Creato da alfasica il 21/11/2005

UNDATED BAR

racconti isterici, criminali e patologiche storie

 

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II

Post n°127 pubblicato il 07 Novembre 2006 da alfasica

IL PROFESSORE ARGANTI

Anche solo per un momento vorrei riuscire a credere. Recentemente mi è capitato di osservare il volo di uno stormo di rondini. Ero seduto proprio a questo tavolo, guardavo la gente sfiorare il vetro chiusa nei primi cappotti invernali e godevo nel tepore del mio abituale caffè. Camminavano, parevano tutte sagome dannate così curve sulle proprie spalle e gli aliti caldi che passavano tra le mani fumose. E’ stato allora che, cercando di distogliere lo sguardo da quell’immagine per me in quel giorno grottesca, vidi uno stormo di uccelli puntinare il cielo sopra i tetti. Lasciai posata la mente su di loro per molto tempo. Mi scoprii morbosamente incuriosito da quella banale presenza, probabilmente rara in una stagione già così avanzata. Gli stormi in volo sono uno spettacolo tanto ordinario da non avermi mai permesso prima uno sguardo più curioso ed approfondito e mi trovai per minuti come ipnotizzato da quella danza geometrica,  venni così assorbito dai loro schemi mutevoli da dimenticare persino gli orrendi pensieri che mi inseguivano da mesi. E’ stata in un’occasione così insignificante che mi parve di credere. A dire il vero ancora non ne sono completamente sicuro, perché fatico a capire il senso di quella grandezza che mi fu rinchiusa in un momento tanto piccolo. Restai perplesso. Anzi direi che da questa rivelazione inespressa mi sentii per tempo come mutilato. Quando riafferrai le abituali immagini, le sagome e la città, avvertii un senso come di sete. Feci l’azione più automatica e inutile, cercai con la mano la cameriera che senza parlare mi portò un nuovo bicchiere. Ancora oggi ripenso con imbarazzo a quel gesto ridicolo ma dopo una notte accompagnata dalle bottiglie di questo bar nemmeno un uomo come me può contare su se stesso; gli anni di letture colte e raziocinio vengono sommerse e sembrano gli inutili legni a cui si aggrappano i naufraghi per l’ultimo respiro. Così erano divenute per me le mie vecchie sicurezze. Fantasie che mi hanno sostenuto per anni e che d’improvviso hanno rivelato la loro vera inconsistenza. E’ in mattine come quelle che rimpiango di non aver saputo vivere più semplicemente, di non aver saputo vivere come il corpo che si è accasciato stanco sulla sedia accanto alla mia; tiene gli occhi al pavimento e non fa un sospiro, non guarda a nulla, non si cura di nulla e non vuole domandarsi più che quale sarà il prossimo colpo a lui inferto. 

 

 

 

 

 

 
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