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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Messaggi del 25/08/2008

Keren: silenzio colpevole

Post n°77 pubblicato il 25 Agosto 2008 da wrnzla

L'ALPINO - Articoli:
Keren: silenzio colpevole
Giovedì, 17 Aprile 2003

Visita-pellegrinaggio di una delegazione di alpini in Eritrea, al “Cimitero militare italiano degli Eroi”, dove riposano 12mila nostri Caduti, troppo a lungo dimenticati.

La cerimonia a Dogali.

Giovedì 20 febbraio, ore nove del mattino, scalo della Malpensa. Più di un centinaio di Alpini occupa “militarmente” un’ampia area dei voli internazionali, attirando l’attenzione degli indaffarati viaggiatori. Un bimbetto quasi trascinato dalla madre ci guarda con gli occhi stupiti. Viaggio tranquillo con tappa a San’a, in omaggio alla compagnia aerea yemenita che ci ospita e arrivo ad Asmara la sera sul tardi. In questa missione anche il vicepresidente della Regione Lombardia Gianni Prosperini, col suo cappello alpino un po’ sbuferato e l’aria dell’eterno ritardatario che arriva sempre in tempo.
Il giorno dopo, con un sole tra il primaverile e l’estivo, partenza per Adi Quala, alla volta del sacrario di Daro Ghunat. Lì riposano 3.025 soldati italiani e 618 indigeni, dei 6.345 caduti ad Adua nel 1896. In quella località più di 100.000 Abissini riuscirono a sopraffare gli uomini del gen. Barattieri. Oggi ricorda l’evento una piramide tronca sormontata da una stele bianca, situata su un promontorio che s’incunea su un’ampia vallata segnata dal profilo dei monti etiopici.


Ad accoglierci, oltre alle autorità locali, governatore e sindaci, ci sono il rappresentante dell’Ambasciata italiana dottor Serra, l’addetto militare gen. Silvestro Leone, i maggiorenti della regione vestiti con gli antichi e sfarzosi costumi da cerimonia, protetti da ombrellini riccamente lavorati con ricami e broccati. Le donne, a formare ala, lanciano pop corn in segno beneaugurante ed emettono quel grido gutturale e ritmato che crea un’atmosfera indefinibile.
Vicino al sacrario una decina di ascari ritti sull’attenti ci saluta militarmente e risponde in perfetto italiano. Ricordano tutto e tutti. “Sono Gheroncel, della 4°compagnia, 49° btg, 12° brigata.
Ci comandava il capitano Dominici, morto in combattimento”, dice con fierezza un anziano dalla faccia scavata dal sole e dal vento. Vorrebbe raccontarci mille storie, anche degli alpini che ha conosciuto, ma l’inizio della cerimonia interrompe la conversazione. Deposizione di corone, per gli Eritrei e per gli Italiani, suono del Silenzio, brevi parole di saluto delle autorità. Ritualità semplice e coinvolgente, pensieri in libertà alla ricerca di un senso della Storia, che alla fine si traduce sempre in storie di uomini.
Siamo invitati sotto un enorme tendone costruito appositamente per la nostra visita, dove con incredibile celerità viene offerto kuskus, frutta e birra del posto. È una festa. Gli uomini seduti sulle lunghe panche intingono, nel grande recipiente comune su cui è stato versatoun grumo di carne e sugo di capretto, bocconi succulenti e le donne fuori, sotto il sole, cantano, danzano e lanciano gli ultimi grani di pop corn, circondate da nugoli di bambini eccitati dalla novità. Più di una bimba, di età non superiore ai quattro-cinque anni, porta appeso alla schiena un fratellino e gioca disinvolta con le compagne, come se quel fagottino fosse un accessorio ininfluente per la sua gestualità.

***

Sabato mattina, omaggio ai cimiteri eritreo e italiano di Asmara. Alla presenza delle più alte autorità civili e militari: il ministro della Difesa generale Sbaterfrem, l’ambasciatore italiano dottor Emanuele Pignatelli, l’addetto militare, il sindaco. La banda alpina e quella locale suonano insieme il silenzio, creando una sensazione unica.
Lasciato, dopo la breve cerimonia, il settore riservato ai Caduti, ci spargiamo per l’ampio spazio riservato ai civili a leggere nomi familiari, storie lontane, sogni spenti.
Nel pomeriggio ammassamento davanti alla cattedrale, fanfara in testa e sfilamento per il bel viale Indipendenza, fino a piazza Mesken. Due ali di folla attenta e silenziosa accompagnano lungo le vie della città i nove vessilli, la quindicina di gagliardetti, il centinaio di alpini e una ventina di ascari che avanzano inquadrati.
Davanti ad una grandiosa tribuna tutti ascoltano l’esibizione della banda Val del Garda che si alterna con il coro Val di Sella (Trento). Bel concerto, bravi tutti, meritato successo, serata indimenticabile. Dopo tanti anni, sembrava che Eritrei ed Italiani avessero ritrovato, nel rispetto delle loro culture, tradizioni, identità, un denominatore comune nell’amicizia. In nessun Paese del continente africano è possibile vivere esperienze simili e trovare un’accoglienza paragonabile.
La cena – offerta dal Governo eritreo a tutti gli ospiti nel salone del municipio della città, presenti numerosi ministri, ambasciatori, in particolare quello russo, un gigante che dice di conoscere la storia dell’asilo di Rossosch, ufficiali superiori, suonatori e ballerini – si è conclusa con un bellissimo discorso del responsabile della Difesa, che ha sottolineato i punti di convergenza tra i nostri Paesi. Ha auspicato che gli alpini portino in Italia le testimonianze di amicizia e la volontà di collaborazione che hanno avuto modo di cogliere viaggiando attraverso l’Eritrea, suggellando il tutto con un regalo all’A.N.A. di un grande quadro raffigurante le due bandiere nazionali, il copricapo degli Ascari e il cappello alpino.
Il giorno seguente tutti, o quasi, a messa in cattedrale. Il celebrante, un cappuccino eritreo dal sorriso contagioso, nell’omelia ha sottolineato che la matrice culturale del suo paese è in certa misura riconducibile anche ai contributi italiani e auspicato un dialogo solidale tra i due popoli. In serata incontro con gli Asmarini nella “Casa degli Italiani” all’insegna dell’allegria, dei canti e dei ricordi.
Keren. Una bella strada asfaltata s’insinua tra valli profonde, burroni, selve di cactus, rari esemplari di mango e qualche gigantesco baobab. Lo spettacolo è inedito per originalità, fascino, luminosità. Sfilano in continuazione villaggi, terrazzamenti, mandrie di capre, pecore, asini, dromedari e qualche ringhioso babbuino. Per non dimenticare la nostra civiltà, di tanto in tanto s’intravedono le carcasse di carri armati arrugginiti che puntano le inutili bocche da fuoco contro le gole che li hanno intrappolati.
Quasi improvvisamente, all’incrocio di quattro vallate, compare la città di Keren dove, nei mesi di febbraio e marzo 1941, 40mila soldati italiani opposero una disperata resistenza all’azione di annientamento delle forze britanniche e indiane. Il Duca d’Aosta respinse qualsiasi proposta di resa e quando finirono le munizioni e le speranze di rifornimenti, si contarono sul campo 12mila morti e 20mila feriti. Lo stesso Churchill riconobbe, parlando ai Comuni, che “la noce di Keren è dura da schiacciare”.
Quella battaglia, sembra che gli storici e la memoria collettiva l’abbiano rimossa. Eppure, per valore e sacrifici, non ci sembra meno importante di El Alamein o di Cefalonia. Tra quei magnifici soldati c’erano anche gli Alpini del battaglione Uork Amba chiamati dagli Inglesi “stambecchi di montagna” per la loro agilità nel muoversi sulle creste circostanti; e c’era anche il sottotenente di complemento del 10° Reggimento Granatieri di Savoia e medaglia d’Oro Bortolo Castellani. Cadde l’11 febbraio. Sessantadue anni dopo, il figlio Manlio, ora residente in Canada, alpino, era lì con la tromba a suonare il silenzio. Nessuno di noi ha osato chiedergli qualcosa. Vicino al sepolcreto, denominato “Cimitero Militare Italiano degli Eroi”, una donnetta minuta, con un bel viso sorridente, vuole parlarci.
Si chiama Maria Vittoria Anrabam. Nacque durante i combattimenti e fu trovata abbandonata dai militari italiani che la accudirono per qualche settimana. È felice di vederci e l’espressione del suo volto esprime una riconoscenza incondizionata. Dogali registra il primo massacro di un contingente italiano in Africa Orientale. La colonna di De Cristofori, assalita da ingenti forze abissine nel 1887, fu oggetto di un’autentica carneficina, con 435 soldati e 22 ufficiali morti. Li ricorda a Roma la piazza di Stazione Termini, intitolata, appunto, ai “Cinquecento”. Gli 87 sopravvissuti, compreso un solo ufficiale, devono la vita al fatto che, feriti, furono creduti morti. Oggi su quella collina si erge una colonna e lì il nostro ambasciatore, accompagnato dall’addetto militare, depose una grande corona, con gli onori di rito. Poco lontano, il cimitero italiano con oltre 1500 tombe e 435 ignoti quasi si affianca a quello eritreo detto degli “Eroi”, con pochi caduti, ma destinato a riempirsi quando saranno recuperate le salme delle ultime battaglie. Purtroppo l’Eritrea ha sopportato trent’anni di guerra per la sua indipendenza, raggiunta nel 1991 e altri tre a cavallo del secolo. Massawa, con le sue bellissime spiagge, la posizione felice su un’ansa del mare, le sue vie con i segni di tanta storia e tante civiltà che si sono sovrapposte, cancella in breve le malinconie delle guerre e apre al visitatore la speranza sul suo futuro.
Prima o poi anche il turista per caso scoprirà le bellezze che si possono incontrare aprendo quella porta. L’ultimo giorno asmarino della comitiva comincia con l’alzabandiera nella residenza ufficiale dell’ambasciatore: Villa Roma. È un bell’edificio, non appariscente ma di buon gusto, che a mezzogiorno ci accoglie per una colazione all’insegna della cucina e soprattutto dei vini italiani. Fa gli onori di casa la Signora Pignatelli, discreta e gentile, che ci fa degustare il miglior caffè di Asmara. Partecipano anche autorità di governo e diplomatiche. È il momento per scambiarci qualche impressione e riflettere sulle prospettive future dell’Eritrea. Molti di noi hanno in tasca piccoli progetti, dai libri di lettura per gli istituti italiani, alla scuola da ampliare, all’ospedale da attrezzare, ma il problema è la crescita, in libertà e indipendenza, di un Paese che, dopo traversie storiche e ambientali sfavorevoli, guarda alla solidarietà dell’Italia come Stato amico. Noi Alpini ci sentiamo comunque vicini a questa gente che ricorda ed onora i nostri Caduti e ci guarda con simpatia.
Siamo una forza morale, non una potenza economica, ma abbiamo l’abitudine di non dimenticare.

di Vittorio Brunello

Gli onori ai Caduti ad Asmara.


Tratto da: www.ana.it

 
 
 

ASCARI CARABINIERI. ZAPTIE'

Post n°75 pubblicato il 25 Agosto 2008 da wrnzla

ASCARI CARABINIERI. ZAPTIE'

ZAPTIE'

Con questo termine, derivato dal turco "zaptiye" (polizia), venne chiamato il militare indigeno arruolato nelle file dell'Arma dei Carabinieri in terra d'Africa. Lo zaptié apparve infatti per la prima volta nel 1888 allorché venne considerato necessario aumentare l'efficienza organica della "Compagnia Carabinieri d'Africa" costituita da militari nazionali, che era stata preceduta dalla "Sezione Carabinieri d'Africa" originata dal nucleo dei 10 militari dell'Arma sbarcato il 5 febbraio 1885 in Eritrea (Massaua) al comando dei tenente Antonio Amari di S. Adriano.

Prima di allora si era verificato il caso di elementi indigeni non chiamati però zaptié - assoldati per cooperare al servizio dei Carabinieri, e fu nel 1882, quando alle dipendenze del maresciallo dell'Arma Cavedagni, comandante la stazione di Assab (v.), venne posto un nucleo di guardie indigene (i "basci bazuk") che fino allora aveva coadiuvato il delegato di P.S., sostituito appunto dal maresciallo Cavedagni.

Selezionati accuratamente nell'ambiente civile oppure tra gli stessi militari indigeni di altri reparti, gli zaptié diedero sin dall'inizio costante prova di fedeltà e disciplina nell'impiego del servizio d'istituto, integrando tali doti con quelle dello slancio e del valore in ogni partecipazione ad azioni di guerra.
Questa loro esemplare individualità militare derivò dalla rigorosa formazione alla quale furono sottoposti dagli istruttori indigeni preposti al loro inquadramento.

Tags: Ascari Eritrea. Ascari Eritrei.

Inizialmente gli zaptié avevano come loro graduato solamente il «buluc-basci» (di per sè il termine di buluc stava ad indicare gruppo di militari oscillanti tra la squadra ed il plotone), ma ben presto, con l'aumento dell'organico degli zaptié e quindi per le esigenze di una migliore ripartizione di responsabilità gerarchica tra le loro file, il buluc-basci divenne graduato intermedio tra il muntaz, da considerare capo-squadra, e lo scium-basci (o jus-basci), che rappresentava l'unico grado di ufficiale ammesso per le truppe indigene, e perciò dotato dei prestigio indispensabile a garantire - agli ordini degli ufficiali nazionali - la compattezza morale dei suoi dipendenti in linea con le tradizioni dell'Arma ed in qualsiasi esigenza del servizio.

Dopo che in data 1° gennaio 1890 i nostri possedimenti dei Mar Rosso presero il nome di Colonia Eritrea, in esecuzione dei R.D. dell'11 dicembre 1892 la Compagnia Carabinieri assunse nella colonia anche il servizio sino allora affidato ad una delegazione di P.S., che lo disimpegnava con un corpo di guardie indigene, ed il 15 marzo 1895 si trasferì da Massaua all'Asmara, sede dei Governo e del Comando Truppe, raggiungendo nel febbraio 1900 il seguente ordinamento: 1 capitano, 3 tenenti, 3 marescialli d'alloggio, 8 brigadieri, 9 vice brigadieri e 45 carabinieri; per gli indigeni: 1 scium-basci, 6 buluc-basci, 18 muntaz e 133 zaptié (v. Eritrea).

Per quanto concerne la Somalia, gli zaptié vennero arruolati nell'Arma dopo che nell'aprile 1908 il capitano dei Carabinieri Oddone, con pochi sottufficiali al seguito, venne incaricato di costituire il Corpo di Polizia della Somalia, in sostituzione degli ascari di polizia ereditati dalla Società Anonima Commerciale Italiana del Benadir.

In data 24 dicembre 1923 il Governatore della Somalia De Vecchi di Valcismon volle riorganizzare il Corpo, trasformandolo in "Corpo Zaptié della Somalia Italiana" per caratterizzarne l'appartenenza all'Arma e potenziandone l'ordinamento anche attraverso l'afflusso di altri ufficiali e sottufficiali dell'arma dall'Italia.

Il Corpo, raggiunta nel 1927 la forza di 1500 militari indigeni, 72 militari metropolitani e sei subalterni dell'Arma, fu così messo in condizioni di assolvere lodevolmente non solo i compiti di istituto, ma di eseguire numerose operazioni per imporre alle inquiete popolazioni indigene il rispetto alle istituzioni ed alle leggi. Fra i più notevoli fatti d'arme nei quali gli zaptié della Somalia ebbero a segnalarsi è sufficiente accennare a quelli avvenuti nel 1924 per procedere al disarmo delle cabile Galgial e Baddi Addo, che si erano rifiutate di obbedire al Governo, ed alla spedizione eseguita nello stesso anno da 120 zaptié al comando di un ufficiale nella zona sino allora inesplorata di Dai-Dai.

Altri 300 zaptié al comando di due tenenti efficacemente concorsero all'occupazione della Somalia Settentrionale ed un altro nucleo partecipò, nel settembre 1925, con la colonna Musso, alle operazioni per l'annessione dei territorio di Obbia, al successivo sbarco di Hafun ed all'azione di Ordio. Altri zaptié concorsero con la colonna Bergesio all'avanzata nella zona dell'Elemari di Gallacaio, di Garad e di Sinedogò, sostenendo cruenti conflitti anche all'arma bianca. Furono del pari zaptié quelli che assolsero l'ambito compito di occupare per primi, nell'alta Migiurtina, Bender Ziada e Candala e che eseguirono parecchie ricognizioni, non sempre pacifiche, nella zona di Bender Cassim.

Nella occupazione di Carim alcuni zaptié vennero impiegati per inquadrare 40 "dubat" lì inviati, insieme ai quali restarono validamente, per tre giorni, all'attacco di ingente numero di ribelli, nonostante fossero rimasti senza viveri. I dubat erano militari indigeni, il cui nome derivava dal nome somalo del loro turbante bianco.

Dopo l'occupazione dell'Oltre Giuba, gli zaptié vennero ripartiti in quattro Stazioni, al comando di sottufficiali dell'Arma, le quali il 15 luglio successivo già funzionavano nei centri preventivamente designati come capoluoghi di residenza. In seguito vennero anche impiantati, in luoghi di una certa importanza, quattro posti di zaptié comandati da graduati indigeni.

In Libia, le quattro sezioni mobilitate dei Carabinieri ivi inviate al seguito del Corpo di Spedizione italiano dopo la dichiarazione di guerra alla Turchia (v. Campagna italo-turca) iniziarono il loro servizio d'istituto il 19 ottobre 1911, giorno del loro sbarco alla Giuliana (Bengasi) insieme con gli altri reparti dell'Esercito. A mano a mano che procedeva l'occupazione italiana della Libia e - nella primavera del 1912 - anche delle isole dei Basso Egeo, si estese anche la dislocazione dei nuclei dei Carabinieri per il servizio di polizia militare e degli altri servizi d'istituto.

Il giorno 8 febbraio 1912 l'Arma territoriale della Tripolitania passò alle dipendenze della Divisione Carabinieri di Tripoli; quella della Cirenaica, con le Compagnie di Bengasi e di Derna, ebbe funzionamento autonomo. Dopo di che ebbe luogo a Tripoli, Bengasi e Derna l'istituzione di speciali Scuole Zaptié per istruirvi - con l'ausilio dei migliori graduati degli zaptié eritrei di religione musulmana giunti al principio del gennaio 1912 - gli aspiranti indigeni arruolati con criteri di rigida selezione tra le popolazioni locali che avevano accettato il dominio italiano.

Divisione autonoma della Tripolitania

Nel febbraio 1925, soppresse la Legione Carabinieri della Libia e la Divisione di Misurata, anche la Divisione di Tripoli, con le sue 74 Stazioni, ebbe funzionamento autonomo. In quello stesso mese le nostre truppe - minacciate nelle comunicazioni con la costa - avevano dovuto sgombrare il Fezzan, il Giofra e la Sirtica ed in seguito, col precipitare degli avvenimenti, scoppiò violenta nella Tripolitania la rivolta delle popolazioni fanatizzate dalla proclamazione della guerra santa partita, per istigazione della Germania, da Costantinopoli.

I nostri Presidi, esposti perciò a continue insidie, dovettero procedere all'evacuazione di altri territori che furono altresì sgombrati delle Stazioni dell'Arma. In quel tragico periodo numerose furono le Stazioni assalite dagl'insorti nella Tripolitania ed innumerevoli atti di valore e di oscuro eroismo furono compiuti da quei militari, nazionali ed indigeni dell'Arma, sia nell'estrema difesa delle loro caserme o delle loro ridotte isolate, sia nelle estenuanti marce con le colonne alle quali riuscirono ad aggregarsi.

Fu allora che rifulsero e si confermarono la sicura fedeltà e la illimitata devozione dei bravi zaptié, i quali, ogni qualvolta fu necessario, eroicamente si sacrificarono mostrandosi veramente degni continuatori delle tradizioni militari dell'Arma.

Dalla fine della rivolta (1° agosto 1915) sino a tutto il 1921, lo scompartimento della Divisione di Tripoli si ridusse a poche Stazioni dislocate attorno a quella città, ad Homs ed a Zuara. Ma subito dopo l'avvento del nuovo Governatore, Conte Volpi (21 luglio 1921), si iniziò anche la riorganizzazione dell'Arma, il cui comandante approfittò dei restanti mesi di quell'anno per preparare e perfezionare con intenso lavoro il proprio personale, costituire uno squadrone zaptié di manovra convenientemente addestrato ai servizi di guerra, intensificare gli arruolamenti dei militari indigeni, selezionarne e migliorarne i graduati, studiare e fare approvare, infine, un organico che meglio rispondeva alle esigenze del momento.

Il 26 gennaio 1922, nell'improvviso brillante sbarco di Misurata che diede inizio alla riconquista della Tripolitania, i Carabinieri della Divisione furono i primi a mettere piede in quella città, e da allora insieme agli zaptié presero di nuovo parte a tutte le operazioni militari nella colonia.
Dal 30 giugno 1914 al 30 giugno 1925 i militari dell'Arma della Tripolitania sostennero complessivamente 56 combattimenti e conflitti ottenendo 24 Medaglie d'Argento e 92 di Bronzo al Valor Militare, nonché 342 Encomi Solenni.
Domata la rivolta, a premiare il valore collettivo dei componenti della Divisione il Governatore Conte Volpi concesse ad essa sul campo la Croce di Guerra al Valor Militare con la seguente assai significativa motivazione:
"Strumento armoniosamente perfetto di abilità professionale e di efficienza bellica, partecipando con alto sentimento del dovere, fulgido spirito di sacrificio, esemplare ardimento a tutte le fasi della campagna, contribuiva brillantemente al successo finale, direttamente o indirettamente riaffermando in ogni incontro coi ribelli le glorie più pure dell'Arma. - Tripolitania, campagna contro i ribelli l922-1923".
Successivamente i reparti zaptié unitamente ai carabinieri presero parte a tutte le operazioni militari del 1924 nel sud bengasino (18 gennaio - 4 febbraio 1924), al combattimento di Sidi el Homri (10 febbraio 1924), alle operazioni sul Gebel Abid (11 marzo - 2 aprile 1924), ed a quelle sul Gebel Auaghir (26 giugno - 6 luglio 1924), durante le quali ultime anche lo squadrone zaptié di manovra della Divisione, costituito ed opportunamente addestrato sin dal dicembre 1923, meritò l'Encomio Solenne concesso dal Governatore con ordine speciale del 2 luglio 1924.
Dalla metà di aprile a tutto il giugno dello stesso anno 1924, inoltre, al Comando della Divisione venne affidata la direzione di uno speciale importante servizio di grande polizia per liberare i dintorni della città di Bengasi e tutta la piana adiacente dalle bande di ribelli che numerose vi si erano infiltrate e che vi scorrazzavano audacemente.
A partire dal 1° gennaio 1914 sino all'aprile del 1925 i componenti la Divisione dell'Arma della Cirenaica, nazionali ed indigeni, presero parte a ben 98 combattimenti e conflitti, ottenendo 22 Medaglie d'Argento, 48 di Bronzo e 20 Croci di Guerra al Valor Militare, oltre che 377 Encomi Solenni.
Allo scoppio del 2° conflitto mondiale, gli zaptié dell'Africa Settentrionale entrarono a far parte dell'ingente dispositivo apprestato dall'Arma per le operazioni su quel fronte.
Nell'Africa Orientale, all'inizio delle operazioni, l'organico dei militari indigeni dell'Arma consisteva nel suo complesso in 140 scium-basci, 224 buluc-basci, 450 muntaz, 2.186 zaptìé e 500 allievi zaptié, che affiancarono ovunque valorosamente i reparti nazionali dell'Arma. Una compagnia zaptié, componeva con due Compagnie di Carabinieri, il Battaglione comandato dal maggiore Alfredo Serranti che si sacrificò eroicamente a Culqualber, dopo tre mesi di resistenza.

Tratto da: www.carabinieri.it

Nalla foto: Zaptiè Eritrei in visita alla Legione Allievi Carabinieri di Roma 1912.

 
 
 

ASCARI POLIZIA. ALTRI ITALIANI

Post n°74 pubblicato il 25 Agosto 2008 da wrnzla


ASCARI POLIZIA.

ALTRI ITALIANI

La PAI (Polizia Africa Italiana) e i suo "Ascari"

Gli eritrei sono sempre stati dei magnifici guerrieri. Già nel 1885, allo sbarco degli italiani a Massaua , una milizia di indigeni era stata arruolata al servizio delle nostre truppe e da allora, sotto il Tricolore questi soldati indigeni, chiamati Ascari avevano versato il loro sangue al fianco dei soldati italiani, nelle campagne coloniali dei primi anni ’90 dell’800, nella guerra d’Abissinia terminata con il disastro di Adua dove migliaia di ascari erano caduti al comando degli Ufficiali italiani ed al fianco degli alpini, dei bersaglieri, dei fanti e degli artiglieri italiani e dove le poche centinaia di ascari superstiti, colpevoli di avere servito con fedeltà il Tricolore, vennero orrendamente mutilati dagli abissini vincitori. Poi era stato il momento della Libia e della conquista dell’Impero d’Etiopia del 1935-36 dove gli ascari eritrei e somali, ma anche i meharisti ed i savari libici avevano versato il loro sangue per l’Italia, non sempre ringraziati come meritavano. Furono infatti gli ascari eritrei i primi ad entrare in Addis Abeba nel maggio 1936, ma per la propaganda fascista era inaccettabile che dei negri , per quanto al servizio del Regio Esercito, avessero conquistato l’obiettivo finale della guerra voluta dal Regime, prima dei bianchi conquistatori ed il coraggio degli ascari venne passato sotto silenzio.

Tags: Ascari Eritrea. Ascari Eritrei.

Ma anche se per Roma erano solo dei barbari, ad Asmara, Mogadiscio ed Addis Abeba gli ascari erano dei soldati rispettati. Se un ufficiale si permetteva di assumere nei loro confronti dei comportamenti razzisti e sviliva la loro dignità di Uomini e Soldati, gli ascari rifiutavano di obbedire al capetto presuntuoso ed a quel punto per lo sventurato ufficialetto la fine era segnata, i suoi stessi Superiori lo avrebbero senza pietà trasferito in un fortino situato nei pressi di qualche palude malarica dell’entroterra, a meditare sui propri errori, poiché i Comandanti coloniali rispettavano di più il parere dei propri Ascari che quello di un qualsiasi borioso, convinto che fosse il colore della pelle a fare l’Uomo. Fu in quello stesso 1936 che, di fronte alla feroce guerriglia degli etiopi venne deciso di creare un corpo di Polizia Coloniale sul modello britannico, per garantire la sicurezza nell’Impero appena conquistato.

Il suo primo comandante, il generale Riccardo Maraffa un brillante organizzatore e un valoroso Ufficiale amato dai propri uomini, volle questo corpo, denominato P.A.I. (Polizia dell’Africa Italiana), formato da agenti bianchi ed indigeni, i cosiddetti ascari di Polizia. E’ un’organizzazione splendida, dal promettente e rapido sviluppo, e per i ragazzi dei mille villaggi eritrei, somali, libici ed anche etiopi dove la guerra fa parte della crescita di un giovane, la P.A.I. rappresenta una prospettiva eccitante. Si prospetta loro l’avventura e il prestigio di un ruolo importante nella società coloniale. Dopo, quando ritorneranno a casa nella loro splendida uniforme, avranno potuto risparmiare abbastanza per poter farsi una famiglia e una posizione rispettabile. Migliaia di giovani dell’Africa Orientale entrano nella Polizia, anche se, guerrieri sino al midollo sono un po’ perplessi dalla sua qualifica civile. Entrano nelle Questure, nei Battaglioni e nelle Bande indigene, motorizzate ed a cavallo, che si incaricano della sicurezza nei territori appena conquistati. Spesso il loro arruolamento viene deciso nella piazza centrale del villaggio, dove un giovane tenente li arruola scrivendo a matita il loro nome su un quadernetto… Alì Bescir – arruolato- 10 lire x settimana. Combattono contro le bande di ribelli nell’Impero poi, dal 10 Giugno 1940 nella II Guerra Mondiale, nella quale sono precipitati come tutti i sudditi del Regno d’Italia e dell’Impero d’Etiopia. Gli Ascari di Polizia, Carabinieri, Esercito e Marina, si battono sin dal primo giorno di guerra, sui fronti dell’Egitto, del Sudan, della Somalia Britannica e del Kenia e cadono al fianco dei loro commilitoni italiani. Come il muntaz (appuntato) Alì Idris, Caduto insieme al suo vicecomandante, il vicebrigadiere Luigi Orecchioni, che ha rinunciato ad un’operazione chirurgica per non dovere abbandonare i propri uomini e che per il suo Valore è stato decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Su Alì non sappiamo nulla, né il nome, né l’età. Sappiamo solo che morì al fianco di Luigi, suo Comandante e Amico, al servizio di una Patria che considerava propria. E come lui, tanti altri Alì Idris caddero sui campi di battaglia dell’Impero e della Libia. Gli ascari di Polizia combatterono tenacemente contro gli inglesi in mille battaglie, sino alla resa della fortezza di Gondar il 27 Novembre 1941, ma anche oltre nella resistenza degli italiani contro l’invasore, sino al 1943 ma anche oltre. Gli ascari eritrei, decisi a fondare una nuova Nazione, iniziarono negli anni ’60 una guerra di liberazione contro l’Etiopia, conclusa solo alla fine degli anni ’90 con la nascita dell’Eritrea. Ancora oggi, a più di sessant’anni dalla fine dell’Impero, ci sono vecchi ascari delle Forze Armate, dei Carabinieri e della Polizia che si presentano nelle nostre ambasciate di Addis Abeba e Asmara per riscuotere i pochi soldi della loro pensione. Anni fa il nostro Ministero degli Esteri propose loro di liquidare generosamente e subito la loro pensione, ma i nostri Ascari rifiutarono. Entrare nelle sedi diplomatiche italiane e salutare militarmente il Tricolore per il quale da giovani erano andati all’assalto per “fare Savoia” era molto più importante che avere quattro soldi in più. Era un legame con una Patria lontana che avevano amato disperatamente e con passione, quando ancora la loro Patria africana non esisteva. Nel corso delle nostre ricerche abbiamo trovato i nomi di solo una dozzina di Ascari della Polizia dell’Africa Italiana, per la maggior parte eritrei ma anche somali e libici Caduti per l’Italia, quando in realtà furono letteralmente centinaia, i cui nomi sono stati ormai cancellati dalla Storia. Non c’è alcun monumento o lapide che nel nostro Paese ricorda il sacrificio degli Ascari, ad eccezione di quella dozzina di lastre di pietra con i Loro nomi inseriti nel Sacrario dei Caduti della Polizia di Stato a Roma. Come Poliziotti siamo onorati che la nostra Amministrazione, unica tra tutti i Corpi Armati dello Stato, abbia ricordato almeno quei Dodici, rappresentanti dei tantissimi Ascari della P.A.I. morti per l’Italia, inserendo i Loro Nomi tra gli altri Fratelli Caduti. Poliziotti tra altri Poliziotti, Italiani tra altri Italiani. Ora i vecchi ascari di Polizia lentamente stanno andandosene tutti, in silenzio, con la dignità di vecchi Poliziotti e Soldati. In silenzio ritornano alle loro Bande, ai loro Battaglioni e alle loro Questure e riprendendo il loro posto ritrovano i Fratelli perduti, italiani bianchi e neri. Tutti, che siano caduti in battaglia a vent’anni oppure deceduti ormai anziani nelle loro case, hanno lo stesso volto di allora e riprendono la marcia interrotta sessant’anni fa. Alla loro testa c’è il loro amato Comandante, il generale Riccardo Maraffa, il quale dopo averli comandati in vita, ora li guida verso l’Eternità.

Fabrizio Gregorutti
Tratto da: www.cadutipolizia.it

Nella foto: Elementi della Scorta Vicereale della P.A.I. in grande uniforme (quelli con la penna sono dello Squadrone montato)

 
 
 
 
 

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Un blog di: wrnzla
Data di creazione: 27/05/2005
 

 
   Agli Ascari d'Eritrea 

- Perchè viva il ricordo degli Ascari d'Eritrea caduti per l'Italia in terra d'Africa.
- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare alla bandiera al corpo Truppe Indigene d'Eritrea.
- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare al gagliardetto dei IV Battaglione Eritreo Toselli.

 

 

Mohammed Ibrahim Farag

Medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria.

Unatù Endisciau 

Medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria.

 

QUESTA è LA MIA STORIA

.... Racconterà di un tempo.... forse per pochi anni, forse per pochi mesi o pochi giorni, fosse stato anche per pochi istanti in cui noi, italiani ed eritrei, fummo fratelli. .....perchè CORAGGIO, FEDELTA' e ONORE più dei legami di sangue affratellano.....
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A DETTA DEGLI ASCARI....

...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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