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Post n°106 pubblicato il 22 Febbraio 2014 da zag.reus
Non voglio una pistola,
sparerei a un essere,
e quello saprei – essere io
con ginocchia da ragazzo
sbucciate o schiacciate nel buio,
tra poltrone di un cinema
senza più schermo e pallottole
che fischiano nel vento
Ricordo le tue lettere
sotto la pioggia,
le mie parole dopo
l’illusione; continuavamo
a intrecciare incontri
e parole, era un plot
senza copione, stava
in piedi solo per la bravura
di noi attori-esseri di strada
Tu: la donna del film dopo,
io: di tutto il dopo l’uomo;
del mai prima per te,
del senza primavera,
dell’eterno autunno
del nostro scontento incontro,
incendiato dai colori del vino
nel cielo, nei baci,
nel tormento dei sogni,
nelle sparatorie della realtà.
Un duello d’inverno,
con in canna
una notte d’agosto
in agguato, sterminata
nel tempo tra le stelle,
le costellazioni dei ricordi
ritagliate sulla pelle sudata
come sedizione celeste dei sensi
Ora l’aria è uno schermo
sgualcito sulle mura mute,
sbrecciate delle strade,
sbucciate le ginocchia,
le ossa schiacciate nel saloon,
cieco rimango dei tuoi occhi
non voglio una pistola, solo
a quell’essere-io nel film
ormai saprei sparare.
(Zagreus_va) |
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”… sapendo che arriverà l’inverno…”: sapendolo chi? Nella scena un personaggio canta: “Un altro inverno verrà, cadranno mille petali di rose, la neve coprirà tutte le cose”. Noi gli crediamo, abbiamo fede nelle sue struggenti parole, nel suo credo, ma questo non significa che lo sappiamo, ovvero che ne siamo certi.
”Questa è la vita, saper cogliere l’attimo, non farlo morire prima di nascere”. Splendida battuta di dialogo, la scena ne ha bisogno per caricare la pistola: nascere, morire, essere, non essere, le migliori pallottole già dai tempi di Amleto e del suo “C’è del marcio in Danimarca”.
”… se non ci credi, è finita, è la morte…”, invece per chi ci crede, per te cos’è? Non è un vero avanti, ma appena – qualche strascicato passo più avanti.
Ti ringrazio dell’esortazione, Eva... una vera valanga... Polvere e pallottole contro gli inseguitori del passato sulla scena... I copioni, però, non si riscrivono, si dissotterrano dalla sabbia delle parole abusate.
No, non possiamo vedere, esperire tutto, perché noi siamo solo una parte di quella totalità, sebbene inseparabile, non isolabile. Questo, però, non ha niente a che fare con l’illusione, perché in questa, al contrario, qualche cosa lo vediamo o immaginiamo di vederlo, ossia abbiamo una qualche sua immagine interiore. Il resto non è un’illusione e, infatti, non lo vediamo. Se lo vediamo non è il resto, è una produzione interiore – per quanto inconscia – del nostro volere che le cose siano e appaiano in un certo modo.
Non posso vedere i granelli minuti di sabbia, esperire il calore di una spiaggia caraibica e simultaneamente sentire sulla pelle l’aria tersa, frizzante e rigida della cima del monte Fuji o vedere il biancore accecante della sua neve, anche se mi piacerebbe. L’essere non si dà mai nella sua intera estensione. Se sto dentro il quadro caraibico, io sono quel quadro, inseparabile, non isolabile da esso: come potrei essere, esperire simultaneamente anche l’altro?
Il mio tavolo da lavoro è inseparabile, non isolabile dalle parole, dai pensieri che poggiandovi sopra sto scrivendo e che ora tu leggi. Esistendo queste parole, esiste necessariamente anche il mio tavolo, e con una pari importanza esistenziale di quelle.
Il fatto che io dia importanza alle tue parole, applicandomi a tentare di rispondervi con la massima cura e attenzione, significa che la do anche alle superfici sopra cui le scrivi... anche se poi mi vengono addosso come una slavina giù dal monte Fuji, mentre sonnecchio tranquillo sotto una palma nella brezza dorata del Caribe.