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Il Mare e lo Spirito

Post n°329 pubblicato il 31 Gennaio 2011 da Zero.elevato.a.Zero
 

Μακαριοι οι πτωχοι τω πνευματι οτι αυτων εστιν η βασιλεια των ουρανων

 Pataccate

Ci sono alcuni pensieri che mi provocano turbolenze, tutto scaturisce da quella forza scompigliante che è la tempesta, capace di distruggere, ma spero anche di ricostruire. Le raffiche penetrano nei miei pensieri e riecheggiano vicino alla Parola di domenica dove si racconta della beatitudine, che è una promessa immanente di gioia qui e ora, nemmeno in un recondito futuro oltre il velo del trapasso. Una gioia della quale credo naturale il desiderio o quanto meno l’aspirazione.

Beati i poveri di spirito…

Ho accarezzato con cura le parole originali di Matteo, quando Luca si limita a dire solo poveri, la copia originale in greco aggiunge alla parola poveri il concetto dello spirito. Così non mi è lecito pensare che si tratti di una mera questione di beni materiali, di una povertà di mezzi, giacché l’originale ebraico anawim identifica non i derelitti, ma gli umili, coloro che, invece di implorare beni materiali, confidano nel Disegno più alto. Ecco che il termine greco πτωχός (ptocòs) invece non accoglie questa distinzione tanto che il traduttore aggiunge τω πνευματι (to pneumati, in spirito) e lo Spirito, come si sa, è soprattutto vento.
Il povero cui spetta la beatitudine non è quello al quale manca il sostentamento, ma colui che rinuncia al superfluo; non alla terra o all’acqua si affida, ma allo forza dello Spirito. Beato è colui che si piega con un inchino al vento di Inverno.
Cosa pensare allora di quelli che come me a volte, in spregio a tanta saggezza, decidono di accettare il confronto con la tempesta, per il gusto di tendere se possibile la corda dei propri limiti qualche centimetro più in là, per provare una gioia effimera di pochi minuti, sollevati dal vento sopra le onde, mettendo a prova la resistenza della barca, le capacità dell’equipaggio e cercando di prevalere su probabilità sfavorevoli, così da tornare alla fine a terra più ricchi solo di aria nelle orecchie, di quel soffio che non lascia gloria.
Questo è un mio difetto grosso, oggi lo affido a questo pensatoio sperando che vedendolo manifesto, possa ricavarne la ripulsa sufficiente a sfuggirlo in futuro, sì da perseguire su rotta contraria lo Spirito.
In giorni diversi ho pensato di poter essere io a perdonare il mare; ma questa mattina, di fronte a maestosi flutti d’Inverno, ed ora con questa foto sbiadita nella mani, capisco che invece posso solo implorare la sua misericordia e scoprire l’amore che c’è nella severità e nel rigore del Furiano, un amore al quale cedere come ad una carezza, mentre il mugghio del vento sembra sussurrare: Vasileia ton Ouranon.


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