Tag Cloud
FESTIVAL, Particolarità, STORIA, comunicazione, editoria, eventi, film in uscita, incassi, libri, musica, news, novità, premi, recensioni, trailer, tv
Monicelli, senza cultura in Italia...
Archivio messaggi
Lu | Ma | Me | Gi | Ve | Sa | Do |
|
|
|
|
|
|
|
1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
6 |
7 |
8 |
9 |
10 |
11 |
12 |
13 |
14 |
15 |
16 |
17 |
18 |
19 |
20 |
21 |
22 |
23 |
24 |
25 |
26 |
27 |
28 |
29 |
30 |
|
|
|
|
|
|
Chi può scrivere sul blog
Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti. I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
tutto il materiale di questo blog può essere liberamente preso, basta citarci nel momento in cui una parte del blog è stata usata. Ladridicinema
FILM PREFERITI
Detenuto in attesa di giudizio, Il grande dittatore, Braveheart, Eyes wide shut, I cento passi, I diari della motocicletta, Il marchese del Grillo, Il miglio verde, Il piccolo diavolo, Il postino, Il regista di matrimoni, Il signore degli anelli, La grande guerra, La leggenda del pianista sull'oceano, La mala education, La vita è bella, Nuovo cinema paradiso, Quei bravi ragazzi, Roma città aperta, Romanzo criminale, Rugantino, Un borghese piccolo piccolo, Piano solo, Youth without Youth, Fantasia, Il re leone, Ratatouille, I vicerè, Saturno contro, Il padrino, Volver, Lupin e il castello di cagliostro, Il divo, Che - Guerrilla, Che-The Argentine, Milk, Nell'anno del signore, Ladri di biciclette, Le fate ignoranti, Milk, Alì, La meglio gioventù, C'era una volta in America, Il pianista, La caduta, Quando sei nato non puoi più nasconderti, Le vite degli altri, Baaria, Basta che funzioni, I vicerè, La tela animata, Il caso mattei, Salvatore Giuliano, La grande bellezza, Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Todo Modo, Z - L'orgia del potere
Tag Cloud
FESTIVAL, Particolarità, STORIA, comunicazione, editoria, eventi, film in uscita, incassi, libri, musica, news, novità, premi, recensioni, trailer, tv
|
Messaggi del 24/02/2015
Post n°12204 pubblicato il 24 Febbraio 2015 da Ladridicinema
Il regista Inarritu, sotto Julianne Moore © foto Reuters Un’infilata di numeri musicali che facevano pensare più a Broadway che a Hollywood, un conduttore troppo friendly per fare cadere con l’efficacia giusta le poche battute affilate concesse a un copione soporifero, nessun vero colpo di scena tra i premi, se si eccettua il fatto che Richard Linklater e il suoBoyhood, sorprendentemente tra i favoriti fino alla vigilia, alla fine non hanno portato a casa quasi niente; persino i presentatori delle statuette erano assortititi male. L’87esima edizione degli Academy Awards si è conclusa domenica sera, dopo una cerimonia infinita di 3 ore e 40 minuti, con il trionfo del cinema indipendente, ma solo se appoggiato dagli studios. Con uno sprint dell’ultimo minuto, dopo settimane di pronostici che li davano fianco a fianco sulla dirittura d’arrivo, Birdman ha trionfato su Boyhood, vincendo l’Oscar di miglior film, miglior regista, miglior sceneggiatura non originale e quello di miglior fotografia (al grande messicano Emanuel Lubetzki, che l’anno scorso aveva già vinto per Gravity). Particolarmente ingiusta, in questo en plein, sembra l’assenza del protagonista del film di Alejandro Gonzalez Inarritu, Michael Keaton, che sarebbe stata una scelta più logica (insieme a Bradley Cooper in American Sniper) per la statuetta di migliore attore, andata invece a Eddie Redmayne per lo stucchevole, manipolatorio, The Theory of Everything (La teoria del tutto).
Ma, si sa, agli Oscar, l’allure della malattia incurabile batte qualsiasi valore estetico, e così abbiamo dovuto accontentarci di vedere premiata come migliore attrice la magnifica Julianne Moore, non per Map to the Stars di David Cronenberg (ultimo gioiello in una carriera vissuta spericolatamente) ma posseduta dall’Alzheimer nel quasi televisivo Still Alice. Già anticipato, e dovuto, anche l’Oscar per la miglior attrice non protagonista, a Patricia Arquette, dolce, determinatissima mamma single che sbaglia un uomo dopo l’altro in Boyhood. Nel corso di un ringraziamento emozionato e confuso, Arquette ha invitato il pubblico a battersi in nome «della pulizia ecologica nei paesi in via di sviluppo», di «qualsiasi donna abbia mai dato alla luce un bambino» e «dell’uguaglianza di diritti e di paga per le donne americane» — esortazione questa che ha visto scattare in piedi e applaudire parecchie star in platea, a partire da Meryl Streep (nominata come non protagonista per il ruolo della strega in Into the Woods). Nel frenetico chiacchiericcio mediatico dei giorni che hanno preceduto la cerimonia, qualcuno (per esempio su Variety) aveva manifestato il timore che la serata avrebbe potuto essere «presa in ostaggio dalla politica». Come prevedibile — ormai da molti anni cautela è la parola d’ordine agli Oscar, hanno bandito persino il kitsch — si trattava di un timore del tutto infondato: ogni controversia degli scorsi mesi è rientrata; American Sniper non ha avuto premi, eccettuato quello di miglior montaggio sonoro, e chi voleva protestare fuori dal Dolby Theatre per l’esclusione della regista di Selma, Ava DuVernay, è stato convinto (pare dalla stessa regista) a rimanere a casa. Collaudato presentatore di varie cerimonie di Tony e di Emmy, l’attore di Broadway Neil Patrick Harris (Gone Girl) è quasi un outsider rispetto all’industria del cinema, ma gli manca il mordente provocatorio che hanno portato agli Academy Awards conduttori televisivi come Jon Stewart o David Letterman. Harris ha ballato e cantato all’inizio, fatto un paio di passeggiate tra il pubblico e, evocando Michael Keaton in Birdman (ma senza la pancetta flaccida), si è presentato sul palco in mutande bianche. La sua è stata una performance da peso piuma. Perché le acque si increspassero un poco, politicamente parlando, si è dovuta aspettare la fine della serata quando Sean Penn — con un sorriso da Gatto Silvestro e assaporando la suspense — prima di annunciare che Birdman aveva vinto per miglior film ha detto: «Ma chi gli ha dato la carta verde a questo figlio di puttana?». Pare che la battuta abbia offeso parecchi, su Twitter. In sala però ha dato a Inarritu (che aveva lavorato con Sean Penn in 21 Grams) l’opportunità di spezzare una lancia a favore della riforma dell’immigrazione di Obama (a rischio da qualche giorno, causa un giudice del Texas) «perché agli immigrati messicani di questa generazione siano dati gli stessi diritti e la stessa dignità riservati a quelli che sono venuti prima di loro in questa grande nazione di immigranti». Più solenne dell’exploit di Penn, e di rigore, ma sentitissima (specialmente dopo la performance della canzone che avrebbe vinto l’Oscar, Glory, dal film Selma),l’esortazione di John Legend e Common a battersi per il diritto di voto in una nazione «in cui ci sono più uomini afroamericani in prigione di quanti ce ne fossero in schiavitù nel 1850». In sala David Oyelowo era in lacrime e, come lui ma molto più inaspettatamente, anche Chris Pine. Parallelamente al crescendo progressivo di Birdman, gli altri due grandi vincitori della serata sono stati Whiplash di Damien Chazelle (miglior attore non protagonista a J.K. Simmons, miglior montaggio e miglior mixaggio sonoro) e The Grand Budapest Hotel, di Wes Anderson, che non ha vinto — come ci si aspettava invece — il premio di miglior sceneggiatura non originale, ma ha portato a casa Oscar per la migliore colonna sonora (Alexandre Desplat, che era nominato anche per Imitation Game), per i miglior costumi (Milena Canonero), la miglior scenografia (Adam Stockhausen e Anna Pinnock) e per il make up (Frances Hannon e Mark Couilier). Data quasi per scontata, la vittoria di Citizienfour nella categoria del documentario ha portato in mondovisione il problema della sorveglianza segreta dei governi e sul palco la regista/giornalista Laura Poitras e il columnist Glenn Greenwald, che sembrava addirittura intimidito. Contro tutti i pronostici, che davano per vincenteTrain Your Dragon 2, la Disney si è assicurata non uno ma due Oscar per l’animazione: per il molto lasseteriano Big Hero 6 e per il bel corto che lo accompagna, Feast.
Post n°12203 pubblicato il 24 Febbraio 2015 da Ladridicinema
Chiara Rapaccini contro il riconoscimento della Fondazione Grosseto Cultura al regista romano: "Rispetto la sua professionalità, ma non c'entra se non in piccola parte". E lo stesso vale, dice, per i personaggi celebrati negli scorsi anni: Brizzi, Scamarcio e Veronesi. Il regista fiorentino: "Sono pronto a restituirlo" “Il premio Monicelli a Carlo Verdone? Rispetto la sua professionalità ma a Grosseto in nome di Mario hanno creato una rassegna troppo nazionalpopolare da cui mi dissocio”. E’Chiara Rapaccini, la vedova del grande maestro scomparso cinque anni fa, a spiegarlo a ilfattoquotidiano.it dopo una sua lunga lettera pubblicata dal Tirreno. Qui la Rapaccini prende le distanze dalle motivazioni con cui la Fondazione Grosseto Culturaconsegnerà il 7 marzo a Verdone il premio dedicato a Monicelli “Leggo che a Grosseto verrà festeggiato il mio compagno di una vita, Mario Monicelli, e il suo centenario, con una cerimonia in cui sarà premiato Carlo Verdone. Salvo il rispetto e l’ammirazione per l’opera di Verdone, vorrei tornare a sottolineare come Fausto Brizzi (vincitore della prima edizione del premio Monicelli, ndr),Riccardo Scamarcio, Giovanni Veronesi (vincitore della seconda edizione, ndr) e Carlo Verdone non rappresentino se non in piccola parte, il pensiero e soprattutto il cinema di Mario, sempre al confine tra commedia umana, società e politica sofferta”. Al fatto.it la Rapaccini racconta: “Da Grosseto sono tre anni che mi chiedono suggerimentida dare al direttore della manifestazione Mario Sesti. E pur premettendo con non ho nessun diritto legale in merito, ogni mia idea rimane sempre inascoltata“. Il punto, dice la compagna di trent’anni di Monicelli, è che “Mario non era un autore di commedie tout court. I suoi film avevano untaglio politico-filosofico su quello che accadeva storicamente in Italia, su quello che succedeva politicamente contro il potere costituito, nello scontro tra classi lavoratrici e classi dirigenti. Si pensi, tra i tanti titoli, a La Grande Guerra o a Un Borghese piccolo piccolo“. E un’idea Chiara Rapaccini ce l’ha: “Io rispetto tantissimo i soliti noti a cui hanno assegnato il premio l’anno scorso e quest’anno, sono dei grandissimi professionisti, ma avevo chiesto dicambiare direzione. Di premiare giovani talenti locali oppure un autore come Pif che con La mafia uccide solo d’estate ha vinto premi importanti in Europa grazie a un film sulla mafia”. Ma ciò che ha fatto arrabbiare la Rapaccini è soprattutto la dimensione forzatamente nazionalpopolare: “Ci rendiamo conto che gli organizzatori parlano di red carpet? Ma se fra un po’ colorano di verde perfino la passerella di Venezia e Cannes! Mario non avrebbe mai apprezzato. In questi festival si vuole fare audience mostrando cose che comprendono tutti, quando si può avere successo anche con qualcosa di diverso dal normale. Continuo a ricordare che Mario da anziano ha girato documentari sul G8 a Genova, inPalestina sotto le bombe, tra i terremotati de L’Aquiladormendo all’addiaccio tanto che pensavamo che tirasse le cuoia. Era uno spirito rivoluzionario e combattivo, fino alla fine. Pensate che mi redarguì perfino quando vinse Obama. ‘Non farà quello che promette’, disse dopo la sua elezione. Lo mandai a quel paese”. Mario Sesti replica spiegando di non aver ricevuto le segnalazioni della vedova Monicelli: “Se le riserve di Chiara Rapaccini le avessimo conosciute in tempo invece che a mezzo stampa sia io cheLoriano Valentini (presidente della fondazione, ndr) le avremmo volentieri discusse, come facciamo con chiunque. Per risponderle prendo a prestito una dichiarazione di Monicelli degli anni Ottanta: ‘Verdone è un personaggio ormai collaudato. Ha grosse qualità di osservazione, sa cogliere aspetti tipici dell’attore della commedia all’italiana. Se riuscirà a prendere le distanze da un certo romanismo che ne fa l’epigono di Sordi, diventerà certamente un grande. Credo lo possa fare perché è intelligente e preparato culturalmente’. Questo premio nasce dall’idea di costruire un premio per tutti quegli autori che siccome sono diventati grandi con un genere apparentemente minore come la commedia vengono regolarmente sottovalutati dai festival o dalle istituzioni”. Non se la prende troppo Giovanni Veronesi, uno dei “nominati” da parte di Chiara Rapaccini. Anzi. “I premi ti vengono assegnati e non li decidi tu”, spiega a ilfattoquotidiano.it il regista di Manuale d’amore. “Ho sempre dichiarato che Monicelli era una mia fonte d’ispirazione come Fellini – afferma – Lo è stato per altri. Abbiamo poi fatto un cinema un po’ diverso, questo sì, ma chi vince, che so, il premio Moravia mica deve avere le stesse identiche caratteristiche di Moravia. Monicelli e i grandi della commedia all’italiana del Dopoguerra sono venuti su, per loro fortuna, in un contesto di valori e ideali ben diverso dal marasma culturale che ci tocca vivere oggi. Mario, che ho conosciuto, una volta mi disse: ‘Noi siamo una categoria che viene rivalutata quando siamo vecchi e quando ti daranno il premio alla carriera dovrai avere la forza di salire sul palco, prenderlo e poi tirarlo dietro a chi te l’ha consegnato’. Tanto che per mantenere alto il nome del maestro sono disposto a ridare indietro il premio vinto l’anno scorso”.
Post n°12202 pubblicato il 24 Febbraio 2015 da Ladridicinema
La guerra ormai è fatta di immagini. Vere o false non importano. Sono loro che determinano l'esito delle battaglie, come sta accadendo in Ucraina È sempre più difficile comprendere cosa stia accadendo in Ucraina. La posta in gioco è alta. Gli interessi politici e economici altissimi. I filorussi hanno conquistatoDebaltsevo, lanciando nelle ore antecedenti il cessate il fuoco un'offensiva clamorosa. Non si sa ancora quanti uomini dell'esercito ucraino siano sopravvissuti all'attacco. Poroshenko parla dell'80%, ma questa percentuale non è verificabile, dato che non si sa quanti siano realmente i soldati impiegati in quella città. Come scrive il New York Times - raccogliendo le parole di un soldato che vuole rimanere anonimo ma che dice di essere un sergente e di chiamarsi Volodomyr - nella battaglia di Debaltsevo l'esercito ucraino è sempre stato in difficoltà: "Sono mancati molti mezzi, e solo pochi sono arrivati". Il New York Times fa giustamente notare come non si riesca a comprendere perché Poroshenko abbia ordinato ai soldati ucraini di combattere fino alla fine e di rifiutarsi di cedere la città nonostante la sorte di Debaltsevo fosse ormai decisa. Samuel Charap, professore a Washington, si è chiesto: "A cosa diavolo sta pensando Poroshenko?". Come spesso accade in queste cose, non è dato saperlo. Certo è che in Ucraina si sta cercando di far salire il più possibile la tensione. Un esempio: lo scorso dicembre ilsenatore americano James Inhofe ha mostrato una foto di soldati russi nei carriarmati. Bandiere russe e montagne sullo sfondo. Una prova inequivocabile: i russi starebbero realmente combattendo in Ucraina. Sarebbe stata, questa, la prova regina contro Putin. La prova che avrebbe permesso l'intervento Nato. Ma la foto portata dal senatore americano ha un "piccolo" problema: è stata scattata in Georgia. Nel 2008. Nel frattempo, l'Unione europea ha promesso che invierà blindati e fornirà immagini satellitari per monitorare il cessate il fuoco in Ucraina.
|
Inviato da: Mr.Loto
il 28/03/2022 alle 11:57
Inviato da: Mr.Loto
il 15/10/2020 alle 16:34
Inviato da: RavvedutiIn2
il 13/11/2019 alle 16:33
Inviato da: surfinia60
il 11/07/2019 alle 16:27
Inviato da: Enrico Giammarco
il 02/04/2019 alle 14:45