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Post n°221 pubblicato il 15 Febbraio 2015 da cineforumborgo
ZORAN, IL MIO NIPOTE SCEMO Regia: Matteo Oleotto
Come in un dipinto di Caravaggio un raggio di luce trapassa la finestra del bar in cui Paolo Bressan passa le sue giornate, trascinando il suo corpo disfatto tra un bicchiere di vino e l’altro, e lo illumina. Il messaggio di redenzione prefigura la rinascita e il cambiamento che sta per investire la sua vita. Zoran, la preziosa eredità di una zia slovena semi sconosciuta, entra nella sua vita come un angelo e con la sua disarmante semplicità lo sveglia dal torpore e gli concede la possibilità di essere un uomo nuovo.
Per quasi un secolo il territorio di Gorizia ha assistito a frizioni e scontri tra italiani e sloveni. La città divisa in due dal confine paragonata a Berlino tra rancori e risentimenti mai sopiti. Ora anche la Slovenia fa parte dell'Unione europea, il confine è solo un ricordo. Tutto tranquillo, se non ci fosse Paolo Bressan. Paolo si presenta come un alcolista corpulento, con un passato da sciupafemmine che gli è costato l'essere mollato dalla moglie, un presente in cui sembra intento a sciupare se stesso, e un futuro che sembra già sciupato dal passato. Lavora, si fa per dire, presso la mensa di un centro per anziani, il suo chiodo fisso è l'improbabile riconquista della moglie, il suo incubo i vigili che lo puntano ogni sera perché sanno che guida ubriaco. Una speranza si accende quando una zia, slovena e praticamente sconosciuta, muore e a lui spetta un'eredità. Non sono soldi, è Zoran, una ragazzotto con occhiali enormi che parla un italiano arcaico, imparato da tre vecchi libri. Paolo non vede l’ora di scaricarlo in comunità, ma deve aspettare che la burocrazia faccia il suo corso. Solo allora si accorge del particolare talento di Zoran: tira le freccette con abilità mostruosa. E se si potesse cavarne un po’ di Euro? Va subito detto che il racconto è spensierato, da canzone da osteria che magnifica le sorti del vino e rende funebri quelle dell'acqua. Del resto è l'osteria il palcoscenico prediletto da Paolo. E qui però cominciano le difficoltà perché il nostro eroe è un autentico cialtrone, profittatore e anche antipatico, una sorta di italiano medio all'Alberto Sordi con accento veneto e sbronza molesta. E anche l'entusiasmo alcolico rischia di essere arma a doppio taglio, e alla lunga si rischiano solo i postumi. Così si sorride in diverse occasioni di fronte a “Zoran”, ma talvolta la commedia sembra viaggiare con il freno a mano tirato per un protagonista triste e infelice contrapposto a una macchietta in salsa slava. Matteo Oleotto ci si è messo d'impegno per questa sua opera prima realizzata nelle terre natie dove è tornato dopo parentesi di studi di cinema romani. Lui stesso afferma di essere rientrato per occuparsi delle vigne di famiglia. Ma, come si dice, aveva fatto i conti senza l'oste perché il sacro furore dell'arte lo ha spinto a realizzare il suo film.
MATTEO OLEOTTO
Martedì 24 febbraio 2015:
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