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Post n°162 pubblicato il 10 Agosto 2011 da HansSchnier
Su «la Repubblica» di oggi c'è - a nome della casa editrice Einaudi - il necrologio di Rosa Calzecchi Onesti, «impareggiabile traduttrice» dei classici latini e greci. Si è sprecata, l'Einaudi. Un necrologio così banale sapevo scriverlo pure io. In Italia, le traduzioni omeriche e virgiliane della Calzecchi Onesti sono state una boccata di aria buona, direi un'irruzione di verità, con tutto il rispetto per chi è affezionato a Ippolito Pindemonte e Annibal Caro... Chissà dov'è finita la mia copia dell'Eneide tradotta dalla Calzecchi Onesti, con il testo a fronte, che una trentina di anni fa uscì negli Oscar Mondadori. Una traduzione «di servizio», volutamente fedelissima all'originale e alle insicurezze del poeta, ai versi lasciati a metà del grandioso work in progress che Virgilio avrebbe voluto dare alle fiamme. Carta ruvida, «pulp», da edizione supereconomica. Almeno così mi ritorna in mente, adesso. (Dopo tanto tempo non garantisco, non è escluso che stia sparando cazzate, scusatemi.) Certo i ricordi più belli, per me, sono legati all'Odissea della Piccola Biblioteca Einaudi, su carta sottile bianchissima, quasi carta velina, quasi una Bibbia in formato ridotto... L'italiano ha dimostrato tutta la sua duttilità, grazie a questa traduttrice che ci ha restituito un Omero sapido, nobilmente semplice, fatto di carne e sangue, mare e terraferma, avventura e intimità domestica.
Così tali parole fra loro dicevano: Odissea, XVII, 290 ss. - |
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