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Post n°537 pubblicato il 12 Febbraio 2012 da carinci
ADDIO WHITNEY HOUSTON... RIMARRAI PER SEMPRE NEI NOSTRI CUORI! Addio Whitney Houston... Da oggi Amici miei abbiamo una stella in più che brilla nel cielo, il suo nome come avete capito è Whitney Houston, la cantante americana di fama mondiale. Ahimè, la sua triste scomparsa all' età di 48 anni ha lasciato un vuoto nei cuori di tutti noi, trovata senza vita nelle ultime ore nei pressi di un albergo di Beverly Hills dove si trovava in compagnia di amici e parenti per una serata organizzata a margine dei Grammy Awards, che si terranno tra poche ore a Los Angeles. La tragedia sarebbe successa ieri intorno alle ore 15:43 quando una persona del suo entourage ha chiamato immeditamente i soccorsi mentre il personale di sicurezza nel frattempo aveva tentato di rianimarla, ma invano purtroppo... Ecco alcune foto del ritrovamento del corpo da parte degli agenti... Secondo la Cnn sarebbe stato il suo compagno, il cantante Ray-J, a dare per primo l'allarme, poi a seguire i suoi agenti... Una tragedia che ha scosso tutti noi e c'è da dire che già alla vigilia della magica notte dei Grammy, si era sparsa la notizia che Whitney si trovasse in gravissime condizioni di salute... certo non è cosa nuova, dato che sappiamo tutti i suoi precedenti in fatto di abuso di droga, alcool e depressione... finendola per ridurla in uno stato a dir poco deprimente. Guardate per esempio la differenza tra queste due foto: Oltre ai noti abusi di cocaina, marijuana e psicofarmaci, Whitney ha sofferto drammaticamente il fallimento del suo matrimonio con il cantante Bobby Brown, durato dal 1992 al 2006. Una vita dura, quindi, difficile per certe persone da superare, e che purtroppo coloro che ci rimettono sempre sono le persone deboli e forse, dico forse, la nostra Whitney avrebbe avuto bisogno di maggiore aiuto da parte di coloro che le stavano vicino per cercare di farla uscire fuori da queste dipendenze che giorno dopo giorno l' hanno resa sempre più debole e sofferente...
Mi pare giusto Amici ricordare brevemente la stoai di questa artista che ha segnato tutto il mondo della musica a partire dai mitici anni '80! Figlia di un militare e della cantante di gospel Cissy, la mitica Whitney sulle orme della famiglia ha intrapreso la strada della musica mostrando sin dall' inizio una sorprendente doto nel canto. Una voce che ha conquistato tutti facendola arrivare in men che non si dica al successo. Raggiunse l' apice proprio in giuventù conquistando di volta in volta numerosi premi. Per esempio nel 1986 vinse il Grammy e per anni dominò la scena con tantissimi successi mondiali. Nella Billboard Hot 100 riuscì a piazzare sette singoli consecutivi al numero uno, battendo il record di cinque appartenete a stelle del calibro di Diana Ross, e perfino dei Beatles. Assieme a Michael Jackson detiene, inoltre, il record dell'artista di colore di maggior successo. In tutto si calcola che abbia venduto circa 190 milioni di dischi. Per anni è Whitney è stata la stella nel mondo della musica, la ragazza d'oro dell'industria discografica. Non solo nel palco ha dato dimostrazione delle sue doti, ma anche sul grande schermo dove vi ricordo è apparsa nel film come "The Bodyguard", al fianco di Kevin Kostner, la cui colonna sonora ha venduto 45 milioni di copie. Con la sua musica e il suo sex appeal ha influenzato una generazione di giovani cantanti, come Christina Aguilera e Mariah Carey. Ma come spesso accade, quando si raggiunge la vetta, si è come destinati a scendere... Dopo gli anni del successo ecco il crollo e la disperazione: da tempo faceva abuso di cocaina, marijuana e pillole varie... finendo per distruggere la sua vita a poco a poco fino a perdere la vita. La sua storia, dunque, rappresenta il dramma di una grandissima artista per anni ai vertici delle classifiche, amata e venerata da milioni di fan, passata in pochi anni dal paradiso del successo all'inferno della droga e della depressione. In un'intervista del 2002, disse: "Il più grande demonio sono io. Posso essere il mio miglior amico o il mio nemico peggiore". E quel demonio alla fine ha avuto tragicamente la meglio su di lei... Tanti sono i messaggi di cordoglio apparsi subito non solo nei social network, dove è possibile leggerli nella pagina ufficiale di facebook, ma anche presso le strade, eccone alcuni dei messaggi di addio nelle seguenti foto:
Leggiamo ora alcuni dei messaggi scritti da chi la conosceva molto da vicino: "Ho il cuore spezzato e sono in lacrime per la morte scioccante del mio amica, l'incomparabile Whitney Houston ", ha scritto la cantante Mariah Carey su Twitter. Tra i primi il cantante Lenny Kravitz: "Withney, riposa in pace, non ci sarà mai più un'altra come te" ha scritto. Ma è la gente comune, i fan, che stanno riempiendo di necrologi lo spazio web e urlano a tutto il mondo quanto la Houston sia stata amata. E noi tutti infatti, la ricorderemo per sempre con quel sorriso smagliante e frizzante! Ciao Whitney...
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Trivellazioni, a rischio 30mila chilometri quadrati di mare italianoGoletta Verde di Legambiente presenta il dossier 'Un mare di trivelle'. Tutti i numeri e i pericoli dell’estrazione di petrolio nel mare italiano: 30mila chilometri quadrati (una superficie più grande della Sicilia) a rischio trivelle, Canale di Sicilia e Adriatico centro meridionale le aree più minacciate. Bandiera nera per Northern Petroleum e Petroceltic Elsa.di Legambiente - 2 Agosto 2011 Una superficie di mare italiano di circa 30mila chilometri quadrati rischia la realizzazione di nuove piattaforme petrolifere Una superficie di mare italiano di circa 30mila chilometri quadrati, più grande dell’estensione della regione Sicilia, rischia la realizzazione di nuove piattaforme petrolifere. Le attenzioni fameliche delle aziende energetiche internazionali riguardano soprattutto il canale di Sicilia e le coste adriatiche di Puglia, Molise, Abruzzo e Marche. È questo l’allarme lanciato da Goletta Verde, la celebre campagna itinerante di Legambiente, con il dossier “Un mare di trivelle”, presentato durante la navigazione tra il Gargano e le isole Tremiti, oggetto di diverse richieste di ricerca di idrocarburi. Il rapporto illustra tutti i numeri e i rischi legati alle 117 nuove trivelle che, grazie ai permessi di ricerca di idrocarburi rilasciati fino ad oggi, minacciano il mare e il territorio italiano. Solo nell’ultimo anno infatti, sono stati concessi 21 nuovi permessi di ricerca per un totale di 41.200 chilometri quadrati (kmq). Il mare non viene risparmiato: sono 25 i permessi di ricerca già rilasciati al 31 maggio 2011 al fine di estrarre idrocarburi dai fondali marini, per un totale di quasi 12mila kmq a mare, pari ad una superficie di poco inferiore alla regione Campania: 12 permessi riguardano il canale di Sicilia, 7 l’Adriatico settentrionale, 3 il mare tra Marche e Abruzzo, 2 in Puglia e 1 in Sardegna. Se ai permessi rilasciati, sommiamo anche le aree per cui sono state avanzate richieste per attività di ricerca petrolifera, l’area coinvolta diventa di 30mila kmq, una superficie più grande della regione siciliana. Nel dettaglio, le aree di mare oggetto di richiesta di ricerca sono 39: 21 nel canale di Sicilia, 8 tra Marche, Abruzzo e Molise, 7 sulla costa adriatica della Puglia, 2 nel golfo di Taranto, e 1 nell’Adriatico settentrionale. “Siamo di fronte ad un vero e proprio assedio del Mare Nostrum da parte delle compagnie straniere, che hanno presentato il 90% delle istanze di ricerca nel mare del nostro Paese, considerato il nuovo Eldorado, grazie alle condizioni molto vantaggiose per cercare ed estrarre idrocarburi - dichiara Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente -. Ma, come ripetiamo da anni, il gioco non vale la candela: secondo il Ministero dello Sviluppo economico le riserve stimate sono pari a 187 milioni di tonnellate che, considerando il tasso di consumo del 2010 di 73,2 milioni di tonnellate, verrebbero consumate in soli 30 mesi, cioè in 2 anni e mezzo. Proprio per questo anche quest’anno la Goletta Verde di Legambiente è in prima linea per difendere il mare italiano da questo assalto che garantirebbe solo ricchi utili per le società petrolifere, senza tener conto non solo dei rischi per il turismo e la pesca in caso di incidente, ma anche del nuovo modo di produrre energia che deve sostituire quanto prima le fonti fossili”. In Italia nel 2010 sono state estratte poco più di 5 milioni di tonnellate di petrolio (4,4 milioni di tonnellate a terra e circa 700mila tonnellate a mare), pari al 7% dei consumi totali nazionali di greggio. Il petrolio dai fondali marini è stato estratto utilizzando 9 piattaforme e 83 pozzi ancora produttivi. La produzione di petrolio off shore, da trivellazione a mare, si concentra in due zone: a largo della costa meridionale siciliana, tra Gela e Ragusa, dove nel 2010 si è prelevato il 54% del totale nazionale estratto dai fondali marini, e nel mar Adriatico centro meridionale dove è stato estratto il restante 46%. Ed è proprio su queste due zone che si concentra maggiormente l’attenzione delle compagnie per le nuove trivellazioni. Una lottizzazione senza scrupoli che non risparmia nemmeno le aree marine protette, come nel caso delle Egadi o delle Tremiti. Lo scorso aprile il ministero dell’Ambiente, con quello dei Beni culturali, ha approvato la Valutazione di Impatto Ambientale (Via) relativa ad un programma di indagini della Petroceltic Italia srl in un’area a ridosso delle isole Tremiti. La decisione ha riaperto la corsa al petrolio intorno al pregiato arcipelago, dopo che le dichiarazioni dello stesso ministro dell’ambiente Prestigiacomo e il decreto legislativo 128 del 20 giugno 2010, che vincola le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi in mare, sembravano avessero fatto prendere una direzione opposta. “La risposta dal territorio pugliese non si è fatta aspettare - dichiara Francesco Tarantini, presidente di Legambiente Puglia -. Il 7 maggio 2011 si è svolta una manifestazione nazionale a Termoli, che ha visto protagonista anche Legambiente, per ribadire con forza la contrarietà delle comunità locali contro questi progetti. Dopo la manifestazione sono seguiti anche atti formali: Legambiente ha impugnato dinanzi al TAR del Lazio il decreto di valutazione d’impatto ambientale (Via) del ministero dell’Ambiente, scelta condivisa anche con le altre associazioni ambientaliste e la Regione Puglia. Difenderemo con grande tenacia il patrimonio ambientale del mare pugliese che rappresenta il vero tesoro da preservare nell’interesse della collettività. Ci auguriamo di vincere anche questo ricorso come già fatto lo scorso anno contro il decreto di Via per le ricerche di petrolio a mare tra Monopoli e Ostuni”. L’Adriatico centro meridionale è oggetto di numerose richieste di ricerca soprattutto da parte di due aziende petrolifere straniere, la Northern Petroleum e la Petroceltic Elsa Proprio l’Adriatico centro meridionale è oggetto di numerose richieste di ricerca soprattutto da parte di due aziende petrolifere straniere, la Northern Petroleum e la Petroceltic Elsa, ed è proprio per questo che la Goletta Verde di Legambiente assegna loro la poco ambita qualifica di "nuovi pirati del mare", conferendogli simbolicamente la bandiera nera, come già fatto con la Shell alle isole Egadi. Il vessillo, notoriamente consegnato a chi porta avanti progetti che minacciano l’integrità dell’ecosistema marino, vuole dimostrare tutto il disappunto dell’associazione ambientalista nell’assistere a questa compravendita che vede tratti di bellissimi mare svenduti a basso costo. Ad aggravare la situazione incombono inoltre leggi 'ad trivellam' che allentano le maglie ai divieti imposti dal ministro Prestigiacomo la scorsa estate. L’ultimo favore alle trivellazioni è arrivato il 7 luglio con il decreto legislativo di attuazione della direttiva sulla tutela penale dell’ambiente. Senza alcun pudore, si è utilizzato un provvedimento che avrebbe dovuto rafforzare le misure di tutela ambientale per inserire un comma che in realtà permette di aggirare il divieto alle attività di ricerca, prospezione ed estrazione di idrocarburi in mare per il Golfo di Taranto. Di fatto, il comma rende nuovamente possibile svolgere attività di ricerca all’interno del golfo, proprio quando tutte le istanze presenti in quest’area erano in fase di rigetto, visti i nuovi vincoli fissati nell’estate del 2010. Sempre in favore delle compagnie petrolifere è attualmente in discussione in Parlamento anche un altro disegno di legge che prevede la "Delega al governo per l'adozione del testo unico delle disposizioni in materia di prospezione ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi". Un provvedimento di semplificazione dell’iter autorizzativo che esclude qualsiasi motivazione di carattere ambientale, giustamente bocciato all’unanimità dalla Commissione Ambiente del Senato nei primi giorni di luglio e che ci auguriamo non arrivi all’approvazione. Portando avanti la propria battaglia contro tutti gli abusi ai danni del mare e delle coste, Goletta Verde di Legambiente s’impegna nella sua vertenza contro le trivelle, affermando con chiarezza la propria posizione che vede il rilancio del settore energetico nel nostro paese come inevitabile ma basato su innovazione, efficienza e rinnovabili e non certo sulla produzione di energia basata sugli idrocarburi, che oltre ad essere una seria minaccia per l’ambiente, appartiene oramai al passato. “Nelle Isole Tremiti, come in tutta Italia, - conclude Stefano Ciafani - il futuro del mare sta nel turismo di qualità e nella pesca sostenibile, non certo nella minaccia di nuove piattaforme petrolifere che rappresentano una seria ipoteca sul futuro delle nostre coste, come ha dimostrato la tragedia ambientale del Golfo del Messico dello scorso anno. Per questo Legambiente ribadisce il no deciso all'ipotesi di nuove trivellazioni nel mare italiano, che garantirebbero solo ricchi affari per le aziende petrolifere senza alcuna ricaduta positiva sull'abbassamento della bolletta energetica nazionale e di quella delle famiglie italiane”. |
Post n°535 pubblicato il 02 Aprile 2011 da carinci
in nome di tutti i cittadini che lottano per un futuro più equo e più sicuro CHIEDE al PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, alla PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, a TUTTI i MEMBRI del PARLAMENTO, al PRESIDENTI di CAMERA e SENATO e ai PRESIDENTI di TUTTE le REGIONI di: sospendere il decreto Romani del 3 marzo 2011 che ha bloccato lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Questo decreto varato senza tener conto di quanto osservato da due rami del parlamento, ha cancellato retroattivamente impegni triennali assunti dal governo solo pochi mesi prima, spingendo le banche a chiudere il rubinetto del credito per le opere in corso, compromettendo la stabilità di oltre 150 mila famiglie e fermando i cittadini che avevano attivato le procedure per installare un impianto fotovoltaico. Tutto ciò è avvenuto proprio alla vigilia di avvenimenti che sottolineano l’urgenza dello sviluppo di fonti energetiche basate su materie prime che abbiamo in casa: il sole, il vento, l’acqua. Il grave incidente alla centrale di Fukushima e il manifestarsi di concreti rischi di approvvigionamento di gas e petrolio a seguito di eventi non controllabili dal nostro Paese impongono di rivedere il vecchio modello energetico e devono sollecitare un’inversione di rotta anche delle politiche energetiche del governo. Questo nuovo quadro offre una grande opportunità per le imprese italiane che negli ultimi anni, nonostante l’assenza di una strategia pubblica di largo respiro, sono state protagoniste di una formidabile rimonta che ha riportato il Paese in una posizione di testa nella corsa europea in questo settore strategico della green economy. Merito anche dello straordinario impegno di tanti presidenti di Regione e di Provincia, sindaci, amministratori e, soprattutto, cittadini che si sono impegnati direttamente in questa battaglia per la democrazia energetica, per riportare le redini dell’energia in Italia. Occorre dunque uscire rapidamente da questa situazione di grave crisi che rischia di vanificare il grande sforzo compiuto gettando un’ombra sul futuro energetico. E si può farlo avviando una seria programmazione energetica e sospendendo per un anno l’entrata in vigore di tutti gli effetti limitativi della promozione delle fonti rinnovabili contenuti nel decreto n.28 del 3 marzo 2011 pubblicato il 28 Marzo 2011 sulla Gazzetta Ufficiale (con particolare riferimento al comma 10 dell’articolo 25) con ripristino provvisorio delle regole previgenti:
FIRMA QUI http://www.sosrinnovabili.it/appello.htm |
VANGELIA PANDEVA(baba Vanga-nonna Vanga) vegente bulgara La sua profezia piu' sconcertante risale al 1980. La vecchia donna cieca disse: " Verso la fine del secolo, nell'agosto del 1999 o del 2000, Kursk verra' ricoperta d'acqua ed il mondo intero la piangera' ".
All'epoca la profezia passo' del tutto inosservata ma, a distanza di vent'anni emerge il suo orribile senso. Nell'agosto del 2000, a causa di un incidente, e' affondato un sommergibile nucleare russo chiamato in onore della citta' di Kursk, la quale non avrebbe in nessun modo potuto essere ricoperta d'acqua. Il dono di prevedere esiste veramente? Presa da una tromba d'aria Vanga (Vangelia) Pandeva e' nata il 31 gennaio 1911. E' morta l'11 agosto 1996. Viveva nella citta' di Petrich, Bulgaria. E' stata sepolta in un cimitero della Chiesa Santa Petca Bulgara situato nella regione Rupite. Vanga ha perso la vista a 12 anni. Fu letteralmente trascinata via da una tromba d'aria. Successivamente fu ritrovata viva, ricoperta da sporcizia e pietre, con gli occhi pieni di sabbia. Di conseguenza divenne cieca. Vanga inizio' a predirre all'eta' di 16 anni. Aiuto' il padre a ritrovare una pecora rubata dal gregge. Diede una dettagliata descrizione del posto in cui l'animale era stato nascosto dai ladri. I suoi poteri di previsione presero forma oltrepassata la soglia dei 30 anni. Piu' di un capo di stato si rivolse a Vanga. Anche Adolf Hitler una volta si rivolse a lei. Si dice che lascio' la sua casa di pessimo umore. Le previsioni "Orrore, orrore! I gemelli americani cadranno dopo essere stati attaccati dagli uccelli d'acciaio. I lupi ululeranno in un cespuglio e sara' versato sangue innocente". (1989) Detto fatto. Le torri gemelle del World Trade Center di New Jork sono crollate in seguito ad un attacco terroristico avvenuto l' 11 settembre 2001. Le torri del WTC erano denominate "gemelle". I terroristi si schiantarono con aerei passaggeri - "gli uccelli d'acciaio" contro le torri. "Il cespuglio" (in inglese "bush") si riferisce ovviamente al cognome dell'attuale presidente americano Innumerevoli catastrofi e disastri sconvolgeranno il mondo. La mentalita' della gente cambiera'. La gente verra' divisa dalla fede..." (data sconosciuta) Detto fatto. Sono giunti tempi grami. Ed e' effettivamente successo qualcosa con la mentalita' della gente. La nostra epoca e' effettivamente contradistinta da catastrofi e disastri, come ad esempio lo Tsunami dello scorso anno che e' costato la vita a migliaia di persone. Altresi' potremmo citare numerosi attacchi terroristici e conflitti etnici. "Siamo tutti testimoni di eventi di importanza mondiale. Due grandi leader si stringono la mano. (manifesto riferimento a Gorbaciov e Reagan). Ma dobbiamo aspettare ancora a lungo prima che giunga l'Ottavo e verra' firmato un accordo definitivo di pace sulla Terra". (Gennaio 1988) Le previsioni stanno iniziando a realizzarsi con riferimento agli Otto come la piu' recente. Nel frattempo, durante la presidenza di Yeltsin, Vanga faceva gia' riferimento al successivo presidente della Russia, senza per altro chiamarlo mai per nome. "Sara' una figura completamente nuova. Zyuganov e Lebed sono tagliati fuori". L'Ottavo e' gia' arrivato: la Russia e' entrata a far parte del Gruppo dei Sette. Adesso viene definito G-8. Il passo successivo dovrebbe essere rappresentato dalla pace in tutto il mondo. "Tutto si sciogliera' come il ghiaccio e la gloria di Vladimir, la gloria della Russia saranno le sole cose che resteranno. La Russia non solo sopravvivera', ma dominera' il mondo". (1979) Questo deve ancora realizzarsi. Effettivamente pero, la Russia e' sopravvissuta. La profezia fu fatta ai tempi dell'Unione Sovietica, quando solamente pochi utilizzavano il termine "Russia". "Resta da vedere a quale Vladimir si riferiva Vanga. Ci sono in tutto tre effettivi candidati: il principe Vladimir, Vladimir Lenin e l'attuale presidente, cioe' l'Ottavo. "I treni inizieranno a volare nel 2018. Saranno alimentati dal sole. La terra riposera' fino a quando cessera' l'estrazione del petrolio". (1960) Questa profezia sta per avverarsi veramente. Gli scienziati sono intenzionati ad estrarre l'helium-3 dal suolo lunare. I progetti relativi la produzione di helium sulla luna sono stati resi pubblici un paio di giorni fa. L'helium-3 rappresenta un prodotto sia dell'attivita' solare che un tipo di carburante per i reattori nucleari. I reattori nucleari produrranno elettricita' al fine di potenziare i "treni volanti". Un consiglio da parte di Vanga "Lasciate in pace gli stupidi. Non sono cosi' pericolosi come sembrano, cercate di non cambiarli. Gli idioti sono in grado di procurarvi un danno maggiore. Essi possono fare qualcosa in grado di causare un vero e proprio movimento tra la gente." |
Circolano in questi giorni scatti "artistici" che immortalano la signora MILLY COOPER , anni 96, di professione ESCORT. Alla sua età esercita ancora il mestiere più antico del mondo, guadagnando 80.000 $ l'anno (almeno, questo è il reddito dichiarato ufficialmente). Con orgoglio professionale dichiara di aver fatto gioire oltre 3500 uomini, ed HA ANCORA AFFEZIONATI e FEDELI CLIENTI di età compresa tra 29 e 92 anni disposti a spendere 1200 $ per una notte. Clientela di nicchia? Forse, ma gli affezionati non nicchiano sulla soddisfacente sostanza degli incontri. Ovvio che sessualità ed erotismo non siano solo prerogative esclusive dei giovani ma che la signora Milly sia paladina, dispensatrice di sesso con quelle coordinate anagrafiche... lascia perplessi e suscita domande. Ma il fascino della terza età (in questo caso QUARTA) è stato preso in considerazione anche da personaggi di spessore artistico, come il fotografo Tom Ford che, un bel giorno del 2010, dichiarò di essere stufo del mito della giovinezza e realizzò un provocatorio servizio fotografico, dal titolo "FOR EVER YOUNG" nel quale una coppia di anziani facoltosi si abbandona alla passione tra gli oggetti del desiderio anche consumistico... Come dire... al di là dei casi eclatanti e curiosi... c'è speranza per tutti noi, anche in età avanzata, di apprezzamento intellettuale ma anche di piacere... un casino. |
"La cosa peggiore non è la violenza degli uomini malvagi, ma il silenzio degli uomini onesti" Martin Luther King
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Petrolio Abruzzo, a Lanciano la pioggia non ferma i manifestanti http://www.cityrumors.it/chieti/cronaca/300517180-petrolio-abruzzo-a-lanciano-la-pioggia-non-ferma-i-manifestant.html Lanciano. A firmare per “salvare l’Abruzzo” erano in oltre 10.000 questo pomeriggio a Lanciano. Un lungo corteo è partito alle 17.00 dal quartiere S.Rita per approdare in Piazza Pebliscito. Neanche la pioggia battente è riuscita a fermarli, tutti lì per non cedere a nessuno la nostra Regione, e ribadire il concreto NO alla petrolizzazione, l’Abruzzo deve restare la verde e fiorente Terra che oggi è. Un Abruzzo verde anche come la rabbia di tutti coloro che non vogliono più essere trattati come sudditi e vogliono ribellarsi ad un futuro in stile campano. Senso civico innanzi ad ogni cosa, cittadini accomunati da un unico pensiero, “non basta sopravvivere, è solo vivendo che ci si sente padroni del proprio futuro”, queste le parole che hanno fatto da sottofondo al corteo. La Provincia di Chieti, di fatto la più interessata dalla petrolizzazione, e il comune di Lanciano, hanno voluto dare un segnale forte dal punto di vista istituzionale e questo pomeriggio si sono fatte portabandiera di questa battaglia, insieme al movimento spontaneo di cittadini abruzzesi, “Nuovo Senso Civico”. In prima linea a manifestare una folta schiera di politici; con tanto di fasce istituzionali in vista, il Presidente della provincia di Chieti, Enrico Di Giuseppantonio, il sindaco di Lanciano, Filippo Paolini accompagnati dai numerosi sindaci della vallata del Sangro. “Noi non diciamo no al petrolio, ma il nostro è un no alla petrolizzazione di una regione che guarda ad altri modelli di sviluppo, perché gli investimenti fatti negli ultimi anni sono andati in direzioni diverse, che mirino all’incremento del turismo e dell’enogastronomia. Altre regioni sono state capaci di imporsi presso il Governo e impedire un modello di sviluppo nocivo per il proprio territorio: lo stesso può fare l’Abruzzo, non solo abbiamo già dato da un punto di vista ambientale, ma quello che ci propongono per il nostro mare e i nostri territori rischia di avere conseguenze altamente negative di fronte a ritorni irrisori”, ha dichiarato Paolini. Alessandro Lanci, di Nuovo senso civico, punta il dito contro chi la nostra Regione la sta svendendo per pochi centesimi di euro a cittadino: “Di fronte ai tre miliardi di dollari stimati dalla compagnia petrolifera per il ciclo produttivo della piattaforma Ombrina mare 2, ai Comuni andrebbero risorse per circa 30 milioni di euro, che spalmati nel corso degli anni corrispondono a un contributo pari al nulla rispetto ai danni a cui stiamo andando incontro”. Dalle coste di San Salvo a quelle di Tortoreto 5500 kmq sarebbero il bottino di compagnie petrolifere straniere, che a loro volta non starebbero perdendo tempo, già tutto pronto per l’istallazione di decine di piattaforme pronte a decretare la morte della nostra Regione. Il Porto di Ortona tra le mire più appetibili, sarebbe lui il nuovo punto di snodo dell’attività petrolifera: sede del centro oli, un mega impianto di pre-raffinzione che ripulirebbe il nostro petrolio, troppo sporco rispetto ad altri. Processi tra i più inquinanti e devastanti starebbero per investire le bandiere blu d’Italia, veleni letali per l’aria, le colture e l’intera catena alimentare. Danni che dureranno decenni anche dopo la chiusura dei pozzi. Spicca tra la folla un Pinocchio gigante: “incarna le promesse non mantenute dalla giunta regionale, - dicono i cittadini - ci sentiamo traditi da coloro in cui abbiamo riposto tutta la nostra fiducia per un florido futuro, ma che invece ci hanno abbandonati nelle mani degli speculatori”. La Giunta Chiodi sarebbe colpevole di non aver difeso dinnanzi alla Corte Costituzionale la legge della Regione Abruzzo che sinora aveva bloccato la costruzione del centro Oli, impugnata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nessun atto specifico, nessuna legge della Regione e le compagnie petrolifere trovano terra fertile. Ed oggi gli abruzzesi, tutti uniti in Piazza Plebiscito con un unico comune obiettivo, si dichiarano più determinati che mai: “basta una firma per salvare l’Abruzzo”, revocando così qualsiasi concessione in materia di petrolio,”niente fori solo fiori”, lo scempio che sta investendo la Louisiana non deve arrivare fino alla regione verde d’Italia. Monica Coletti http://www.cityrumors.it/chieti/politica/280517082-lanciano-paolini-e-di-giuseppantonio-sostengono-il-no-allabruzzo-petrolchimico.html Anche la Confesercenti dichiara di aderire alla manifestazione in programma. L’associazione, che è anche tra i soci fondatori del comitato “Abruzzo Rinnovabile” che si batte contro il centro oli di Ortona, spiega le motivazioni dell’adesione sostenendo che “è il momento che le istituzioni comprendano fino in fondo che le scelte strategiche di questi anni sono quelle che determineranno il futuro del nostro territorio. L’Abruzzo ha l’occasione storica, in questa fase, di investire con decisione nello sviluppo del turismo fino a farne il settore primario dell’economia regionale: già oggi il turismo contribuisce, direttamente e con l’indotto, al 15% del prodotto interno lordo abruzzese”. Il no ufficiale è arrivato quest’oggi dalle parole di Enzo Giammarino, direttore regionale di Confesercenti, che ha sottolineato l’assoluta incompatibilità delle ricerche petrolifere con lo sviluppo economico dell’Abruzzo. “Investire in un settore” ha, infatti, commentato “vuol dire compiere scelte coerenti: il turismo si nutre di immagine, così come di servizi, agricoltura sostenibile, filiera dei prodotti certificati, energie rinnovabili. Con la nostra presenza, ribadiamo anche il “no” ad ogni forma di introduzione del nucleare in Abruzzo, che rappresenterebbe un pericolo enorme per qualunque ipotesi di sviluppo economico diffuso. Diciamo “no” dunque ad un panorama offuscato da ciminiere e torri perforatrici in mare. Ai tanti “no” aggiungiamo però un “sì” convinto: quello alla produzione di energia da fonti rinnovabili, dall’eolico alle biomasse al fotovoltaico. Il futuro è quello pensato da Jeremy Rifkin: non più un solo produttore di energia per tutti, ma tante realtà che producono energia per sé e per la collettività. Un modello che vedrebbe protagonisti le famiglie, i piccoli e medi imprenditori”. |
Post n°529 pubblicato il 12 Febbraio 2010 da carinci
NO ALLA RAFFINERIA PER IL METANO SUL LAGO DI BOMBA SCRIVIAMO A NAPOLITANO L'ABRUZZO VUOLE VIVERE http://www.facebook.com/?sk=messages&tid=1337166662589#!/group.php?gid=291888573802 TUTTI I RISCHI DEL CENTRO OLI SUL LAGODI BOMBA PAROLA DI MARIA RITA D'ORSOGNA http://www.youtube.com/user/comitatonaturaverde#p/a/u/1/L1AjMbWdGm4 La società americana Forest Cmi S.p.a. ha presentato il 29 febbraio 2009 presso il Ministero dello Sviluppo economico la richiesta per lo sfruttamento del giacimento di gas naturale sito nel territorio del Comune di Bomba. Abbiamo trovato nel Monte Pallano piu' di 50 Bcf di gas e ci serve trivellare ancora un altro pozzo, oltre ai due che abbiamo gia' trivellato. Come gia' detto stiamo lavorando sull'ottenimento dei permessi per uno stabilimento di produzione e di un oleodotto. Le vendite inizieranno fra un anno. Il mercato del gas in Italia resta robusto, con prezzi attualmente attorno ai 17 dollari americani per MMBtu. Bcf significa Billion Cubic Feet, cioe' miliardi di piedi cubi. La conversione fra cubic feet e cubic meters e' di 0.02, per cui 50 Bcf sono circa 1 miliardo di metri cubi. A volte invece di Bcf si scrive Bcfg per indicare gas. Dunque, siccome l'Italia consuma 200 milioni di metri cubi di gas al giorno si conclude che:
Al tempo pero' ci fu' una tragedia nel nord dell'Italia, quando un blocco scivolo' nella riserva idrica del Vajont. L'impulso di un onda straripo' dalla diga e distrusse la citta' di Longarone, un villaggio di 2000 persone. Il campo di gas (di Bomba) si trova parzialmente sotto un lago, che e' mantenuto da una diga di 57.5 metri. L'AGIP scelse di non sviluppare il campo di gas nel 1966 a causa della vicinanza di Bomba alla diga. I quattro pozzi furono chiusi e abbandonati nel 1992. Alla Forest Oil e' stata data l'autorizzazione di esplorare il territorio nel 2004. Il permesso ha obbligato al Forest Oil ad installare sensori per misurare la subsidenza indotta dall'estrazione di gas. La Forest ha installato un sistema di GPS alimentato da pannelli solari per misurare movimenti fino alla scala del millimetro. Grazie a questo provvedimento la Forest ha ottenuto il permesso di trivellare altri due pozzi da un punto centrale nel 2007. (...) Il campo ha 2500 acri nella sua concessione, un GWC a -1112 sotto il livello del mare e una colonna di riserva di 110 metri. Le riserve sono stimate attorno ai 56 Bcfg.
E poi non e' buffo che quelli della Forest Oil ci tengano a sottolineare che usano un sistema di misurazione a base di pannelli solari? Vogliono anche fare la figura degli ambientalisti mentre stanno innescando davvero una potenziale bomba ecologica. Infatti i signori della Forest Oil fanno sul serio, come ha riportato Prima Da Noi qualche giorno fa, vogliono addirittura eseguire il trivellamento di cinque pozzi, costruire un impianto di desolforazione, installare due torri di raffinazione ed un inceneritore. Un altro centro oli a Bomba! Solo che questa volta chissa' come lo chiameranno - centro gas? Mmh.. non suona mica cosi' bene! CARO PRESIDENTE LE CHIEDO AIUTO NON CONDANNI A MORTE CERTA SIAMO STATI DIMENTICATI DA UNA POLITICA ARROGANTE CHE NON PENSA ALLA SALUTE DEI PROPI CITTADINI
PER SPEDIRE LA LETTERA AL PRESIIDENTE CHIODI MANDA UNA EMAIL A GIANNI CHIODI http://www.regione.abruzzo.it/portale/asp/sendemail.asp?id=prza1997
M. Febbo: assagri@regione.abruzzo.it D. Stati: daniela.stati@regione.abruzzo.it Numero verde SOS Gabibbo : 800 055 077 FOREST OIL MADAGLI UNA EMAIL DI PROTESTA Texas 1101 E. Pool Road Forest Exploration International (SA) (Pty) Ltd.
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Un viaggio per cambiar vita Per chi ha vogli di mollare tutto e cambiar vita e panorami, dagli 'artisti della fuga' arrivano le dritte e le informazioni sulle mete e le pratiche migliori.
“Via, fuori dal bel paese dello stress e dello Smog, fuori dai guai!”, questo il messaggio di un piccolo grande fenomeno della rete, il sito Italiani in fuga creato dal cuneese Aldo Mencaraglia, che a soli diciannove anni è partito per l’Inghilterra, per poi lavorare in Gran Bretagna, Cina e Taiwan e trasferirsi dal 2002 a Melbourne, in Australia. Esiste una vita migliore, possiamo rivoluzionare la nostra qualità di vita all''altro mondo', unica condizione: esere pronti a mollare tutto! Niente di strano per gli americani, che a questa scelta di vita hanno dato anche un nome, 'downshifting', cioè rallentare con il lavoro e con i ritmi della quotidianità, cambiare marcia insomma, e dirigersi altrove. Più inaspettato in un paese giudicato di mammoni come il nostro. A sorpresa invece, secondo il sondaggio curato dal canale satellitare Marcopolo, molti italiani farebbero questa scelta a occhi chiusi, intraprendendo una nuova attività e rincorrendo i loro sogni. Abbiamo innanzitutto una gran voglia di cambiare lavoro e, se è vero che il la metà degli aspiranti 'fuggitivi' si dedicherebbe alla scrittura in un paradiso naturale, l'altra metà si accontenterebbe di aprire un semplice ristorante, un albergo o una scuola di sub. Le mete preferite? Tahiti, la Giamaica, le Hawai, le isole Aran in Irlanda, i Caraibi e le Maldive, poi Brasile, Australia e Tailandia. Decisa la meta, basta partire, e adesso vediamo come. Mollare tutto significa innanzitutto allontanarsi dal proprio lavoro, e incredibilmente una legge italiana, la numero cinquantatrè del duemila ci dà una grossa mano per il decollo: prevede uno strumento che si chiama anno sabbatico, ovvero la possibilità di 'sospendere' la propria carriera lavorativa per undici mesi, rinunciando a stipendio e a contributi, ma senza perdere il posto. Anche qui America e Inghilterra insegnano, perché il 'career break' è una tradizione che viene sfruttata per viaggiare e testare le possibilità concrete di cambiare vita, e magari non tornare più indietro. Per orientarsi nella scelta, il web dà una grossa mano con indirizzi come EasyExpat, un vero manuale di trasferimento oltre confine dove si può tranquillamente verificare quali opportunità di lavoro esistano, e dove. Nella peggiore delle ipotesi, resta la Legione Straniera, ma meglio essere ottimisti. Non resta a questo punto che documentarsi, attingendo dalle esperienze di chi ci ha preceduto con successo, artisti della fuga statunitensi, o italiani, come quelli che raccontano le proprie 'avventure' sui siti di Voglio Vivere Così o Mollo tutto. Ogni giorno nasce un nuovo blog di chi racconta il resto del mondo da italiano pentito di non essere partito prima, e nonostante le difficoltà di un nuovo ambientamento, spunta una sensazione di leggerezza leggendo il diario di WorldWideMom, una mamma italiana a Las Vegas, oppure quello di Zazie che vive e lavora in Nuova Zelanda o ancora i racconti di Marco Gargiullo, nato a Milano e adesso cittadino de L’Avana.
Silvia Bragalone |
Pino Scaccia: "Non ho mai avuto paura di dire qualcosa" http://abruzzoblog.blogspot.com/2009/08/pino-scaccia-non-ho-mai-avuto-paura-di.html I reporter uccisi dall'inizio del 2009 sono 44. L'ultimo è stato assassinato circa una settimana fa, in Messico: il settimo di una lista nera dall'ultimo capodanno, l'ennesimo di un elenco ancor più triste, e più lungo, dall'inizio del secolo. A raccontarlo, nella brezza di mercoledì sera in Piazza D'Albenzio, a Spoltore, è Pino Scaccia, reporter storico I volto ormai familiare a milioni di italiani. Il noto giornalista è stato infatti ospite di "Abruzzo Film Festival", rassegna di cinema di guerra organizzata da Tusio De Iuliis, dell'associazione umanitaria "Aiutiamoli a vivere". Pubblico raccolto, atmosfera colloquiale, la cornice rassicurante della piazza in una bella serata d'agosto: questo lo sfondo di una manifestazione che da anni affronta con crudezza e coraggio le aberrazioni della guerra, il dolore della sconfitta, l'odore pungente del sangue. Ma anche la vivace curiosità dei bambini, la devozione delle missionarie, l'audacia dei reporter, la pazienza dei medici: tutti volti, questi, che sulle pagine dei giornali, e negli spazi stretti delle dirette, spesso non trovano posto. Lo sa bene Pino Scaccia, testimone da anni degli scenari più apocalittici del nostro secolo, osservatore attento, reporter forse prima per passione che per lavoro. Lo abbiamo incontrato per porgli qualche domanda. Pino, tu sei stato nei luoghi maggiormente lacerati da eventi bellici e naturali: quanto è stato difficile, se lo è stato, separare l'esperienza umana dall'aspetto professionale? "Questo è un nodo centrale del nostro mestiere: devi emozionarti, se vuoi che anche chi ti ascolta si emozioni. Devi essere coinvolto, devi sentire, vivere appieno l'esperienza... ma attenzione, è proprio qui che entra in gioco la professionalità, cioè la capacità di gestire le emozioni, la determinazione di raccontarle senza soccombervi". Non è sempre facile... "Assolutamente no, ma è ciò che bisogna fare se si vuole essere dei veri testimoni. Ricordo bene quando, ad esempio, sono stato al centro di un agguato in Iraq: 90 colpi sulla nostra macchina, quattro kalashnikov sulla troupe Rai. Ci siamo salvati, e appena fuori pericolo sai cosa abbiamo fatto? Abbiamo pianto. Fatto sta che nell'edizione successiva del Tg raccontavo per filo e per segno quello che ci era successo poco prima, come se parlassi di un evento ormai estraneo. In fondo poi è proprio questo che noi giornalisti dovremmo fare: essere un tramite fra l'evento e la gente che, a casa, lontana kilometri, ti guarda, ti ascolta. Devi testimoniare con professionalità, che, attenzione, è molto diversa dalla mera freddezza". In situazioni estreme come quelle che hai vissuto è difficile conciliare il rispetto per la dignità delle persone con la necessità di dare la notizia? Un esempio che potremmo fare è quello di quanto accaduto qui in Abruzzo durante il terremoto.... "Succede spesso, purtroppo, che in situazioni come queste la ricerca sfrenata dello scoop porti a non avere rispetto delle persone. Ma si badi bene, è chiaro che quel che accade in questi casi non ha nulla a che vedere col giornalismo. E' un modo di fare notizia che è semplice gossip. Tanto è vero che nel caso del terremoto all'Aquila si trattava spesso di presentatori o intervistatrici che non erano giornalisti. Né io né i miei colleghi abbiamo mai mancato di rispetto a qualcuno. Sono errori, questi, che la stampa vera non fa". Che dire... è un dato di fatto, purtroppo, che i media sono diventati lo specchio della società. Allora non è più un problema della tv o dei giornali: è un problema nostro, di tutti noi. "Oggi, per esempio, è opinione diffusa che con una scuola di giornalismo si possa diventare bravi giornalisti. Io credo, però, che ci sia qualcosa che nessuna didattica possa mai insegnare. E' l'esperienza del mestiere, quella che si impara a bottega, prima, seguendo un buon mastro, e, poi, andando nelle strade, parlando con la gente, allenandosi nella palestra della cronaca. Se vuoi fare l'inviato, per esempio, non puoi solo sapere astrattamente che sarà un lavoro duro: devi arrivare nei villaggi, non mangiare per tre giorni, ascoltare il rumore delle bombe. Quando nonostante tutto avrai ancora voglia di testimoniare, raccontare ciò che vedi, allora sarai un buon reporter". Quindi per essere un buon inviato, cosa si deve fare? "E' una domanda che mi fanno spesso, specialmente i ragazzi. Sai cosa rispondo? Che l'80% è fatica, un 10% è tecnica, mestiere, un altro 10% è talento. Il nostro è un lavoro faticoso, in cui devi essere sempre disposto a rischiare. Spesso neanche ci pensi, quando rischi davvero grosso, perché se ti fermassi a pensare a quel che potrebbe accaderti forse non faresti un passo. Anche se la paura serve. Ho visto colleghi morire perché una granata cadeva su di loro, piuttosto che sulla mia troupe. Sono pochi secondi, è fortuna, forse destino. Ero con Baldoni la sera prima del suo sequestro, ma non mi fidai di quel che stava accadendo, e al posto di passare la notte a Najaf tornai in albergo a Baghdad. Fu una diffidenza, una paura... provvidenziale. Quel che è chiaro è che devi esserci. Quando qualcosa accade, tu devi esserci. Sai perché sono stato il primo a lanciare la notizia di Farouk? Perché non stavo a Porto Cervo in albergo come gli altri, ma andavo a cercare nelle vie della Barbagia". La tua più grande rinuncia? "Moltissime rinunce, questo è ovvio. Quando ti dedichi così tanto al tuo lavoro, e con tale passione, non sei più tu che governi, ma la notizia. Devi essere sempre pronto a partire, anzi, tu devi partire quando tutti gli altri scappano. E i rapporti sociali, quelli sì, un po' si allentano. E' un rischio, siamo d'accordo, ma è soprattutto una scelta. E naturalmente quel che perdi lo ritrovi in altra veste. Provi emozioni fortissime, sotto le bombe è tutto più forte. Ma vedi ciò che nessun altro vede, ascolti storie e percorri strade che mai avresti immaginato. Quanti cinema, quante cene andate perse... potevo sedermi, forse, dopo tanti anni, ma non l'ho fatto". E nel tuo lavoro ti sei mai dovuto scontrare con logiche che non condividevi? "Devo dire onestamente che ormai da un bel po' di anni ho ottenuto una credibilità tale da potermi imporre e potermi difendere. Gli scontri peggiori, credo, sono quelli che si verificano se tiri in ballo interessi soprattutto nazionali. E' per questo che ho una grande stima per i colleghi di cronaca di certe province difficili. Io come reporter ho sempre detto tutto, anche quando in tanti mi remavano contro, come nel caso di Farouk. Ciò che conta è essere sicuri della notizia. Nel giornalismo non deve esistere il condizionale. Non devi accettare i compromessi, ma certo la mia posizione è diversa da tante altre, perché ho lavorato per un telegiornale popolare, non ad esempio per la stampa schierata politicamente. Devi sempre sentire le due campane quando cerchi di dare una notizia. Ma se mi stai chiedendo se ho avuto paura, a volte, di dire qualcosa, la risposta è no". Carlotta Giovannucci carinci |
“Confessioni di un sicario economico” – di John Perkins Venivamo preparati per il nostro lavoro, che era quello di costruire l’impero americano. Dovevamo creare delle situazioni in cui la maggior parte possibile di risorse fluisse verso il nostro paese, verso le nostre corporations, il nostro governo, e in questo abbiamo avuto un grande successo. Abbiamo costruito il più grande impero nella storia dell’umanità. Ciò è accaduto negli ultimi cinquant’anni, a partire dalla seconda guerra mondiale, e con un uso assolutamente minimo di forza militare. Soltanto in casi eccezionali, come quello dell’Iraq, si utilizza l’esercito come ultima risorsa. Questo impero, a differenza di ogni altro impero nella storia, è stato costruito prima di tutto attraverso la manipolazione economica, attraverso l’inganno, attraverso la frode, attraverso la seduzione degli altri verso il nostro modo di vita, e attraverso l’uso dei sicari economici come me. Fui reclutato in una scuola di economia, sul finire degli anni 60, dalla NSA (National Security Agency), la più grande e meno compresa organizzazione di spionaggio nazionale. Ma in ultima analisi lavoravo per le corporations private. Il primo vero sicario economico risale agli anni 50: era Kermit Roosevelt, il nipote di Teddy, che rovesciò il governo dell’Iran - un governo democraticamente eletto – di Mossadegh. Kermit fu così bravo nell’ottenere quel risultato senza versare una goccia di sangue – beh, un po’ di sangue fu versato, ma non vi fu un intervento militare – e con una spesa di alcuni milioni di dollari rimpiazzammo Mossadegh con lo Scià dell’Iran. A quel punto capimmo che questa idea del sicario economico era ottima. Quando agivamo in questo modo, non dovevamo preoccuparci della Russia. Il problema è che Roosevelt era un agente della CIA, era un impiegato del governo, e se fosse stato scoperto avrebbe causato notevoli complicazioni. A quel punto si prese la decisione di utilizzare le organizzazioni come la CIA e la NSA solo per reclutare potenziali sicari economici come me, per poi mandarli a lavorare per compagnie private di consulenza, società di ingegneria, compagnie di costruzione, in modo che se fossimo stati scoperti non vi sarebbe stato alcun collegamento con il governo Io lavoravo per una compagnia chiamata Chas. T. Main di Boston, nel Massachusetts. Eravamo circa 2 mila impiegati, e io ero il capo del settore economico. Sono arrivato ad avere fino a 50 persone che lavoravano per me. Ma il mio vero lavoro era quello di concludere affari. Facevo dei prestiti ad altre nazioni, prestiti enormi, molto più grandi di quelli che avrebbero mai potuto ripagare. Una delle condizioni del prestito – diciamo ad esempio un miliardo di dollari, ad un paese come l’Indonesia o l’Ecuador - era che il paese avrebbe dovuto restituire il 90% del denaro a una società americana che costruisse le sue infrastrutture, come la Halliburton o la Bechtel, che erano le più grandi. Queste società andavano nel paese e costruivano un sistema elettrico, dei porti, o delle autostrade, che in realtà servivano solo alle poche famiglie benestanti del paese, mentre la povera gente restava con un debito sulla gobba che non avrebbe mai potuto ripagare. Un paese come l’Ecuador oggi deve versare più del 50% per suo prodotto lordo nazionale per pagare i suoi debiti, e in realtà non ce la può fare. Con loro abbiamo quindi il coltello dalla parte del manico. Se un giorno, ad esempio, vogliamo più petrolio, andiamo in Ecuador e diciamo: “Voi non siete in grado di ripagare vostro debito, per cui date alle nostre società le vostre foreste amazzoniche, che sono piene di petrolio”. Dopodichè noi arriviamo, distruggiamo la foresta dell’Amazzonia e obblighiamo l’Ecuador a darla noi, a causa del debito che ha accumulato. Quando facciamo questi grandi prestiti, la maggior parte dei soldi torna comunque negli Stati Uniti, mentre il paese rimane con il debito, più un interesse enorma da pagare, e questi diventano praticamente i nostri servi, i nostri schiavi. È un impero, non c’è altro modo di definirlo. È un impero enorme, e in questo noi abbiamo avuto grande successo. Quando mi hanno reclutato, quelli della NSA mi hanno sottoposto a una lunga serie di test della verità. Hanno scoperto tutte le mie debolezze, e mi hanno immediatamente sedotto. Hanno usato le droghe più potenti della nostra cultura, il sesso il potere e i soldi, per convincermi a passare dalla loro parte. Se non avessi vissuto la vita di un sicario economico, farei molta fatica a credere che queste cose accadano. Ora invece ho scritto questo libro perché il nostro paese ha bisogno di capire: se la gente di questa nazione capisce come funziona davvero la nostra politica economica, che cosa è l’aiuto ai paesi poveri, come funzionano le nostre corporations, dove vanno a finire i soldi delle nostre tasse, so che esigerà un cambiamento. Ricordate, quando all’inizio degli anni ‘70 l’OPEC faceva tutto quello che voleva, e ci razionava le importazioni di petrolio? Noi facevamo lunghe code in macchina alla stazione di servizio, e il paese aveva paura di dover affrontare un'altra depressione come quella del ’29. Questo per noi era inaccettabile, e a quel punto il Ministero del Tesoro ha reclutato me e alcuni altri sicari economici, e siamo partiti per l’Arabia Saudita. Sapevamo che l'Arabia Saudita era la chiave di volta per uscire dalla nostra schiavitù e prendere in mano la situazione. E così abbiamo messo a punto un accordo, grazie al quale la Reale Casa saudita avrebbe rispedito negli Stati Uniti la maggior parte dei petroldollari, e li avrebbe investiti in titoli governativi. Il Ministero del Tesoro avrebbe usato gli interessi di questi titoli per finanziare società americane che costruissero in Arabia Saudita nuove città e nuove infrastrutture -cosa che abbiamo fatto. La Casa Reale saudita si impegnava a mantenere il prezzo del petrolio entro limiti accettabili per noi - cosa che negli anni ha sempre fatto - mentre noi ci impegnavamo a mantenere al potere la Reale Casa saudita. Questo è uno dei motivi principali per cui siamo scesi in guerra con l’Iraq. In Iraq avevamo provato a implementare lo stesso tipo di strategia che aveva avuto così tanto successo in Arabia Saudita, ma Saddam Hussein non ci era cascato. Quando i sicari economici falliscono nel loro obiettivo, entrano in gioco gli sciacalli, ovvero gli agenti della CIA, che si infiltrano nel paese e cercano di fomentare un colpo di stato, o una rivoluzione. Se anche quello non funziona, provano con l’assassinio vero e proprio. Ma nel caso dell’Iraq non riuscivano a colpire Saddam Hussein, che aveva molti sosia e delle ottime guardie del corpo, e non si riusciva a farlo fuori. A quel punto è subentrata la terza linea strategica, nella quale i nostri giovani uomini e donne vengono mandati a uccidere ed essere uccisi, che è quello che chiaramente è successo in Iraq. Ho sempre lavorato molto, molto da vicino con la Banca Mondiale. La Banca Mondiale fornisce la maggior parte dei soldi che vengono usati dai sicari economici. Ma dopo l’11 settembre qualcosa è cambiato dentro di me. Sapevo che questa storia andava raccontata, perché quello che è accaduto l’11 settembre è il diretto risultato del lavoro dei sicari economici. E l’unico modo in cui torneremo a sentirci sicuri in questo paese, l’unico modo in cui torneremo a sentirci bene, è usando i sistemi che abbiamo messo in atto per creare un cambiamento positivo nel mondo. Sono profondamente convinto che questo sia possibile. Io credo che la Banca Mondiale e altre istituzioni possano essere re-indirizzate a fare quello che dovevano fare originariamente, e cioè aiutare a ricostruire le parti più devastate del mondo. Aiutare la povera gente. Ci sono 24 mila esseri umani che muoiono di fame ogni giorno, e noi questo possiamo cambiarlo. Il racconto di Robert Fisk, il celebre giornalista britannico inviato a Bagdad La guerra è una frode. Non mi riferisco all'inesistenza delle armi di distruzione di massa e dei rapporti tra Saddam Hussein e Al Qaeda, né a tutte le altre bugie che sono servite da casus belli. Penso piuttosto alle nuove menzogne. Infatti, se prima della guerra i governi ci avvertivano di minacce inesistenti, oggi ci nascondono minacce che esistono davvero. Gran parte dell'Iraq è ormai fuori dal controllo del governo fantoccio imposto dagli Stati Uniti a Bagdad, eppure non ci viene detto. Le truppe statunitensi subiscono centinaia di attacchi al mese, ma nessuno ci avverte, a meno che non muoia un americano. Il mese scorso, il bilancio delle vittime nella sola Bagdad è stato di oltre 700 morti, il mese peggiore dalla fine dell'invasione. Eppure, non ce l'hanno detto. La regia della catastrofe irachena è stata fin troppo evidente anche in occasione del "processo" a Saddam. L'esercito degli Usa non si è limitato a censurare le registrazioni cancellando le voci degli altri 11 imputati, ma ha anche fatto credere a Saddam (fino al suo arrivo in aula) che sarebbe stato giustiziato. Quando è entrato in aula, pensava che il giudice avrebbe sentenziato la sua condanna a morte: del resto, i tribunali di Saddam funzionavano così. Non c'è da meravigliarsi quindi se all'inizio sembrava "disorientato" - tempestiva precisazione della Cnn - anche perché era proprio così che lo si voleva rappresentare, e noi abbiamo fatto in modo che le aspettative non andassero deluse. Ecco perché Saddam ha chiesto al giudice Juhi: «Lei è un avvocato? . Siamo a un processo?». E subito, non appena si è accorto che si trattava dell'udienza preliminare - e non dei preliminari della sua impiccagione - ha assunto un atteggiamento bellicoso. Ma non pensiate che ci verranno date molte altre informazioni in merito alle prossime apparizioni di Saddam in tribunale. Salem Chalabi, il cui fratello Ahmed è stato condannato per frode, nominato dagli americani a capo del tribunale, ha informato la stampa irachena già due settimane fa che i giornalisti non potranno assistere alle prossime udienze. Non mi è difficile capire il perché. Se Saddam si comporterà come Slobodan Milosevic, vorrà parlare dei reali rapporti che il suo regime intratteneva con eserciti e intelligence, specialmente con quelli degli Stati Uniti. Trascorrere queste settimane in Iraq è un'esperienza insolita e pericolosa. Mi dirigo in macchina verso Najaf. L'autostrada 8 è uno dei luoghi peggiori di tutto il paese, dove gli occidentali vengono trucidati e l'asfalto è ingombro di auto della polizia e di camion americani bruciati. Tutti i posti di polizia in 110 km sono stati abbandonati. Nonostante tutto, poche ore più tardi, mi trovo nella mia stanza a Bagdad e alla televisione vedo Tony Blair alla Camera dei Comuni con un sorrisetto da primo della classe: e il rapporto Butler, dov'è finito? In questi giorni, guardare qualunque rete televisiva occidentale da Bagdad è come sintonizzarsi con Marte. Ma possibile che Blair non si accorga che l'Iraq sta per implodere su sé stesso? E Bush, neanche lui se ne accorge? Il "governo" nominato dagli americani controlla soltanto alcune zone di Baghdad, dove pure ministri e funzionari cadono vittime di imboscate e vengono assassinati. Le città di Baquba, Samara, Kut, Mahmoudiya, Hilla, Fallujah e Ramadi sono tutte sfuggite al controllo dell'autorità. Ayad Allawi, il "primo ministro", è poco più che un sindaco di Baghdad. «Qualche giornalista - annuncia Blair - sembra quasi desiderare che in Iraq si verifichi un disastro». Non vuole proprio capire che il disastro è già in atto. Quando i kamikaze vanno a schiantarsi in automobile contro centinaia di reclute a pochi passi da una stazione di polizia, come si fa anche solo a pensare di poter svolgere le elezioni in gennaio? Anche la Conferenza nazionale per la nomina dei responsabili delle elezioni è stata posticipata per ben due volte. E sfogliando i miei appunti delle ultime cinque settimane, mi accorgo che nessuna delle tante persone con cui ho parlato, né un iracheno, né un solo soldato americano, e nemmeno un mercenario - americano, inglese o sudafricano - crede davvero che a gennaio si terranno le elezioni. Tutti mi hanno detto che l'Iraq peggiora di giorno in giorno e la maggioranza mi ha chiesto come mai noi giornalisti non lo diciamo. Ma a Bagdad, accendo la televisione e vedo Bush che arringa i Repubblicani dicendo che in Iraq va sempre meglio, che gli iracheni stanno con la "coalizione", che sosterranno il nuovo governo forgiato dagli Usa, che la "guerra al terrorismo" è ormai vinta, che gli americani ora sono più sicuri. Poi vado su Internet e vedo due uomini incappucciati che tagliano la testa a un americano a Riad, che fendono con un coltello le vertebre di un altro americano che si trovava in Iraq. Ogni giorno, i giornali locali fanno il nome di qualche impresa edile che abbandona il paese. E io scendo a salutare i lavoratori dell'obitorio di Bagdad, così gentili e tragicamente tristi: laggiù, ogni giorno, vedo decine di quegli iracheni che in teoria siamo venuti a liberare, intenti a piangere, gemere e imprecare mentre trasportano in spalla i loro cari rinchiusi in squallidi feretri. Andare in guerra può essere una decisione terribile: anche Neville Chamberlain la pensava così, ma per lui non è stata affatto una decisione difficile, proprio perché quando i nazisti hanno invaso la Polonia, era la cosa giusta da fare. Guidando per le strade di Bagdad, osservando il terrore delle sentinelle americane e avvertendo, all'alba, il fragore dell'ennesima esplosione che squassa porte e finestre, capisco che cosa intende Blair. Entrare in guerra contro l'Iraq con l'invasione dell'anno scorso è stata la sua decisione più difficile perché pensava - non a torto - che potesse essere una scelta sbagliata. Non dimenticherò mai quando, a Bassora, disse all'esercito britannico che il sacrificio dei soldati inglesi non sarebbe stato un film di Hollywood, ma «vera carne e vero sangue». Infatti, il sangue sparso e la carne straziata erano veri, ma non lo erano le armi di distruzione di massa per cui tutto questo è avvenuto. «È ammesso l'uso della forza letale», si legge a tutti i checkpoint di Baghdad. Ma "ammesso" da chi? Non è chiaro a chi si debba rendere conto. Sempre più spesso, sulle grandi superstrade alle porte della città, i soldati ì urlano contro gli automobilisti e aprono il fuoco al minimo sospetto. «L'altro giorno sono venuti al nostro checkpoint degli uomini dei corpi speciali della Marina», mi ha detto un sergente della prima divisione di cavalleria. «Ci hanno chiesto se avevamo dei problemi, e io ho risposto di sì, perché ci sparavano da una casa, e gli ho indicato la direzione. Uno di loro mi ha chiesto: "Quella casa? ", e noi abbiamo detto di sì. Avevano tre jeep e molte armi al titanio: hanno preso le macchine e si sono diretti verso la casa. Più tardi sono ripassati e hanno detto: "Tutto a posto". Da allora non ci hanno più sparato». Che cosa vorrà dire? Gli americani si vantano per l'assedio di Najaf. Il tenente colonnello Garry Bishop del primo battaglione della 37° divisione corazzata la giudica una battaglia «ideale» (anche se non è riuscito a uccidere né a catturare Moqtada al-Sadr). «Ideale», ha spiegato Bishop, perché gli americani hanno evitato di danneggiare i luoghi sacri degli Imam Ali e Hussein. Che idea dovrebbero farsene gli iracheni? Che cosa direbbero gli inglesi se un esercito musulmano occupasse il Kent e bombardasse Canterbury, per poi vantarsi di non aver danneggiato la cattedrale? Dovrebbero ringraziare? E che dire poi di una guerra descritta in modo fantasioso dai suoi stessi autori? Mentre gli stranieri fuggono dall'Iraq per paura di morire, il Segretario di Stato americano Colin Powell afferma in conferenza stampa che la presenza degli ostaggi sta avendo un «effetto» sulla ricostruzione. Quale? Le esplosioni degli oleodotti sono ormai all'ordine del giorno, non meno delle interruzioni dell'elettricità. In alcuni quartieri di Bagdad, l'elettricità funziona solo per quattro ore al giorno; le strade pullulano di mercenari stranieri che esibiscono il fucile alla finestra lanciando ultimatum a tutti gli iracheni che non spariscono subito dalla loro vista. C'è da chiedersi se il governo britannico abiti su questo pianeta. Prendiamo ad esempio il processo a Saddam. Tutta la stampa araba - compresa quella di Bagdad - pubblica il nome del giudice, lo stesso che ha rilasciato interviste dopo aver accolto le accuse di omicidio a carico di Moqtada al-Sadr. Si è perfino fatto fotografare sui giornali, ma quando ho scritto il suo nome sull'Indipendent, il portavoce del governo britannico mi ha censurato formalmente. Salem Chalabi mi ha anche minacciato di querela. Allora, ricapitoliamo: invadiamo illegalmente l'Iraq e uccidiamo 11mila cittadini iracheni. A questo punto, entra in scena Chalabi, nominato dagli americani, e mi comunica ufficialmente che sono reo di «incitazione all'omicidio». Penso di aver detto tutto. Robert Fisk (traduzione di Sabrina Fusari) |
TANGENTI, L'ORDINANZA DAI NOSTRI INVIATI Loro, i politici, hanno fretta di incassare: «Vai a parlare con Ottaviano, ci stanno le vacanze, la corrente» gli dice il capogruppo del Pd Camillo Cesarone. Ma anche Angelini pretendeva sempre di più: «Hanno fatto una delibera che, perdoni l'espressione volgare signor giudice, è messa su misura per il mio sedere».
Angelini non si ferma mai con le sue richieste al palazzo: «Ma se il problema è che avete sbagliato a emettere le patologie, le patologie vanno cambiate». Il re delle cliniche arriva persino a lamentarsi del trattamento ricevuto in un noto ristorante di Roma frequentato da molti politici. Angelini spiega al pm Di Florio come e dove sarebbe avvenuto il pagamento delle tangenti a Del Turco, ovvero nella casa di Collelongo, «in una specie di ripostiglio che lui c'ha sotto la scala, una specie di scala circolare». Entrava con il sacchetto pieno di soldi e usciva, pare, con lo stesso sacchetto pieno di mele per non destare sospetti. Il pm Bellelli: «C'erano altre persone?». Angelini: «No, qualche volta è venuta la moglie Cristina, la quale però, poveretta, ha salutato e se ne è andata». Pm: «La titolare del ristorante di Roma?». Angelini: «Esatto». Pm: «Il Bolognese?». Angelini: «Della famiglia Bolognese, sì, sì. Al Bolognese, dove ho sempre mangiato pesante, quando ci andavo io pagavo io, e che scherzi?». Il presidente della giunta regionale è il principale obiettivo del pentito Angelini. Tant'è che il giudice, con linguaggio perentorio, traccia del governatore un «profilo delinquenziale non comune che lascia ritenere pressoché certa, indipendentemente da dimissioni da incarichi pubblici, la reiterazione dei medesimi reati per i quali si procede ». E anche Angelini non ha una grande considerazione morale di Del Turco, che viene addirittura paragonato al capo di Cosa nostra: «Neanche Totò Riina sarebbe arrivato a queste raffinatezze». Angelini davanti al pm Di Florio spiega anche che Del Turco avrebbe utilizzato quei soldi anche per fini politici: «E qui lui mi suona la musica che sta costituendo una corrente, la controcorrente, che ci sono otto senatori che lui deve, come dire, tenere buoni per sé rispetto a Boselli». Le pressioni bipartisan L'imprenditore Angelini racconta le pressioni crescenti dell'entourage di Del Turco, esplose dopo le elezioni vinte dal centrosinistra, ma anche le insistenze degli uomini della vecchia giunta di centrodestra. I fedelissimi del governatore Giovanni Pace (Forza Italia), Giancarlo Masciarelli e Sabatino Aracu dicevano all'imprenditore: «Noi ti abbiamo dato quello che hai chiesto per la tua prima cartolarizzazione e adesso ci devi... Guarda che noi per te possiamo fare tanto e tu devi stare attento...». A parlare è Giancarlo Masciarelli — uomo di confine tra le due coalizioni, già presidente della Fira col centrodestra e poi anche consulente ombra di Del Turco con la nuova giunta — il cui linguaggio, tuttavia, assomiglia molto a quello usato da Camillo Cesarone. Lui, ex sindacalista della Cgil, capo del personale delle cliniche Angelini, si butta in politica e si rivolge così al suo ex datore di lavoro: «La loro organizzazione (i partiti di centrosinistra, ndr) sono arrivati al potere però fanno politica e quindi hanno dei costi rilevanti... ». Chiosa dunque il gip nell'ordinanza: «Accettavano dunque e ricevevano (materialmente il Del Turco la somma di 200 mila euro consegnati dal suddetto Angelini)». Le minacce E quando Angelini scalpitava, rifiutava di pagare tutte le somme richieste, arrivavano le minacce più o meno velate. Questo, va sempre ricordato, lo racconta lo stesso imprenditore, la cui collaborazione andrà valutata col bilancino: «Cesarone mi diceva che per loro era molto difficile difendermi perché presentavo un sacco di problemi braccato come ero da Procura, Finanza, Nas e quant'altro. Mi diceva che solo loro mi potevano aiutare perché anche il resto della politica era contro di me e mi volevano rompere le gambe». E il capogruppo del Pd insisteva: «Devi parlare con Del Turco, portagli 100 mila euro». Spiega il gip: «Costringevano a consegnare la somma» e Del Turco, secondo il racconto di Angelici, commentava: «Sì, sì, va bene, non ti preoccupare, ma sai, io non mi voglio sforzare di parlare di sanità perché io amo la musica della politica, per cui dimmi qual è il problema e rivolgiti a Quarta». Cesarone non si accontenta mai. Intima ad Angelini di «consegnare mezzo milione a Del Turco: o paghi o non riusciamo a contenere le ispezioni (si riferisce alle case di cura del suo gruppo, ndr) ». Il capogruppo del Pd sente puzza di bruciato e dice ad Angelini: «Tu devi andare da Del Turco perché la situazione si sta aggravando, tu hai i telefoni sotto controllo». Angelini deve fronteggiare anche il manager Asl Luigi Conga che gli dice: «Io sono direttore generale e devo prendere le decisioni: o mi dai 100 mila euro al mese oppure non prendi più una lira. O paghi oppure i tuoi soldi li vedrai tra 10 anni, divertiti a farmi causa». La casa di Roma Nel dicembre del 2007 proseguono, a detta del gip, le richieste di denaro ad Angelini: «Accompagnate da riferimenti alle sempre maggiori difficoltà ad aiutare le sue cliniche nonché in relazione alle esigenze personali di Del Turco, impegnato economicamente nell'acquisto di una casa a Roma e per questo vengono incrementati in maniera decisiva gli importi. Angelini consegnava a Del Turco 250 mila euro e 750 mila a Cesarone». Stavolta l'imprenditore avrebbe fatto resistenza e si concede anche un commento velenoso sul modo di procedere del presidente, il quale dice: «Guarda che io la posso chiedere a qualcun altro la casa, se non me la vuoi dare tu. Però, poi, finisce un'amicizia ». Commento dell'imprenditore: «Nemmeno Totò Riina arriva a queste raffinatezze... ». L'autoscatto con l'autista Il 2 novembre 2007, Angelini inizia a prendere le sue contromisure per documentare la consegna delle mazzette. Scrive ancora il gip: «Angelini allega al verbale le fascette bancarie delle quattro mazzette da 50 mila euro ciascuna consegnate nella casa di Del Turco a Collelongo: "Io sottoscritto Sciarelli Dario (l'autista dell'imprenditore, ndr), insieme al dottor Angelini, mi sono recato presso l'abitazione dell'onorevole Del Turco in Collelongo ove giunti verso le 17 ho fotografato il dottor Angelini, come da foto allegate e controfirmate, prima dentro l'auto, mentre aveva in mano la busta contenente le mazzette di denaro, poi nel tragitto tra l'auto e l'abitazione di Del Turco e infine quando ne è uscito senza la busta. Al suo rientro in auto mi ha mostrato le fascette bancarie delle 4 mazzette che aveva provveduto a portare indietro"». Finito di leggere il documento, Angelini non rinuncia alla battuta commentando la foto: «Questo sono io che sembro un...». «Baldanzoso?», incalza il pm Di Florio. E lui aggiunge: «Un ciuccio di fiera di quelli da processione». Deutsche Bank La gola profonda Angelini, grande movimentatore di denaro ed esperto di flussi finanziari, dà una valutazione sulla politica della giunta abruzzese in materia economica. Chiede il pm De Florio: «Lei ha potuto capire quale era la ragione per cui Quarta e Del Turco spingevano verso Deutsche Bank? Glielo hanno mai detto?». Risposta: «No, quello che ho constatato di persona è che c'è stato un astio nei confronti di Barklays... Del Turco addirittura mi ha detto "Barklays sono una massa di delinquenti"». La riunione Il gip registra in modo notarile l'intervento di Del Turco presso un notissimo imprenditore a proposito della cessione dell'azienda di Angelini. Tentativo inutile: «Significativa in tal senso era la riunione organizzata a Roma il 13 marzo 2008 nell'abitazione di De Benedetti, presente anche Del Turco (riunione riscontrata da apposita attività di polizia), avente ad oggetto proprio la cessione di Villa Pini». La confessione laica Quando alla Regione capiscono che in Procura qualcosa di molto serio si sta muovendo, Del Turco contatta il procuratore generale dell'Aquila per chiedergli un incontro. Un amico comune, Pino Mauro, invia alle 7.40 del mattino del 4 aprile scorso un sms a Del Turco: «Presidente, ho parlato con il procuratore Amicarelli per incontro... ». La risposta arriva 12 minuti dopo: «Caro Pino, ovviamente dove e quando preferisce il procuratore». Il pg dell'Aquila si consiglia col procuratore capo di Pescara, Nicola Trifuoggi, e decide di andare nella casa del comune amico il 9 aprile alle ore 17. Alle 19.05, a incontro terminato, il pg chiama il collega a Pescara e gli annuncia una relazione per la mattina seguente: Del Turco «mi ha detto di aver voluto manifestare il suo attuale stato d'animo in una sorta di confessione laica. La sua richiesta di incontrarmi era per dolersi di quanto gli stava accadendo. Si diceva vittima del risentimento di titolari di cliniche per il suo piano di ridurre del 30 per cento le tariffe riconosciute ai privati...». Per il gip, questo era un «tentativo evidentemente volto a inquinare l'attività investigativa» e «screditare un'indagine in corso, evidentemente nella speranza di conseguenze a sé favorevoli» Alessandra Arachi |
Bullismo/ Ora è reato. Agli arresti minorenni
colpevoli di estorsione continuata Sabato 07.06.2008 15:30
di Pia Pinucci
Cassazione, Sezione Seconda Penale con sentenza n.13491/2008, respingendo il ricorso avverso la sentenza del tribunale (confermativa della decisione del gip) di applicare la misura cautelare del collocamento in comunità e della permanenza in casa, nei confronti di alcuni minorenni riconosciuti colpevoli del reato di estorsione continuata. Questi ultimi avevano reiteratamente intimorito e isolato un loro coetaneo
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Raddoppiate le richieste al consolato di Bucarest a
Quello romeno è un esodo annunciato dall’Italia alla Svizzera. Complice il giro di vite di Roma e Milano nei confronti degli stranieri extra o comunitari, balcanici in particolare, nell’ultimo anno le richieste di poter entrare in Svizzera di cittadini con passaporto romeno sono più che raddoppiate. E l’ingresso principale di questa trasmigrazione potrebbe essere il ‘portale sud’ svizzero, cioè il Ticino. “Passo il mio tempo a rispondere a richieste informative e su come ottenere un permesso di lavoro in Svizzera da parte dei miei connazionali - conferma Marinela Somazzi-Safta, console onorario romeno a Lugano -. Molte domande dall’Italia, ma anche direttamente da Bucarest. Dopo le prime informazioni, però, cerco subito di dissuaderli: la Svizzera non è l’Eden che molti romeni pensano che sia”. In effetti, Romania e Bulgaria sono rimaste ora fuori dalla seconda fase degli accordi bilaterali con la Svizzera relativi alla libera circolazione delle persone dei Paesi Ue. La cosiddetta ‘clausola di salvaguardia’ che limita gli ingressi di lavoratori romeni e bulgari è ancora in vigore e lo resterà fino al 2009. “I circa 3.600 permessi di lavoro di breve durata per romeni in Svizzera sono praticamente tutti assegnati - conferma il console onorario - . Anche per questo sconsiglio ai miei concittadini di venire qui. Certo, c’è sempre la via dell’illegalità, ma è una possibilità che non solo sconsigliamo, ma cerchiamo anche di contrastare, in collaborazione con le autorità cantonali e federali”. In Ticino risiedono stabilmente circa 300 famiglie romene, più o meno il 10-12% dell’intera Svizzera. “Sono tutti perfettamente integrati e lavorano come camerieri, operai, badanti. Ma ci sono anche ingegneri, medici e laureati - spiega Marinela Somazzi-Safta -. Così però il nostro Paese, che sta attraversando un periodo di grande rilancio economico, sta perdendo manodopera preziosa e qualificata. È assurdo quanto sta accadendo: in Romania ci sarebbe lavoro e i miei connazionali, purtroppo, scelgono invece di emigrare, di fare dei lavori umili, sottopagati e sottoqualificati, invece che restare a casa e vivere più che dignitosamente”. Lavoratori romeni che bussano alle porte elvetiche, ma anche caarovane di rom e pericolosi delinquenti che si aggirano per strade e case dei ticinesi. Alcuni casi di cronaca, come ad esempio una serie di furti e rapine del Mendrisiotto o il recente arresto di quattro giovani romeni, responsabili di furti a catena nel Bellinzonese, hanno riaperto la questione sicurezza. “Ma sono piccoli criminali d’importazione, da mordi e fuggi - spiega Enrico Baldassari, sergente della polcantonale che segue in prima persona il fenomeno rom -. Provengono dalle aree nomadi milanesi, entrano in Ticino per poche ore, il tempo di una rapina o una serie di furti, e ritornano in Italia. Il nostro territorio è troppo piccolo e supercontrollato per un ingresso stabile e duraturo di questo tipo di delinquenza”. mgiacometti@caffe.ch edizione 25.05.2008 |
«In Italia 14 milioni di donne vittime di violenza FIRENZE (7 giugno) - In Italia più di 14 milioni di donne sono state vittime di violenze fisiche, sessuali o psicologiche. Il più delle volte il maltrattamento arriva dal partner, nel 90% dei casi il sopruso non viene denunciato. Il convegno “Il Rosa e l'Azzurro”, in corso a Firenze e organizzato dall'associazione Medu, medici per i diritti umani, il terzo nell'ambito del progetto nazionale “Maschio per obbligo”, ha provato a fare il punto sulla situazione proponendo una soluzione per prevenire la violenza di cui le donne sono vittime partendo da chi della violenza è autore, l'uomo. Secondo i sostenitori del progetto, per porre fine ai soprusi contro le donne, bisogna liberare il maschio dagli stereotipi oppressivi e favorire la riflessione sul luogo comune che inquadra l'uomo nel cliché della virilità intesa come prevaricazione. |
Marilyn Monroe - nome d'arte di Norma Jeane Baker - (Los Angeles, 1 giugno 1926 – Los Angeles, 5 agosto 1962) è stata un'attrice statunitense. Biografia Il suo mito supera di gran lunga il pur apprezzato (e spesso sempre più rivalutato) talento artistico di un'attrice sicuramente fuori dal comune, un "sogno proibito" per milioni di appassionati di cinema. Il fascino che emanava dal grande schermo e dalle copertine in carta patinata ha contribuito a farne un sex symbol fuori da ogni tempo; la fragilità che ha contraddistinto la sua esistenza (per molti versi tumultuosa e culminata in una morte tanto prematura quanto misteriosa) l'ha resa una vera e propria icona della cultura pop. È stata anche una cantante dalle doti non particolarmente eccelse ma con un timbro vocale in grado di affascinare l'ascoltatore. Fra i suoi successi, quasi tutti inseriti nel contesto dei film da lei interpretati, vi è anche la celeberrima My Heart Belongs To Daddy di Cole Porter. Altri grandi successi canori di Marilyn furono Bye Bye Baby, cantata nel film Gli uomini preferiscono le bionde, e I Wanna Be Loved by You, cantata nel film A qualcuno piace caldo. La Marilyn cantante sarà tuttavia ricordata più che altro per l'intervento canoro - immortalato in un enigmatico quanto affascinante filmato video in bianco e nero con l'artista illuminata da un semplice occhio di bue - al party di compleanno del presidente Kennedy, quando intonò - con fare malizioso ed ammiccante - Happy Birthday, Mister President. Nacque con il nome di Norma Jeane Mortenson, e fu battezzata Norma Jeane Baker nel reparto dell'ospedale della contea di Los Angeles, California, riservato agli indigenti. La madre era Gladys Pearl Monroe. I biografi concordano che l'uomo indicato come il padre nel certificato di nascita, Martin Edward Mortenson, il secondo marito di Gladys, non fosse in realtà il suo vero padre. La sua paternità non è mai stata definita in modo chiaro. Sembra più probabile che il padre fosse Charles Stanley Gifford, un impiegato delle vendite dello studio cinematografico dove la madre lavorava al montaggio. Il divorziato Gifford non volle legami e lasciò Gladys non appena lei lo informò della sua gravidanza. Gladys era la figlia di Otis Elmer Monroe (1865-1909) e Della Hogan (1876-1927). Dapprima sposò John Newton Baker, che rapì i loro due figli, Robert Jasper "Jackie" Baker (16 gennaio 1918-16 agosto, 1933) e Berniece Inez Gladys Baker (nata il 30 luglio 1919), quando la coppia si separò. In seguito sposò Mortenson, ma i due si separarono prima che Gladys rimanesse incinta di Norma Jeane. Non riuscendo a persuadere la madre Della ad occuparsi della bambina, Gladys si risolse ad affidare Norma Jeane a Wayne e Ida Bolender, a Hawthorne, una località a sud-ovest di Los Angeles. Norma Jeane visse con loro fino all'età di sette anni. I Bolender erano una coppia religiosa ed integravano le loro magre entrate prendendo bambini in affido. Nella sua autobiografia, My Story, scritta con Ben Hecht, Marilyn disse che era convinta che loro fossero i suoi genitori finché Ida, piuttosto brutalmente, non la corresse. Dopo la sua morte Ida disse che rimasero sempre in contatto e che avesse avuto la seria intenzione di adottarla, cosa che non poté fare senza il consenso di Gladys. Gladys veniva in visita ogni sabato, ma non abbracciò né baciò mai Norma Jeane, nemmeno mai le sorrise. Un giorno Gladys le disse di aver comprato una casa per loro due. Qualche mese dopo il trasloco Gladys soffrì di un esaurimento nervoso. Marilyn ricordò la madre "urlare e ridere" mentre veniva portata di forza all'ospedale psichiatrico statale di Norwalk. Tra il mobilio della casa dove Norma Jeane e sua madre vissero insieme, se pur per breve tempo, c'era un pianoforte bianco. Una volta divenuta famosa, Marilyn assunse un investigatore privato per ritrovare quel pianoforte, e da allora non se ne separò mai più. "I momenti più felici della mia infanzia furono intorno a quel pianoforte," disse. Nel 2000, molti beni di Marilyn furono messi all'asta da Christie's e quel pianoforte bianco fu comprato dalla cantante Mariah Carey. Norma Jeane fu presa in custodia dalle autorità statali. La migliore amica di Gladys, Grace McKee, poi Goddard, divenne la sua tutrice. Dopo il matrimonio di Grace con il signor Goddard, il 4 aprile 1935[2], Norma Jeane fu mandata prima all'orfanotrofio di Los Angeles, dove rimase fino al 1938, e poi affidata a ben dodici diverse famiglie, dove subì violenze e trascuratezza. Quindi, nel settembre del 1941, Grace McKee Goddard la riprese con sé. Norma Jeane conobbe il figlio di un vicino, James Dougherty, che divenne poi il suo primo marito. Il matrimonio avvenne il 19 giugno 1942, per poi cessare con il divorzio il 13 settembre 1946. I Goddard stavano per trasferirsi sulla costa orientale degli Stati Uniti e ritennero che il matrimonio fosse una buona cosa per l'ormai teenager Norma Jeane. Era una ragazza con poca stima di sé, ma anche con un lato aggressivo ed opportunistico. Era molto più intelligente ed infelice di quanto possa far pensare l'immagine che il cinema diede poi di lei. Nel 1945 il lavoro di Norma Jeane consisteva nell'ispezionare paracadute, mentre il marito era nella marina mercantile. Un giorno un fotografo la notò e le chiese di posare in un suo servizio. Poco dopo Norma Jeane si trasferì dalla suocera e firmò un contratto con un'agenzia di modelle, il 23 luglio 1946, che le fruttò il suo primo contratto con la 20th Century Fox, della durata di sei mesi per un compenso pari a 75 dollari Posò nuda per il fotografo Tom Kelley il 27 maggio 1949 e venne pagata 50 dollari. Nel calendario Miss Golden Dreams la fotografia venne riprodotta senza citare il suo nome. Nel 1952 un ricattatore la minacciò di rendere il fatto di pubblico dominio, ma lei gli rovinò i piani annunciandolo lei stessa. Quando i reporter le chiesero perché l'avesse fatto, lei fece spallucce e disse "avevo fame". Hugh Hefner comprò il diritto di usare quella fotografia per il primo numero della sua nuova rivista, Playboy. Entro il 1953 diventò la più grande star del mondo, ma era stanca dei ruoli di oca bionda che Darryl F. Zanuck le affidava. Ruppe il suo contratto e si trasferì a New York per studiare all'Actor's Studio; creò una sua società di produzione con il fotografo Milton H. Greene. Questi cambiamenti le valsero il dileggio dell'industria del cinema. Tuttavia, quando Jayne Mansfield e Sheree North non raccolsero i successi di pubblico attesi, Zanuck si arrese. Il nuovo contratto che Marilyn stipulò le lasciava maggior margine creativo, il diritto di approvazione del regista e la possibilità di fare un film all'anno con case di produzione diverse dalla Fox. Il primo lavoro di questo nuovo periodo fu Fermata d'autobus (Bus stop). In quegli anni recitò, tra gli altri, con Cary Grant, Clark Gable, Laurence Olivier, Joseph Cotten, Richard Widmark, Jane Russell, Lauren Bacall, Ethel Merman, Charles Laughton, Tony Curtis, e Yves Montand, col quale ebbe una breve relazione durante le riprese di Facciamo l'amore (Let's make love).Sposò James Dougherty il 19 giugno 1942. Grace, traslocando col marito, volle che Norma Jeane si sposasse in modo da non dover tornare in orfanotrofio. Nei libri The Secret Happiness of Marilyn Monroe e To Norma Jeane With Love, Jimmie Dougherty afferma che erano innamorati e che avrebbero vissuto felici se i sogni di successo non l'avessero allontanata da lui. Al contrario, la Monroe ha sempre affermato che fosse un matrimonio di convenienza organizzato da Grace, che pagava Dougherty perché le desse appuntamento. Divorziarono nel 1946. Nel 1951 Joe Di Maggio vide una fotografia di Marilyn con due giocatori dei Chicago White Sox, ma aspettò fino al suo ritiro per chiedere di organizzare un appuntamento con lei. Lei non volle incontrarlo, temendo che si rivelasse un tipo abbastanza convenzionale. Il 14 gennaio 1954, la loro fuga al municipio di San Francisco fu il culmine di due anni di corteggiamenti che, tramite i rotocalchi, avevano tenuto in sospeso l'intera nazione. Quando Marilyn annunciò il suo divorzio, adducendo la causa della crudeltà mentale, i giornali riportarono una sua dichiarazione alla 20th Century Fox in cui diceva che "le nostre carriere sembrano ostacolarsi l'un l'altra". Successivamente sposò il celebre commediografo ebreo-americano Arthur Miller con cerimonia civile il 29 giugno 1956 e con cerimonia ebraica due giorni dopo. Tornati dall'Inghilterra, dopo aver completato Il principe e la ballerina (The Prince and the Showgirl), scoprirono che lei era incinta. Sfortunatamente lei soffriva di endometriosi, la gravidanza era a rischio e lei la interruppe per non rischiare la propria vita. Una seconda gravidanza si concluse con un aborto spontaneo Marilyn Monroe è stata trovata morta nella camera da letto della sua casa di Brentwood, California, all'età di trentasei anni a causa di un'overdose di barbiturici. Le circostanze della sua morte hanno indotto molti a pensare che sia stata uccisa, anche a causa del suo coinvolgimento con la famiglia Kennedy. L'allora presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy aveva di recente interrotto l'amicizia con l'attrice. Tuttavia questo non sembra essere un motivo sufficiente, dato che altre amiratrici attribuite a Kennedy (tra queste, Judith Campbell Exner, che segretamente faceva anche da tramite tra il presidente ed il gangster Sam Giancana) gli sono sopravvissute. Il cadavere di Marilyn fu scoperto dalla signora Eunice Murray, un'infermiera assegnata a Marilyn dal suo psichiatra, il Dr. Ralph Greenson. C'è chi ritiene che, la notte della sua morte trascorsero cinque ore dal momento del decesso a quando furono avvisate le autorità. Durante quelle ore Marilyn sarebbe stata portata all'ospedale St. John di Santa Monica, ma l'ospedale rifiutò di accettare il caso, per l'eccessiva notorietà della vittima. Questa incerta ricostruzione, unita all'arrivo della polizia solo in piena notte, ha lasciato aperto negli anni uno strascico di speculazioni secondo cui la Murray potesse aver saputo più di quanto abbia poi raccontato Marilyn è sepolta in un loculo al Westwood Village Memorial Park Cemetery. Aveva fatto seppellire lì anche Grace Goddard perché vi era sepolta anche la zia di Grace - che si prese cura di Norma Jeane per un breve periodo. Quando la sua carriera stava decollando, Marilyn chiese al suo truccatore personale, Whitey Snyder, di prometterle che alla sua morte si sarebbe occupato del trucco. Snyder rispose scherzando che l'avrebbe fatto se il suo corpo gli fosse portato ancora caldo. Alcuni giorni dopo, ricevette dei soldi e una nota: "Caro Whitey, mentre sono ancora calda, Marilyn". Mantenne la sua promessa con l'aiuto di una bottiglia di whisky. A distanza di anni vi sono ancora parecchi lati oscuri circa la ricostruzione della morte dell'attrice. L'insolito essersi chiusa a chiave nella camera, la scomparsa delle fotografie dell'inchiesta e dei tabulati telefonici, il ritardo dei soccorsi. Anche il mistero che avvolge la sua prematura morte ha contribuito alla costruzione del suo mito. |
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