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Messaggi del 12/12/2017

 

Il premio

Post n°14155 pubblicato il 12 Dicembre 2017 da Ladridicinema
 

Alla seconda regia di un film Alessandro Gassman decide di affrontare quello che è stato uno dei temi principali della sua esistenza, ovvero il rapporto con un padre ingombrante il cui talento e la cui notorietà crearono non pochi problemi ai figli. Lo fa attraverso una commedia semplice e divertente, affrontando anche il tema di come un artista spesso e volentieri lasci indietro anche gli affetti, per stare al centro di tutto. Quindi c'è la famiglia che si sposta di città in città, di citazione in citazione, per ricucire i rapporti e per ritrovare se stessi. Vedere Proietti in un personaggio vero e che riempie tutto l'arco narrativo con il suo carisma, sempre giusto nei toni, diretto e senza pietà verso gli altri ma anche verso se stesso, vale tutto il film

 
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Assassinio sull'Orient Express stravince il weekend e insegue Cars 3

Post n°14154 pubblicato il 12 Dicembre 2017 da Ladridicinema
 

Assassinio sull'Orient Express (guarda la video recensione) stravince il weekend, chiudendo con una domenica da poco meno di 800mila euro ed un totale stagionale di 7,6 milioni di euro, cifra che lo porta al sesto posto assoluto e a soli 300mila euro da Cars 3 (guarda la video recensione), che dovrebbe essere superato senza difficoltà entro la fine di questa settimana.
Poco da sorridere invece per tutti gli altri film, che chiudono un weekend sottotono. Nessuno è riuscito a raccogliere almeno 1 milione di euro, non solo nel weekend, ma nemmeno allargando lo spettro temporale alla intera settimana.
I migliori italiani sono stati Smetto quando voglio - Ad honorem (guarda la video recensione), e Il premio, con quest'ultimo che ha portato a casa 723mila euro, mentre abbastanza bene è andato l'animato Gli eroi del Natale, premiato con più di 800mila euro. Durante la settimana c'è stato il buon exploit di Vasco Modena Park - Il film, che ha incassato oltre 500mila euro (la cifra è stata raggiunta con appena 37mila spettatori, la metà degli altri film che hanno chiuso con lo stesso incasso). 
Male Suburbicon (guarda la video recensione), Seven SistersBad Moms 2- Mamme molto più cattive, tutti finiti attorno al mezzo milione di euro.
Questa settimana inizia la vera "sessione natalizia", che l'anno scorso portò nelle casse degli esercenti 70 milioni di euro e, assieme a quella di gennaio e Pasqua, è la più ricca dell'anno. Si comincia il 13 con la coppia Star Wars: Episodio VIII - Gli ultimi Jedi e La ruota delle meraviglie di Woody Allen
In Italia Allen ha sempre il suo seguito, mentre il 14 ci sono i tre cinepanettoni nostrani: Natale da chef di Neri Parenti con BoldiPoveri ma Ricchissimi di Brizzi con De Sica e Super Vacanze di Natale, il "collage" dei vecchi cinepanettoni di Paolo Ruffini. A loro il compito di superare l'incasso di The Place, miglior film italiano di stagione con 4,2 milioni di euro. 

 
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IL PREMIO, ALESSANDRO GASSMANN: “È MIO DOVERE RICORDARE MIO PADRE” da movieplayer

Post n°14153 pubblicato il 12 Dicembre 2017 da Ladridicinema
 

08 dicembre 2017 Video-intervista ad Alessandro Gassmann e Anna Foglietta, regista e protagonista de Il premio, un film che l'attore romano considera un regalo al padre Vittorio. Dal 6 dicembre al cinema.

Per il suo terzo film da regista Alessandro Gassmann ha optato per una commedia, un genere in cui si era cimentato finora soltanto da attore. Come mai questa scelta? "La vita è una commedia perché porta al suo interno risate e malinconia, gioie e dolori. Le commedie che amo di più sono proprio quelle in cui riconosco una ricerca di verità". E ne sottolinea i tratti autobiografici: "Questo film mi ha consentito di intraprendere il viaggio che avevo sempre sognato di fare. Molti umori e tanti rapporti interpersonali si rifanno a passaggi della mia infanzia e della mia gioventù".

Leggi anche: Alessandro Gassmann si racconta al Bifest: in memoria del grande Vittorio, con tanta voglia di indipendenza

Il premio: Alessandro Gassman in una scena del film

Ma quanto c'è di vero nel film Il premio"Ci sono molte cose che mi riguardano, tanti viaggi", ci racconta Gassmann: "Mio padre guidava molto male ma aveva delle auto potenti, per questo mi offrivo sempre di guidare al posto suo. I nostri viaggi erano caratterizzati da silenzi pieni di parole. Nel privato mio padre parlava poco, soprattutto quando lo stato etilico rasentava lo zero. Ma come tutti i geni diceva delle verità in maniera molto netta. Queste sono le maggiori similitudini tra il film e la realtà".

Leggi anche: Il premio: Gassmann promette ma non mantiene

Il padre dei sogni
Il premio: Anna Foglietta in una scena del film

A chi gli chiede se era arrivato il momento di chiudere i conti artistici con il padre, Gassmann risponde"Non credo, mi auguro che non accada mai. Gli artisti come lui fanno parte della formazione culturale di questo Paese. E' mio dovere ricordarlo e lo faccio volentieri". Quanto ad Anna Foglietta, lei è orgogliosa di essere stata la figlia di Gigi Proietti anche solo per qualche mese: "Forse il mio padre biologico sarà geloso ma io avrei pagato per avere un padre come Proietti. Lo ammiro da sempre. Che onore".

 
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Pasolini, un delitto politico da il corriere della sera

Post n°14152 pubblicato il 12 Dicembre 2017 da Ladridicinema
 

L’uccisione dell’intellettuale, scomodo per ciò che scriveva e faceva, 
fu un crimine capace di suscitare polemiche radicali e violente

Un’illustrazione di Davide Toffolo da «Pasolini» (Rizzoli Lizard)Un’illustrazione di Davide Toffolo da «Pasolini» (Rizzoli Lizard)
shadow

Tre cose. La prima. Finché è vissuto, Pier Paolo Pasolini è stato un intellettuale che con la sua vita e le sue opere ha litigato e fatto litigare molto (come del resto accade sempre quando si incontrano originalità, creatività e genio). La stessa cosa accade anche dopo la sua morte, e non soltanto in relazione alle sue opere.

Nella nostra storia recente ci sono pochi eventi drammatici di taglio criminale che riescano a suscitare polemiche così radicali e violente come il massacro che lo ha visto vittima in quel campetto da calcio all’Idroscalo di Ostia. Tra quelli pubblici forse soltanto la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 possiede una carica virale paragonabile, e tra quelli privati, probabilmente, la morte del piccolo Samuele Franzoni. Anche soltanto riparlare di quello che accadde in quel campetto da calcio la notte tra l’1 e il 2 novembre 1975 — e delle ore che lo precedettero — comporta l’accusa di essere dietrologo e complottista, approfittatore (fare giallo sulla morte di un poeta), omofobo (se non si accetta che sia stato ucciso da un ragazzino rimorchiato alla stazione è perché non si vuole accettare neppure la sua omosessualità), o addirittura di ucciderlo una seconda volta (l’interesse morboso per il giallo della sua morte distrae dalla sua opera).

 

 

In ogni caso, qualcosa di inutile, discutibile e inopportuno, se non ridicolo. In molti casi è vero. Succede spesso, in Italia: costruiamo complotti secolari orditi da Grandi Vecchi e ci lasciamo trascinare dalle vicende di sangue in una morbosa serialità di talk show e libri rivelazione. Ed è successo, sicuramente, parecchie volte anche con la morte di P.P.P. Però, se dietrologia e complottismo sono una malattia, non è che ce le siamo inventate come fanno gli ipocondriaci. Qualcuno ce le ha fatte venire, perché magari non un Grande, ma qualche Piccolo Vecchio in tutti questi anni lo abbiamo incontrato, qualche incrocio di interessi dietro piombo e bombe lo abbiamo scoperto, ed è successo che qualcuno sia stato ammazzato per quello che sapeva o stava facendo. O anche solamente per quello che era. Soprattutto riguardo ad anni meravigliosi ma altrettanto violenti come quelli Settanta e Ottanta, in cui era facilissimo morire così.

In qualunque direzione vadano, i ragionamenti sulla morte di Pasolini aprono comunque un dibattito feroce che va oltre chi lo abbia ammazzato, come e perché, e finisce per investire la sua figura nella cultura italiana e il modo che ha quella cultura di analizzare e interpretare il nostro recente passato. Evidenziandone soprattutto i limiti. La seconda cosa. Sulla morte di P.P.P. esiste, praticamente da subito, una verità giudiziaria. Sono pochi ad averne una di quelli che impropriamente chiamiamo Misteri Italiani (e che dovremmo invece definire Segreti: la spiegazione di come sono andate le cose non sta in qualche luogo oscuro che sfugge alla ragione, ma chiusa in un cassetto, di solito in triplice copia). Cosa che automaticamente escluderebbe quella notte all’Idroscalo dal numero dei suddetti.

Secondo quella verità il poeta Pier Paolo Pasolini è stato ucciso da un ragazzino di vita di nome Pino Pelosi, detto Pino la Rana, rimorchiato a piazza dei Cinquecento, che ha reagito a quello che P.P.P. gli voleva fare, lo ha massacrato di botte e poi gli è passato sopra con la macchina, senza accorgersene, mentre scappava. Da solo. In casi come questo, e soprattutto nei cosiddetti Misteri, la verità giudiziaria è la base da cui partire, tenendo conto, però, che una verità assoluta, senza aggettivi, in natura non esiste. C’è quella giudiziaria, scritta nelle sentenze di Cassazione, che oltre a mandare o no in galera qualcuno ti permette comunque di dire una cosa senza essere querelato, ma che potrebbe anche non coincidere con quella del buon senso, basata sul fatto che due più due di solito fa quattro, o con quella della storia, formatasi a distanza di tempo su diversi tipi di fonti, o con quella della politica, che, come ripete un personaggio di Cadaveri eccellenti di Francesco Rosi, «non sempre è rivoluzionaria», e quindi potrebbe non combaciare né con la prima, né con la seconda e neppure con la terza.

Perché come spesso accade nei nostri Misteri/Segreti — anche in quelli che un colpevole non ce l’hanno — sono tante le cose che sappiamo con una ragionevole certezza, pure in quelli che sembrano più misteriosi. Nel nostro caso sappiamo che chi ha ammazzato P.P.P. non era solo. Va contro tutti i precetti e le regole di ogni scienza forense che a compiere quel massacro sia stato un ragazzetto come Pino la Rana, praticamente a mani nude, e uscito quasi immacolato dallo scontro. Lo aveva fatto notare anche la sentenza di primo grado, poi riformata dalle successive due e trasformata così in verità giudiziaria. Sappiamo che quasi sicuramente P.P.P. e Pino La Rana si conoscevano da prima che si incontrassero quella notte, e sappiamo che molto probabilmente Pasolini era andato a piazza dei Cinquecento perché aveva un appuntamento. E sappiamo anche che P.P.P. era un intellettuale scomodo, per quello che scriveva, per quello che faceva e anche per quello che era. E che allora era già abbastanza per essere ammazzato. Basta per dubitare della verità giudiziaria e per legittimare ragionamenti di ogni tipo sulla sua morte?

Per coordinare «fatti anche lontani», mettere «insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico», ristabilire «la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero», come scriveva lui stesso? Terza e ultima cosa. Visto da questo punto di vista, l’omicidio di Pier Paolo Pasolini è un delitto politicoComunque, sia che lo abbiano ammazzato per dare una lezione a un frocio comunista, sia che lo abbiano tolto di mezzo per quello che stava facendo o per dare un segnale a qualcuno. Non è un evento privato che appartiene alla famiglia, un passaggio esistenziale di un percorso letterario da discutere tra critici, e neanche un fatto giudiziario da lasciare a magistrati e investigatori. È un fatto politico, come l’omicidio di Fausto e Iaio, Piazza Fontana, la morte di Pinelli o l’assassinio di Aldo Moro, le due ragazze del Circeo, lo stupro di Franca Rame, il suicidio di Roberto Calvi: mi fermo qui perché potrei andare avanti all’infinito, mescolando terrorismo, mafia, malapolitica e malaeconomia. Un delitto politico. Ecco, secondo me, è proprio di questo che parliamo quando ragioniamo ancora una volta sulla morte di Pier Paolo Pasolini.

 
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