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Post N° 13

Post n°13 pubblicato il 23 Settembre 2005 da gh0std0g
Foto di gh0std0g

«Tout ce que je sais, c'est que je ne suis pas marxiste»

(K. Marx, riportato da F. Engels in una lettera a Conrad Schmidt del 5 agosto 1890)

Quello che più mi butta giù, è la mancanza di fantasia. Uno rilegge Marx, che per quanto possa piacere o non piacere non si può dire sia un autore che non ha avuto un peso, e fa partecipi altri delle sue riflessioni al riguardo. E subito parte l'etichetta di comunista. Come se fosse semplice definirsi comunista. Marx, che era uomo dall'intelligenza profonda e complessa, e soprattutto che non ha mai rinunciato a cambiare idea se si accorgeva che la realtà smentiva le sue previsioni e i suoi schemi,  rispondeva così a quelli che, già attorno al 1870, pretendevano di definirsi "marxisti". Diceva in sostanza, non trasformatemi in un'etichetta, sono un uomo. Ma da sempre l'etichetta è la risorsa di chi non ha risorse, l'arma monotona ma a quanto pare efficace del non pensiero alla Bondi e Schifani, replicato all'infinito nella retorica anticomunista fuori tempo massimo con cui la stampa "indipendente" e "fuori dal coro" copre il nulla della proposta politica dei Signori che una parte di questo paese ha designato a governarci. E con l'etichetta di comunista, ecco tutti i luoghi comuni conseguenti ripetuti fino alla nausea: la siberia e cuba e la corea, e i paradisi del socialismo reale, stalin e pol pot e per finire, ovviamente, le foibe. Come da manuale del perfetto Schifani. Qualche altro argomento, magari un po' più legato alla realtà che stiamo vivendo oggi? Sarebbe bello discutere pacatamente, ad esempio, di cosa si intende per mercato e di cosa significa essere liberali oggi. Ma, dimenticavo, ci sono altri argomenti, assai più efficaci: per esempio, abbiamo appreso recentemente che quelli di sinistra sono antipatici. E che gli Americani hanno inventato l'elettricità. E Vabbè.

Ma lasciamo perdere. Ho detto che mi piace perdere tempo, ma a tutto c'è un limite.

Piuttosto, questa cosa delle etichette fa riflettere su un'altra cosa. E' possibile oggi definirsi comunisti? Non mi riferisco a chi, ad esempio, usa questa parola come segno di un legame affettivo con una storia, quella del partito comunista italiano, alla quale, pur non avendone fatto parte, guardo con grande rispetto. Costoro usano il termine per orgoglio, quasi in segno di sfida, come a dire che non hanno nulla da vergognarsi per il fatto di essere stati parte del PCI. Un atteggiamento che capisco e che rispetto, ma vorrei andare oltre. Chi è veramente comunista oggi? Quando ho iniziato la mia riflessione su Marx, la prima cosa che mi ha colpito è che il comunismo nasce nell'800. Nasce nell'800 e si può dire che muore nell'800, perché già dopo il 1870 e la Comune di Parigi, il termine cade in disuso. Gli stessi Marx ed Engels ne fanno un uso sempre più prudente, e verso la fine della loro vita il loro pensiero è molto mutato rispetto a quanto si legge nel Manifesto, anche se Engels continuerà a proporre questo testo (un capolavoro di vis polemica, del resto) come base di riflessione politica per il movimento operaio. Nel frattempo, ll pensiero di Marx è ripreso e rielaborato e spesso stravolto da un'infinità di correnti che lo piegano ai più vari fini. Alla fine dell'800, il termine comunista era caduto in disuso, la maggior parte del movimento operaio che si rifaceva alla lezione di Marx si definiva "socialista" e sostanzialmente aveva accettato, con l'ultimo Engels, la sfida di una realizzazione graduale e per via democratica, attraverso il suffragio universale, delle conquiste sociali. Il termine "comunista" viene sostanzialmente riesumato da Lenin, come segno del ritorno del suo movimento alla purezza delle origini contro le "degenerazioni" del "revisionismo" socialdemocratico.

Scrive Lenin all'inizio del 900: «noi dobbiamo chiamarci Partito comunista, come si chiamavano Marx e Engels. Noi dobbiamo ripetere che siamo marxisti e che prendiamo per base il Manifesto del partito comunista, svisato e tradito dalla socialdemocrazia su due punti principali: 1) gli operai non hanno patria; la difesa della patria nella guerra imperialista significa tradimento del socialismo; 2) la teoria marxista dello stato, svisata dalla Seconda internazionale».

L'enfasi con cui Lenin insiste sul fatto che occorre "chiamarsi" comunisti e marxisti, la dice lunga sulla sottile consapevolezza di come quanto i bolscevichi si accingevano a fare in Russia, pur pretendendo di assumere a base teorica la riflessione di Marx, ne fosse in realtà distante. Da qui, tutta la storia dei socialismi reali e del comunismo del ventesimo secolo, per cui possiamo rinviare ai libri sulle foibe e altre amenità del genere, per gli appassionati.

Mi scuso per la digressione  e torno alla domanda. Cosa significa essere comunisti oggi? Se si vuole essere fedeli al significato originario del termine, comunismo significa credere: a) alla lotta di classe: b) all'appropriazione dei mezzi di produzione da parte del proletariato, e conseguentemente c) all'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, e infine d) alla instaurazione della società senza classi e senza stati.

Più in profondità, il comunista non crede nello stato sociale. Il comunista sa che lo stato sociale è uno strumento con cui il capitalismo si è assicurato la propria sopravvivenza. Il comunista opera per il sovvertimento del capitalismo, crede nell'inevitabilità del crollo del sistema capitalista e lavora per accelerarlo.

Risulta ora ben chiaro che non si può qualificare comunista uno come Bertinotti, che con le sue proposte di tutela dei salari e di tassazione delle rendite si inserisce nella più pura tradizione socialdemocratica. Così come meno che mai possono considerarsi comunisti figure come il Casarini o certi finti rivoluzionari, l'esito della cui azione è solo rafforzare l'apparato repressivo e l'autodifesa delle istituzioni esistenti. In questo senso, se oggi ci sono dei comunisti, dei veri comunisti intendo, è probabile che siano ben nascosti, che operino nei gangli vitali del sistema nella convinzione di determinarne il crollo. Non mi stupirei di trovarne nell'organigramma di certe multinazionali, ad esempio, a muovere capitali. O dietro le quinte della società dello spettacolo. E del resto, a pensarci bene, gli eredi più genuini del Marx delle origini forse sono proprio i situazionisti di Guy Débord e del suo "la società dello spettacolo".

Al di fuori di ciò, non vedo chi nella situazione attuale possa correttamente (a parte ogni moto di orgoglio e ogni slancio sentimentale) definirsi comunista e assumere il comunismo come prassi politica. E' già tanto, con i tempi che corrono, se si riesce ad immaginare la possibilità di praticare un moderato socialismo. Quanto a me, per quanto non credo possa interessare più di tanto, ho avuto una formazione liberale, con sfumature vagamente libertarie, comunque molto lontana dal marxismo. Successivamente, a partire dalla metà degli anni ottanta, mi sono spostato più a sinistra (mi pare alquanto in controtendenza rispetto ai tempi), e se ora dovessi definirmi potrei usare (forse, e con qualche distinguo, vista la compagnia in cui verrei a trovarmi) il termine "socialista". Ciò non mi impedisce di votare per i DS o anche più a sinistra, perché come ho detto (e come dovrebbe essere evidente a chiunque abbia anche solo provato a studiare un pochino questi temi) la sinistra italiana di oggi (compreso Bertinotti e tutta l'ala più radicale) si può al massimo ricondurre alle tante varianti, più o meno "spinte" o "moderate", della socialdemocrazia.

Detto con tutto l'affetto e il rispetto per chi ha l'orgoglio di continuare a chiamarsi "comunista", a difesa di una storia complessa, a volte tragica ma anche gloriosa, e soprattutto della memoria individuale e collettiva di milioni di italiani per bene.

Nella foto: l'unico vero marxista, cui si deve la storica frase "non vorrei mai fare parte di un club che accetta uno come me tra i suoi membri".

 
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