per quanto concerne la richiesta inglese di un impegno al non ricorso alla forza, sulla base dell'art. 5 del Patto del 1928, da parte italiana si é mantenuto, con tutta fermezza, il principio che non é possibile isolare una disposizione di un Trattato da tutto il resto delle sue stipulazioni, che ne costituiscono la giustificazione e la contropartita. L'Italia non poteva impegnarsi al rispetto di una sola stipulazione, quando di tutte le altre da parte, etiopica, non era stato tenuto alcun conto. Ed il Rappresentante britannico si é trovato nella impossibilità di insistere oltre sul suo punto di vista.

Sempre per dar prova del suo spirito di conciliazione il Governo italiano si é adattato ad ammettere che venga fissato un termine - il 28 agosto --- per l'esaurimento della procedura arbitrale.
Infatti, ognuna delle sue parti potrebbe, quando ritenga che la procedura arbitrale sia fallita, chiedere al Consiglio ed alla Assemblea di dar corso alla procedura dell'art. 15. L'Etiopia avrebbe quindi potuto, a suo piacere, provocare a tal fine una riunione straordinaria del Consiglio : il precedente della maniera con cui era stata chiusa la fase diplomatica, non era, a questo riguardo, molto incoraggiante. Ad evitare possibili manovre etiopiche era opportuno e necessario stabilire che gli arbitri conciliatori avessero un minimo di tempo per assolvere il loro mandato. Questo non esclude naturalmente che, se la procedura arbitrale si svolgerà normalmente, si potrà sempre chiedere un prolungamento del termine, il che è del resto conforme ad una specifica disposizione del Patto, che non può essere modificata da una decisione del Consiglio.

Nel discorso pronunciato a seguito delle deliberazioni del Consiglio il delegato italiano ha tenuto a mettere bene in chiaro che la competenza degli arbitri é limitata alla trattazione dell'incidente di Ual Ual e degli altri che si sono succeduti, ma che, in ogni modo essa non può estendersi alla questione della delimitazione delle frontiere. Lo stesso principio é stato riaffermato dal Capo del Governo nel suo discorso alla Camera il 25 maggio. Precisazione tanto più opportuna in quanto, da parte inglese, allo scopo di magnificare il successo riportato dalla Lega, per ragioni elettorali, si era tentato di dare alla competenza degli arbitri una interpretazione dubbia ma estensiva.
Gli arbitri delle due parti si sono riuniti ai primi di giugno a Milano e torneranno a riunirsi alla fine di giugno a Scheveningen. Eventualmente, il 25 luglio il Consiglio della Società delle Nazioni potrà essere invitato a riunirsi per la scelta del superarbitro.

Si domanderà ora : quale la ragione di questo atteggiamento così contrario all'Italia da parte dell'Inghilterra? Che l'Inghilterra voglia difendere i suoi interessi in Abissinia é una cosa del tutto naturale e non saremmo certo noi italiani a sorprendercene. Ma gli interessi inglesi in Abissinia, in rapporto a quelli italiani e francesi, sono già stati stabiliti in una serie di trattati e di documenti, dal tripartito del 1906 alle lettere del 1925. Nulla, del resto, nell'atteggiamento italiano dà diritto all'Inghilterra a pensare che dei suoi interessi si voglia non tener conto, né che, come del resto qualche influente periodico inglese da lui stesso riconosciuto, questi interessi sarebbero meglio difesi in una Abissinia arbitra assoluta dei suoi destini che in una Abissinia dove maggiore fosse l'influenza italiana. Restano dunque soprattutto due alternative. O l'Inghilterra vuole deliberatamente soffocare ogni possibile espansione italiana, oppure essa crede effettivamente di difendere così la Società delle Nazioni. Scartiamo per ora la prima ipotesi che ci porterebbe nel campo delle polemiche, ed esaminiamo invece la seconda.

L'Inghilterra si é piazzata per ora sul terreno puramente formale e giuridico. L'Italia e l'Abissinia - essa dice - sono ambedue membri della Società delle Nazioni : qualsiasi conflitto che intervenga fra di loro dovrà quindi essere risolto secondo la procedura prevista per gli stati membri. L'Inghilterra vuole che la Società delle Nazioni sia forte, perché solo attraverso una società delle Nazioni forte si potrà avere una organizzazione collettiva della pace. Se si ammette che l'Italia faccia uso della forza per ridurre l'Abissinia alla ragione, il principio della Società delle Nazioni ne riceverebbe un grandissimo colpo, dal quale forse non potrebbe più riaversi. Si può anche ammettere che sia stato un errore quello di fare entrare l'Abissinia a Ginevra ma oramai essa c'é e bisogna trattarla come tale. Per cui l'Inghilterra deve insistere perché a conflitto venga data una soluzione pacifica.

In primo luogo ci sarebbe da osservare che con questa argomentazione si fa una certa confusione fra l'incidente di Ual Ual inteso in senso ristretto e tutto il problema d'insieme dei rapporti italo etiopici del quale l'incidente stesso é parte integrale. Se a stretto rigore infatti dell'incidente di Ual Ual si potrà avere una soluzione pacifica - vorremmo in ogni modo vedere cosa farà il Negus nel caso che il verdetto degli arbitri gli fosse contrario -- non é certo ammissibile che l'insieme della questione, nei termini in cui l'Italia la pone - ed é certo l'Italia la sola a poter giudicare come essa vada posta - sia suscettibile di essere risolta con i mezzi societari. Sarebbe divertente vedere come sarebbe accolta ad Addis Abbeba una commissione della Lega che vi si recasse ad invitare il Negus a fare delle vaste concessioni all'Italia nel campo politico e nel campo economico.

Non riaccenderemo qui la polemica circa la maniera con cui l'Inghilterra, che vorrebbe oggi farci la lezione, ha acquistato il suo Impero coloniale. Riconosciamo anche noi che effettivamente, come dicono gli inglesi, la risoluzione della questione etiopica é per la Società delle Nazioni una questione di vita o di morte : soltanto non esattamente nei termini in cui la questione viene posta dagli inglesi.
Si tratta in sostanza di sapere che cosa é e che cosa deve essere la Società delle Nazioni : un organismo giuridico od un organismo politico : una Santa Alleanza od una applicazione alla politica estera del principio liberale adottato per la politica interna ?

Il Govenant di Ginevra contiene due principi i quali, a seconda dei punti di vista, si completano o si contraddicono ; l'art. 10 e l'articolo 19. L'art. 10 contiene il principio dello statu quo : la garanzia collettiva della indipendenza e della integrità dei singoli stati membri. L'art. 19 contiene invece il principio della evoluzione ammettendo l'idea del riesame delle situazioni, rese dal tempo e dalle circostanze insostenibili, anche se territoriali, quando esse non rispondano più alle esigenze dei momento. Nella mente dei compilatori del Patto i due principi si equivalevano ed erano destinati a controbilanciarsi : originariamente, anzi, essi trovavano posto nello stesso articolo. L'evoluzione pratica della Lega, nei quindici anni di sua vita, mentre ha diretto tutti i suoi sforzi a precisare la portata ed il funzionamento dell'art. 10 e di quelli che ne assicurano la messa in pratica, ha lasciato completamente in disparte l'art. 19 per cui, oggi, ci si potrebbe addirittura considerare sorpresi che esso esista ancora, quando si sentono le alte grida che lanciano da ogni parte i più strenui difensori della Lega, ogni qualvolta si parla di revisione. La Lega si avvia così, ogni giorno di più, a diventare la Lega dei « beati possidentes" contro quelli che non hanno ma che aspirano anche loro, al loro posti al sole.

Un grande italiano, Vilfredo Pareto, ha sostenuta la teoria della circolazione delle aristocrazie : é un principio il quale si può benissimo applicare anche alla politica estera : quello infatti che in politica interna sono le rivoluzioni é la guerra in politica estera. Se si vogliono evitare le rivoluzioni bisogna tener conto a tempo di quelli che sono i giusti bisogni ed i desideri delle classi inferiori : se si vogliono evitare le guerre bisogna dare la sensazione ai popoli, che sono in pieno sviluppo, che essi possono conquistare il loro posto al sole senza aver bisogno per questo di ricorrere alla sorte delle armi. La Lega se vuol vivere deve dimostrare di essere non un organismo puramente giuridico, ma di aver in se anche l'elemento politico della evoluzione. Altrimenti l'Italia, per citarne una, potrebbe essere indotta a seguire l'esempio della Germania e del Giappone ; e non é affatto detto che essa sarebbe l'ultima ad abbandonare l'onesto consesso di Ginevra per cui, alla fine dei conti, la Lega potrebbe non restare altro che la Santa Alleanza dei "beati possidentes"; e non é ben certo che essa avrebbe una sorte migliore di quella nobile istituzione sorta cento anni prima.

La questione italo-etiopica non é nè può essere ridotta ai termini di questione giuridica; si tratta di una questione politica che va trattata e risolta come tale. Se la Società delle Nazioni dimostrerà di saperla risolvere in questa forma e portata tanto meglio : essa avrà così forse fatta la sola cosa utile della sua storia. Se essa invece vorrà trincerarsi dietro la barriera delle sue concezioni strettamente giuridiche, forse si potrà anche gridare a Londra ed altrove che essa ha riportata una grande vittoria: ma di fatto essa avrà firmato il suo decreto di morte.

GLAUCO VALENTI
(su Civiltà Fascista n. 6, giugno 1935)

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Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
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