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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Messaggi del 24/04/2009

La nascita della Cavalleria Coloniale Italiana.

Post n°255 pubblicato il 24 Aprile 2009 da wrnzla

LA NASCITA DELLA CAVALLERIA COLONIALE ITALIANA
Tratto da: www.warfare.it

La cavalleria coloniale italiana: 1885-1897
di Nicola Zotti

Le unità “Metropolitane”

Tra gli 8-9 mila uomini della divisione rinforzata che agli ordini del Colonnello Tancredi Saletta doveva occupare militarmente Massaua nei primi mesi del 1885, erano previsti circa 240 uomini di cavalleria su due squadroni.

La tabella di costituzione precisamente indica 14 ufficiali con 27 cavalli, 239 uomini di truppa con 204 cavalli da sella e 4 da tiro, e 22 muli da trasporto.

i Cacciatori a cavallo

Il primo nucleo di cavalleria coloniale fu costituito nel febbraio 1885 con un reparto tratto dal Rgt. Cavalleggeri di Caserta (17mo), uno Squadrone che venne aggregato al corpo di spedizione del colonnello Saletta solo in giugno.

il 26 gennaio 1887 questo Squadrone fu impegnato nel combattimento di Saati e 3 giorni dopo, il 29, a Dogali.

Il secondo Squadrone previsto dai piani militari venne costituito nell’aprile 1887 con elementi provenienti da ben 7 Reggimenti di Cavalleria (Foggia, Alessandria, Lodi, Lucca, Guide, Roma e Padova) e assunse la denominazione di 1mo Squadrone “Africa”.

Due anni di campagna africana avevano però suggerito una riorganizzazione delle truppe di cavalleria coloniale.

Nel novembre del 1887 fu infatti costituito un nuovo squadrone che assunse la denominazione di 2o Squadrone “Cacciatori a Cavallo”, con elementi del 24mo Reggimento “Vicenza”, appena creato. I “Cacciatori a Cavallo” furono armati della lancia di cavalleria di ordinanza, modello 1860: lunga circa cm. 260, in legno di frassino, fibroso e resistente, verniciato di nero fino al 1895 e successivamente color noce.

Completava l’armamento del cavaliere il moschetto da cavalleria mod. 1870, ma la cavalleria coloniale adottò una baionetta con una lama di cm. 30 per lasciare spazio nel vano della cassa alla scatola serbatoio.

A fine dicembre 1887, tra lo Squadrone già di stanza a Massaua e quello arrivato con i rinforzi del Corpo Speciale d’Africa, la cavalleria coloniale italiana raggiunse i 2 Squadroni originariamente previsti.

La nascita della cavalleria indigena

Il primo nucleo di cavalleria indigena nacque dalla banda del Sangiac Adam Aga che comprendeva 30 indigeni, chiamati nei documenti ufficiali “arabi doifer”, montati su muletti e cammelli corridori.

La spedizione Di San Marzano (dal novembre 1888 al maggio 1889) fu la prima ad utilizzare l’unità, integrandola con 2 ufficiali e 25 cavalieri nazionali.

III° Gruppo Squadroni Cavalleria Coloniale. " Celerrime ad Metam"


le Penne di Falco

Questo plotone di esploratori, noto anche come “Orda Kaiala”, il 30 giugno 1889 fu trasformato dal Generale Oreste Baratieri in uno “Squadrone Esploratori”, sempre formato da elementi misti, italiani e indigeni.

L’importanza che Baratieri assegnava a questo Squadrone era sottolineata dalla scelta del suo comandandante, individuato in uno degli ufficiali di Stato Maggiore più in vista: il capitano Pietro Toselli che, diventato Maggiore, il 7 dicembre 1895 morirà ad Amba Alagi.

Il 3 ottobre 1889 lo Squadrone Esploratori prenderà parte all’occupazione di Asmara e il 26 gennaio 1890 parteciperà alla prima occupazione di Adua, col corpo di spedizione del generale Orero.

Tra Primavera e Autunno del 1890 con il 1mo Squadrone metropolitano “Africa” e con cavalieri indigeni si costituiscono 2 Squadroni di cavalleria ascara.

Il primo assume la denominazione ”Asmara” e il secondo, di nuova formazione, di “Cheren”: con 5 ufficiali, 25 graduati e cavalieri italiani e 127 indigeni . Il “Cheren” diventerà famoso per le “Penne di Falco” che ornavano il loro Tarbusc rosso e per le lance con asta di bambù (invece del frassino di ordinanza) di cui vennero dotati.

Completavano l’armamento delle cavallerie indigene il moschetto Vetterli da cavalleria modello 1870/87, la pistola a rotazione modello 1874, la sciabola da cavalleria modello 1871. Spesso quest’ultima veniva sostituita da armi indigene come la Shotel e la Guradé e immancabilmente faceva bella vista di sé nel cinturone un pesante coltello da caccia indigeno.

Il 21 dicembre 1893 i due Squadroni di cavalleria indigena vengono impegnati in una carica nel secondo combattimento di Agordat e contribuiscono alla vittoria.

Nel febbraio dell’anno successivo lo Squadrone “Asmara” viene sciolto in seguito ad un nuovo ordinamento delle truppe d’Africa.

Le Penne di falco del Cheren dal 12 al 17 luglio 1894 saranno duramente impegnate nella presa di Cassala.

Il reparto comprendeva 4 Ufficiali e 3 uomini di truppa italiani e 130 ascari indigeni, con 119 cavalli e 19 muletti.

In questa occasione, il Capitano del Cheren, Conte Francesco Carchidio Malavolti, ottenne la prima Medaglia d’Oro al Valor Militare di una formazione di cavalleria indigena.

La colonna italiana avanzava verso Cassala in due formazioni a quadrato, una di avanguardia e una col grosso, quando intercettò una formazione di cavalleria baggara, una popolazione nomade arabizzata che costituiva l’elite delle truppe delle truppe del Mahdi.

Il Cheren uscì dal quadrato principale per spingere i baggara verso il fuoco del’avanguardia. La carica del Cheren disperse i sudanesi ma ne seguì una mischia disordinata nella quale prevalse il numero delle truppe del Mahdi.

il Capitano Carchidio Malavolti si trovò isolato e morì colpito da 11 colpi di lancia. Con lui caddero anche 18 ascari.


Cavalleria coloniale in azione

Gli ultimi combattimenti dell'Ottocento

Raggiunta una definitiva stabilità organizzativa, la cavalleria coloniale nelle sue componenti metropolitane e indigene verrà utilizzata nei principali fatti d’arme in terra d’Africa della fine del secolo.

Questo l’elenco:

18 dicembre 1894 – Halai
13 e 14 gennaio 1895 – Coatit e Senafé
9 ottobre 1895 – Debra Ailà
7 dicembre 1895 – Amba Alagi
8 dicembre 1895 – 22 gennaio 1896 – Macallé
1 marzo 1896 – Adua
2-3 aprile 1896 – Monte Mocram e Tucruf
Gennaio-febbraio 1897 – Campagna contro i dervisci

Bibliografia

Ufficio Storico SME, “Storia militare della colonia eritrea”, Roma 1936, Tipografia Regionale.
Pezzi ed altri, “Fasti della Cavalleria italiana”, Milano, Ravagnati, 1939.
Rotasso e Ruffo, “l’armamento individuale dell’Esercito italiano da 1861 al 1943”, Ufficio Storico SME, Roma 1995.

 
 
 

Post N° 254

Post n°254 pubblicato il 24 Aprile 2009 da wrnzla

A Mai Ceu gli ascari stettero fermi.....

www.benitomussoliniforum.com

.....Avevano sommato al loro carattere che è fondato su una misura incredibilmente esatta del diritto e del dovere ,quanto dire sulla più rigorosa interpretazione della giustizia, l'orgoglio di portare l'uniforme.
Un uomo senza uniforme, per l'ascari è un essere trascurabile o, almeno, un tenente in borghese. L'uniforme gli ricorda continuamente il dovere di ammazzare il nemico, di non mollare la posizione.
La guerra è ridotta ai termini più semplici per un ascari: restare o sgabbare (fuggire). Chi resta è buon combattente, chi scappa è una femmina, tutto qui. Dopo l'Amba Aradam il massimo elogio che meritarono gli alpini fu quello degli ascari: «Albini stare fermi, nemico sgabbare ». Tutto sommato è una sintesi assai felice del combattimento. A Mai Ceu gli ascari di quel meraviglioso x battaglione, stettero fermi. E morirono tutti accanto alle mitragliatrici.
Nei primi tempi di questa guerra etiopica la propaganda di Addis Abeba tentava di far leva sullo spirito religioso degli ascari copti cercando di diffondere la notizia che l'Italia avrebbe mandato avanti contro i fratelli » scioani soltanto truppa di colore. E per certo momento in piccola parte la propaganda ebbe qualche effetto. Nei battaglioni eritrei circolava qualche senso diffidente. I soldati neri volevano vedere come si battevano gli italiani.
Dall'Aradam al Tembien, allo Sciré all'Ascianghi quelle masse di combattenti, a sera, dinanzi al fuocherello del tè si raccontavano ciò che avevano appreso ti combattimenti sostenuti dai soldati bianchi.


I ricordi di Adua 1896, riportati dai più vecchi ai più giovani trovavano conferma. Gli ufficiali dei battaglioni eritrei davano quotidianamente la prova di che valesse un bianco. La grande percentuale di ufficiali caduti alla testa delle loro formazioni indigene conferma quella imperiosa necessità imposta da fattori psicologici di fondamentale importanza di mostrare prima di tutto alle truppe eritree il valore dei soldati che conquistavano il suolo abissino. Più che per l'ufficiale comandante il reparto bianco, per quello chiamato alla testa di ascari, il pericolo non ha da esistere, nemmeno come ipotesi. Nelle più intense e rabbiose piogge di pallottole egli ha da conservare il suo posto, a cavallo del muletto, eretto e indifferente, esposto per il primo alla morte, e per di più guardare negli occhi ad uno ad uno i suoi uomini, dominarli e condurli ,indirizzarli e muoverli con un gesto del suo frustino. La vita dell'ufficiale non conta, conta il tenere la posizione, ricacciare il nemico ,sbaragliarlo. Conta sapere custodire la vita degli ascari ,risparmiando le perdite, indicando dall'alto della sua sella i nascondigli adatti, interpretando il terreno del combattimento per manovrarvi gli uomini come pedine, in un giuoco lucidissimo, che il soldato nero capisce e segue con una meticolosa obbedienza, poiché sa perfettamente che dalla sua obbedienza dipende anche la sua vita. Questo dono incondizionato che l'ascari fa della sua esistenza nelle mani dell'ufficiale si traduce in quella espressione tipica, cento volte ripetuta dai gregari: “Tu stare mio padre e mia madre “. All'ufficiale l'ascari confida le sue pene di cuore, i suoi progetti, il suo danaro risparmiato, le sue intenzioni, i suoi ricordi, le sue speranze. L'ufficiale diventa così una specie di sacerdote di quei combattenti, ha una legge alla quale l'ascari obbedisce ciecamente. Ma guai se nel giudizio suo egli s'avvede di aver riposto la sua fiducia in un capo che commette ingiustizia. L'ascari ha un modo speciale di disapprovare il suo ufficiale: fa l'abiet. Al momento del saluto alla bandiera presenta le armi. Al pied'arm non obbedisce. Rimane impalato il fucile proteso secondo il regolamento, immobile, muto. S'intende allora che v'è qualcosa che non va. è stata commessa una ingiustizia, è stata inflitta una punizione sbagliata. Siccome il senso della solidarietà è unanime così nella protesta come nell’approvazione ( dopo una punizione manuale che si applica presente l’intera formazione indigena, il punito e i suoi camerati gridano “harrai” ,”va bene”; un abiet denuncia uno stato d’animo pericoloso. Quasi sempre l’ascari non sbaglia quando protesta.....

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: wrnzla
Data di creazione: 27/05/2005
 

 
   Agli Ascari d'Eritrea 

- Perchè viva il ricordo degli Ascari d'Eritrea caduti per l'Italia in terra d'Africa.
- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare alla bandiera al corpo Truppe Indigene d'Eritrea.
- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare al gagliardetto dei IV Battaglione Eritreo Toselli.

 

 

Mohammed Ibrahim Farag

Medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria.

Unatù Endisciau 

Medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria.

 

QUESTA È LA MIA STORIA

.... Racconterà di un tempo.... forse per pochi anni, forse per pochi mesi o pochi giorni, fosse stato anche per pochi istanti in cui noi, italiani ed eritrei, fummo fratelli. .....perchè CORAGGIO, FEDELTA' e ONORE più dei legami di sangue affratellano.....
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A DETTA DEGLI ASCARI....

...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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ASCARI A ROMA 1937

 

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