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La Cappella del Sacro Cingolo

Post n°32 pubblicato il 05 Aprile 2013 da fotomagazine

  

 

 

Duomo di Prato, all'interno troviamo la Cappella del Sacro Cingolo (o Sacra Cintola).

 

 

 

 

Reliquia della Sacra Cintola della Madonna

 

Lunga 87 centimetri, la Cintola è una sottile striscia di lana finissima di capra, di colore verdolino, broccata in filo d’oro, con gli estremi nascosti da una nappa su un lato e da una piegatura sul lato opposto.

Si narra....

che sia appartenuta alla Vergine, la quale la diede a San Tommaso a riprova della propria Assunzione in Cielo.
Il racconto prosegue riferendo che San Tommaso lasciò la Cintola a un sacerdote perché fosse venerata in una chiesa da costruire in onore della Madonna. Per timore dei Giudei, però, la chiesa non fu mai costruita e per secoli la reliquia fu tramandata dai discendenti del sacerdote.

Chi portò la Sacra Cintola a Prato sembra sia stato un certo Michele Dagomari, un mercante e pellegrino pratese, chiamato anche Michele da Prato, che, trovandosi a Gerusalemme al seguito della Prima Crociata(1096-1099 d.C.). Innamoratosi di una ragazza del posto, di nome Maria, figlia di un sacerdote di rito orientale, quando Michele decise di sposarla, dalla madre della sposa ricevette in dote la Sacra Cintola.

Rientrato in Italia per nave, Michele giunse in città intorno al 1141 e custodì nella propria casa il prezioso dono ricevuto, senza farne parola con nessuno. Soltanto in punto di morte, intorno al 1171-1173, la donò al preposto Uberto (o Ruperto) Pieve di Santo Stefano, svelandogliene l’origine e dando così vita alla leggenda che ancora oggi la circonda.

Intanto, dopo che si verificarono numerosi prodigi, la Cintola divenne oggetto di culto e mèta di pellegrinaggi, cosicché i pratesi la accolsero come la “vera cintura della Vergine Maria”, sulla quale si è poi formato il culto e la fede della città.

 

Il furto di Musciattino

La leggenda narra che nella notte del 28 luglio 1312, Giovanni di Ser Landetto da Pistoia, chierico secolare, detto Musciattino, cercò di impadronirsi della reliquia della Sacra Cintola per portarla nella propria città, da sempre rivale dei pratesi.

Assoldato dai pistoiesi (ma una differente versione lo vuole sì pistoiese ma al soldo dei fiorentini), gelosi della fama raggiunta dai “cugini” pratesi, tentò un’impresa clamorosa: rubare una delle reliquie più venerate di tutta la Toscana e simbolo, al tempo stesso, della rivale città di Prato. Ma, a causa del buio, si racconta che non sia riuscito ad allontanarsi da Prato e abbia continuato a girare tutta la notte intorno alle mura della città.

Convinto di essere giunto alle porte di Pistoia, Musciattino gridò ai suoi concittadini Aprite Pistoiesi, ecco la Cintola de’ Pratesi!”

Fu buon gioco dei canonici del Capitolo catturarlo e, dopo che fu legato alla coda di un asino, condurlo sul Bisenzio, dove subì un processo sommario. A nulla valse la confessione del furto e la restituzione della cintola e così Musciattino fu condannato al taglio delle mani e quindi bruciato. Si racconta anche che la folla inferocita abbia scagliato la mano sacrilega di Musciattino sullo stipite di una porta laterale dei Duomo, dov’è rimasta l’impronta della mano del ladro pistoiese, a futuro monito per i malintenzionati.

Considerata come il più famoso tentativo di furto che la città ricordi, la vicenda è rimasta viva nei secoli e tuttora è oggetto dei continui sberleffi fra pratesi e pistoiesi, in una commistione di sacro e di profano, di storia e di leggenda, di sano campanilismo che da secoli contraddistingue le città toscane.

 
 
 
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Data di creazione: 10/12/2012
 

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