Creato da Manfredi.E il 24/04/2007

Spremi-acume di film

Personaggi e registi o come ciascuno a suo modo spettatori vanno contro altri attori

 

 

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DEVO PUR DIFENDERMI ANCHE IO COME UNO SPARRING PARTNER

Post n°15 pubblicato il 08 Settembre 2007 da Manfredi.E
 

Durata del video, 2min e 55 sec. Per capire i pugni presi.

Mitijo quel lontano giorno d'estate mi suonò al citofono. Scendi, devo parlarti. C'è qualcuno in casa? (che sappia che t'ho cercato?). Passammo un pomeriggio di inizio giugno a gustarci il silenzio che i Mondiali di Calcio regalavano alle Cascine. E parlammo di noi, della nostra amicizia. Ma voleva confidarsi, Mitijo. Di quello che avevo già visto a tavola, a pranzo di un amico del suo ragazzo, mentre usciva dalla stanza preoccupata e mentre lui la strattonava. Già non era un'aria digeribile. Ma accasciammo le nostre bici sul prato ed io vedevo solo il cielo. Sai, non va bene tra me e Federico. Che poi, a chiamarsi Federico! Come in quella canzone di Ivan Graziani, Canzone triste, dove Federico Il Barbarossa l'irlandese buttava giù con rabbia i suoi disegni da Ponte Vecchio -io sono nato da una conchiglia, diceva, la mia casa è il mare con un fiume no, non la posso cambiare- e se ne sarebbe tornato in Irlanda con la sua laurea in Filosofia e una donna da condividere fra te e me. Ma non era il caso di Mitijo. Anche per lei era nell'aria un ritorno in Giappone, i suoi le avevano già spianato la strada in un lavoro statale d'insegnamento tramite amicizie con l'Imperatore.

Sai, Manfredi, mi fa Mitijo, non va bene fra me e Federico, ma non sono i soliti problemi di cui ti dico sempre, sì va be' stiamo insieme per forza di cose, e giù a frasi fatte! Noia, anni. Ma più di ogni altra cosa che mi disturba è che è stato messo in mezzo qualcuno che non c'entra niente.

Guardavo il cielo. La sua mano giocava coi fili d'erba e mi chiamava. Io sorridevo come Roberto DeNiro alla fine di C'era una volta in America fumato d'oppio, illudendomi che la vita non è una gran puttanata di rifiuti, e un'amicizia che si tiene ben salda perché vissuta per strada. Vedevo le nuvole come Totò e Ninetto Davoli e Franco e Ciccio marionette shakespeariane in mano a Modugno. Dai, dimmi qualcosa, Manfre'! Respirai forte, non ce la facevo a dirlo. Aspettai, dillo ora Manfredi! E' il momento. Pausa.

Mitijo! C'entro io tra di voi? E lei inghiottì l'aria, sollevò la testa per dire sì con calma. Non saprà mai, né tanto meno se lo chiese allora, perché doveva aspettarsi questo mio lume di faro, questo mio sospetto. Ed io continuai a guardare il cielo, singhiozzai e piansi a dirotto.

Piansi pensando a quando incontrai la prima volta Federico, per strada. La nostra amicizia era petto a petto. Ma lei mi aiutò, mi disse, cerchiamo di mettere insieme le nostre forze. Perché la prendi così? Abbracciandomi come non aveva fatto mai. Non facciamoci vedere insieme, altrimenti diamo ragione ai pettegolezzi di chi gli ha detto, e non so chi, Federico stai attento il Mercoledì, ci sono troppi cani all’osso. E il tarlo della gelosia lo rosicchiò, lui le controllò il dettaglio chiamate del telefono tramite il suo sito internet ricordandone la password, fece due per tre e le chiese dettaglio del perché e del per come io e lei eravamo sempre così affiatati quando andavamo il mercoledì al circolo del cinema d’autore italiano. Già quell’amico, dove andai a pranzo quel maledetto giorno di giugno, mi mise in guardia di discussioni origliate su gelosie. Già mesi prima, su un porto del Sud dove eravamo andati insieme al gruppo del circolo, Mitijo mi chiese perché le parlavo poeticamente e cosa volevan dire quei messaggi via posta elettronica, intercettata da Federico, è chiaro. Lei mi tranquillizzò, ma io scemo per com’ero non capii che voleva sondare i malumori, pensai che non potevo tradire un amico per quanto lei mi attraesse. Ma quei giorni di giugno comunque seguirono incorciati dalla mia angoscia e dalla mia furia, nell’ansia di raccontare tutto a Federico che io non c’entravo niente, e molti mi dicevano di farmi i fatti miei, di non entrare in merito e di non creare il motivo della separazione, lasciamo che siano altri i veri motivi che in realtà erano tra di loro e non le scuse messe lì a cause.

Dopo giorni lunghi Federico scrisse una lettera a Mitijo. Lei mi diceva tutto e forse sbagliava a coinvolgermi. Ma sapemmo stare in silenzio. Federico la abbandonava perché non andava bene tra di loro, per i motivi che sapevamo ormai, ma io non venni citato. Anche per lei era un lascito con rabbia, l’aveva voluta anche lei la fine di questa storia. Io ufficialmente lo venni a sapere da mio fratello e dopo qualche giorno mi diressi verso Federico, dicendogli, mio fratello mi ha detto questo e questo…ma ora non buttarti giù, riprenditi, esci. Lui era imbarazzato, sul letto, suonava. Accanto un libro di filosofia. Poi ci licenziammo e da allora è sempre freddo e formale il nostro vedersi. Non ci confidiamo più. Per quanto quelle sere prima che decisero la fine, io già sapevo tutto e ci guardavamo negli occhi in lacrime tutti e due e giocammo a pallone, io fingevo e lui forse si sentiva in colpa, ma ero un pessimo attore, non per lui. Perché me lo ricordo quel dribbling e quell’abbraccio, col mio Federico, dopo una partita dell’Italia, al buio di un giardino con tanti amici, al buio di una sera di Firenze tra l'edilizia anni 60. La vittoria ci faceva giocare. Ora non ci confidiamo più, ma siamo sereni dopo quella vittoria del nostro silenzio.

Il luglio passò e con Mitijo decisi che era ora la prendessi tanto che volevo farmela. La abbracciai una sera sul lungarno. Con una storiella dell’antica Grecia. Apollo innamorato di una ninfa, rincorrendola e non riuscendo ad acciuffarla le urlò –ti prego, corri un po’ meno ed io correrò alla tua stessa maniera-. Mitijo dell’antica grecia conosceva il cartone animato del suo paese, Pollon. Forse se io, Manfredi, avessi avuto il talco che donasse l’allegria a quest’ora avremmo dato ragione a Federico che già non si sentiva più, già era in bella compagnia. E lei cambiò, si allontanò, strammò, si accorse che Federico aveva ragione sul mio conto. Ma io ero sempre stato leale, e lei lo seppe per sempre. Perché Mitijo mi vuole ancora bene, oggi, me ne ha sempre voluto, anche quando rifiutò i miei baci per amare le distanze che l’avrebbero sanata.

L’anno dopo Mitijo baciò un mio amico, di ritorno dal Giappone. Lui fu leale a dirmelo, sin dai corteggiamenti iniziali di lei e lei fu dura con me, me lo disse chiaro e tondo, non sono fatti tuoi Manfredi, mi dispiace, io sono libera. E quel mio amico mi chiese se per caso c’ero rimasto male, lì per lì dissi di sì ed era vero, ma mi chiese se era una ragazza da sposare, da poter portare avanti un cammino. Per lui non era proprio cosa, ed io gli dissi –caro amico vero, volevo solo farmela-. Girando l’angolo del lungarno per andare a recitare Dante, piansi.

Ho ricevuto una telefonata di Mitijo e un carteggio. E pensare che credevo avessi riaperto una porta, richiamandomi, ci sono rimasta male che non mi hai riconosciuta, ti voglio bene, ci tengo a te e non voglio perderti. E con quello che mi hai ridetto ora, con tutto quello che mi hai fatto credere, ora non mi conosci, aspetta pure quello che mi hai chiesto. Che cosa? Le avevo detto al ritorno a Firenze -Certo che però una scopatina ci stava proprio, visto il periodo di esplosione di ormoni- che impazziva lungo l’Italia dei Mondiali in Germania. E lei mi ha detto, stai esagerando, te li scordi i semi di peperoncino giapponese per il tuo orto.

 
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