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John Kenneth Galbraith

Post n°1055 pubblicato il 08 Febbraio 2018 da fresbe
 
Tag: Profili

(Iona Station, 15 ottobre 1908 – Boston, 29 aprile 2006) è stato un economista, funzionario e diplomatico canadese naturalizzato statunitense. È stato fra i più celebri e influenti economisti del suo tempo, nonché critico della teoria capitalista tradizionale.

Insegnò nelle università di California, di Princeton, di Cambridge e di Harvard. Acquistò rinomanza come economista "liberal" ed ebbe notevole influenza sul pensiero economico del XX secolo. 
Raggiunse la notorietà negli anni 1960 col libro “The Affluent Society”, che, secondo quanto ha scritto il "New York Times", costrinse la nazione americana a riesaminare i suoi valori: nell'opera si sostiene che gli Stati Uniti erano diventati ricchi in merci di consumo, ma poveri nel campo dei servizi sociali. L'opera introduce il concetto che in italiano è tradotto con la fortunata formula di "società opulenta". È stato premiato due volte con la Medaglia presidenziale della libertà: nel 1946 dal Presidente Truman e nel 2000 dal Presidente Clinton. Le sue opere sono parte di una vasta e continua produzione che ha toccato, in pratica, tutte le tematiche economiche, spingendosi spesso nel sociale e nel politico: sbocchi ed evoluzioni obbligate per un pensiero economico che non misuri tutto con la percentuale di incremento o declino del prodotto interno lordo, perché, come afferma proprio JKG, "... quando non potremo più respirare l'aria, bere l'acqua e mangiare del cibo non inquinato, non ci preoccuperemo forse più di quanto aumenterà quest'anno il prodotto interno lordo..." Negli anni sessanta, Galbraith è stato insieme ad Herbert Marcuse - sul piano più strettamente filosofico e ideologico - uno dei "guru" dei movimenti di contestazione giovanile e dei movimenti pacifisti (essenzialmente statunitensi anti Vietnam), che dovevano sfociare nel 1968 con le lotte studentesche del maggio parigino e nel resto del mondo.
In particolare, un punto di vista sul quale convergevano il pensiero filosofico di Marcuse e quello economico-sociologico di Galbraith, era il fatto che l'uomo sociale, il cittadino, fosse stato ridotto, dalla volontà delle grandi corporation supportata dalle nuove (per gli anni sessanta) aggressive metodologie di marketing, a un "consumatore", ovvero a un soggetto che ha una sua esistenza, e, in definitiva, una sua dignità, solo in quanto capace di consumare beni e servizi, e nella misura in cui ottempera a questa sua unica e imprescindibile funzione. Occorre ricordare che è del 1957 il primo riuscito esperimento di pubblicità subliminale. Non hanno dunque importanza le aspirazioni, le necessità, i sogni di un qualunque essere umano, ma hanno solo importanza i suoi 'bisogni', che generano la funzione primaria ed unica del consumo. Per cui, stante l'importanza della definizione degli stessi bisogni da parte del sistema economico, la modellazione di questi bisogni non può essere lasciata al caso, ma deve diventare la principale funzione del sistema economico, impersonato dalle grande aziende che lo dominano; cosa si produce è, in questo scenario, secondario, in quanto non è più necessario produrre ciò che serve, in quanto ciò che serve è definito a monte, ed in maniera precisa, da una ristretta cerchia di soggetti economici che definiscono i bisogni in funzione delle proprie esigenze, e non di quelle dei cittadini, ridotti al rango di meri consumatori. Marcuse esprime questo concetto in quella che possiamo definire la sua opera principale, e certamente la più nota, L'uomo ad una dimensione, quella del consumo, appunto, in cui analizza il tema dei 'bisogni' di un essere umano, e di come 'il sistema capitalistico' controlli tali bisogni ed i meccanismi della loro definizione e creazione.
Galbraith esprime il concetto speculare nella "Società opulenta", in cui invece descrive perché, a suo modo di vedere, il sistema economico, rappresentato in primis dalle grandi corporation, ha necessità, per i suoi fini intrinseci, di controllare i bisogni, del singolo e delle collettività, in modo assoluto, senza poter lasciare al caso e alla spontanea evoluzione umana la definizione di tali bisogni. Galbraith esprime la tesi secondo cui l'evoluzione della società e dell'economia va verso una direzione in cui ciò che conta sono soprattutto, se non soltanto, i livelli dei consumi che i consumatori, appunto, esprimono, tanto che, da quegli anni in poi, i cittadini non vengono quasi più considerati persone portatrici di idee e valori, ma solo "consumatori", esplicitando, in tal modo, il fatto che a livello sociale si conta solo in funzione del proprio livello di consumi. L'idea che si potesse mettere in discussione il "progresso" economico, inteso come sviluppo industriale e misurato esclusivamente da indicatori quantitativi come la crescita del prodotto interno lordo, per motivi, ad esempio, ambientali suonava come un'eresia, e venne bollata come qualcosa a metà fra il luddismo e la negazione della libera iniziativa, con pericolose propaggini verso il bolscevismo, specie poi se ciò accadeva negli anni dell'escalation della guerra fredda con l'Unione Sovietica, e della caccia alle streghe del maccartismo. L'idea centrale de Il nuovo Stato Industriale è piuttosto semplice, e sembra persino di per sé evidente, oggi, ma all'epoca non mancò di suscitare rumore ed accese polemiche: Galbraith parte dalla considerazione che, mentre una volta lo scenario economico era dominato dall'imprenditore, figura centrale del progresso e incarnazione stessa della "mano invisibile" di Adam Smith, negli anni ’60, i processi aziendali sono diventati talmente complessi che è impensabile che una sola persona sia in grado di detenere le conoscenze necessarie a guidare ed indirizzare l'intero processo produttivo.  
da Wikipedia (riassunto...)
 

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