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discorso del papa: una risposta completa!

Post n°357 pubblicato il 17 Settembre 2006 da kudablog
 

una persona molto informata dei fatti,e che vive in germania, mi ha così risposta alla mia domanda su cosa abbia fatto arrabbiare tanto i mussulmani della lezione del papa in germania.

Caro Roberto,

Nel suo discorso all’Università di Regensburg Martedì, 12 settembre 2006,il Papa ha detto: "Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperatore tocca il tema della jihād, della guerra santa" (tutto il discorso su www.vatican.va )

La traduzione di "Jihad" non è guerra santa, concetto estraneo al Corano, bensí "Sforzo". La "jiahd-fi-sabili-llah" é lo sforzo sulla via di Allah. Il Profeta Mohammed distinse la grande jiahd, lo sforzo del credente che cerca di superare e vincere la propria natura inferiore (nel cattolicesimo: il peccato) e la piccola jiahd, lo sforzo dei credenti quando la comunitá dei mussulmani é aggredita. In questo secondo caso, il Corano recita: "Combattete per la causa di Allah coloro che vi combattono, ma senza eccessi, ché Allah non ama coloro che eccedono" (Cor. II,190).

Il Profeta vietó ai mussulmani di uccidere i vecchi, i bambini, le donne e i neonati. Vietó di utilizzare il fuoco come arma contro le genti, vietó il taglio degli alberi e l'inquinamento delle acque.

Il Papa continua: "Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È una delle sure del periodo iniziale, dicono gli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa."

La citazione corretta é: "Nessuna costrizione nella religione" (cfr. www.sufi.it ). L'insinuazione fatta, cioé che la sura sia stata opportunisticamente scritta in un momento sfavorevole al Profeta e poi corretta successivamente é errata. Anche se nel Corano esistono sure "abrogate" e sure "abroganti", non é qui il caso. “Nessuna costrizione nella religione” vale sempre. La citazione continua: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava". Affermazione assolutamente falsa! Il Profeta, perseguitato alla Mecca dai membri della sua stessa tribú, i Curaisci, si ritiró in esilio nell'oasi di Yatri, oggi Medina, circa trecento km a nord. I Curaisci organizzarono piú spedizioni con l'intento di ucciderlo senza riuscire nel loro intento.

Continua il testo: "L'imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non agire secondo ragione, „σὺν λόγω”, è contrario alla natura di Dio."

E CHI HA MAI AFFERMATO IL CONTRARIO?

Ora tutta l'argomentazione continua COME SE il Corano o l'Islam avessero fatto le affermazioni che l'imperatore imputa loro SENZA CHE VI SIA PER QUESTO IL MINIMO FONDAMENTO, anzi... Oltre a ció, nella citazione non vi è per la parte islamica possibilitá di replica, quindi l’unica affermazione che rimane nell’aria è : l’Islam è violento!

Dulcis in fundo, la perla di tutto il teorema: "L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. L'editore, Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza."

Che il non agire secondo la ragione sia contrario alla natura di Dio non fa una grinza nemmeno nella teologia islamica, e l'affermazione che Dio é assolutamente trascendente non é in contraddizione con quanto sopra poiché stiamo parlando di due categorie diverse: 1 l'agire secondo ragione; 2 la trascendenza di Dio.

Il sunto é dunque questo: partiti da citazioni sbagliate e male interpretate si vuole addebitare all'islam una colpa che non ha commesso, e poiché reo di questa colpa non commessa e senza possibilitá di replica, anche l'affermazione di assoluta trascendenza di Dio é sbagliata.

Il Papa si dilunga poi sulla relazione tra pensiero cattolico e pensiero greco, tema caro anche a san Paolo, e come san Paolo dichiara una continuitá o un "avvicinamento tra la fede biblica e l'interrogarsi greco".

Liberissimo di farlo.

L'Islam dichiara invece l'unicitá del comando divino attraverso i Profeti (Mosé, Noé, Abramo, Gesú, Mohammed...) e la rivelazione attraverso i Libri Sacri (Antico e Nuovo Testamento, Corano).

Il teorema che quindi nemmeno a me è piaciuto si riassume cosí:

1; "Corano e Profeta inneggiano alla violenza in nome della fede" (falso!)

2; "La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima". Se chiudiamo gli occhi di fronte al Vecchio Testamento-Numeri, Deuteremonio, Giosué, Giudici, Samuele, I re, Cronache,….. allora è vero. Ma la veritá storica della rivelazione è un’altra. Ora, OGGI, è nostro dovere schierarci dalla parte del dialogo e della pace e per fare questo dobbiamo partire da presupposti onesti. Voler vedere il male da una sola parte non aiuta nessuno, tantopiú se le accuse rivendicate sono fondate su notizie approssimative o false.

3; Nella civiltá greco-cristiana l’affermazione: "non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio" è evidente (???)  Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente ( COSA C’ENTRA?????)

Ripeto. Possiamo volentieri confrontarci su tutto: la storia, la teologia, la semantica,… ma tutto deve partire da presupposti VERI e da conoscenza della materia. Per un raffinato studioso quale è Benedetto XVI, grossolanitá del genere non sono giustificabili.

Benvengano quindi le scuse e le corretture.

Speriamo servano a tornare all’ordine del giorno.

Shalom, Pax Vobiscum, Assalamaleikum

Stefano

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 18/09/06 alle 16:28 via WEB
se qualcuno tirasse fuori non un Manuele Paleologo qualunque – un imperatore assai dotto, d’accordo, ma poco noto al grande pubblico – e riprendesse di bel bello la Summa contra gentiles di San Tommaso d’Aquino, libro primo capitolo sesto, là dove si legge che Maometto lusingò e istigò la concupiscenza della carne per essere obbedito non da uomini saggi ma da uomini bestiali, intorbidò la verità con molte favole e falsissime dottrine, e si disse mandato da Dio in armorum potentia, che ben lungi dall’essere un segno della divina ispirazione, è contrassegno pure di ladroni e tiranni? Il contesto, peraltro, si presta. Tommaso sta spiegando che altra è la via che segue il cristiano: non la violenza delle armi, e nemmeno quella delle promesse carnali. Il fatto è che le verità della fede cristiana eccedono la ragione, ma non sono mica contrarie ad esse, sicché non solo uomini semplici ma anche una turba innumerevole di uomini sapientissimi convolavit a nozze con la fede. Con Maometto, invece, solo predoni del deserto. Ora, nel discorso pronunciato dalla cattedra dell’università di Regensburg, che tante reazioni sta suscitando nel mondo, Benedetto XVI voleva dire due cose: che “la violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell’anima” e che “agire contro la ragione [è] in contraddizione con la natura di Dio”. Puro Tommaso, come si vede. E come Tommaso, il Papa si è limitato a scegliere Maometto ad esempio di quel rapporto tra religione e violenza che non è compatibile con la natura di Dio. Certo, il New York Times ha ragione di allarmarsi, poiché anche la scelta di esempi e citazioni non andrebbe fatta a cuor leggero. Ma poiché nell’omelia domenicale il Pontefice ha chiarito che la citazione e l’esempio non impegnano il suo pensiero, consideriamo la prima cosa depurata dall’offesa all’Islam (benché certi musulmani non concedano analoga considerazione e facciano di tutto per dimostrare che Ratzinger non ha tutti i torti) e guardiamo più a fondo la seconda cosa detta dal Papa, che chiama in causa ancora una volta l’identità dell’Occidente. Il Papa dice: il Dio dei cristiani è il Dio Logos, il Verbo eterno, il Dio che è Ragione e Parola. Non solo nei discorsi tedeschi, ma in tutto il pontificato (e prima ancora) la maggiore preoccupazione di Ratzinger è stata ed è quella di contrastare la deriva relativistica dell’Occidente, recuperando alla ragione quel bagaglio metafisico-teologico da cui essa ha preteso invece di affrancarsi, in un processo di progressiva secolarizzazione e laicizzazione. A Regensburg, Ratzinger ha perciò detto: la scienza – che è come dire la razionalità moderna, tecnica ed economica, formale e strumentale – crede di poter rendere superfluo Dio nella spiegazione del mondo, “ma ogniqualvolta poteva sembrare che ci si fosse quasi riusciti – sempre di nuovo appariva evidente: i conti non tornano!”. Se reintroduciamo Dio, pare dunque pensare il Papa, i conti tornano fino all’ultima cifra decimale. Il fatto è che non solo i conti non tornano affatto, e che non basta volere che tornino perché tornino effettivamente, ma la filosofia ha da tempo gettato il sospetto sulla stessa volontà di farli tornare. E non solo la filosofia lo ha fatto, ma anche la letteratura, e la stessa teologia (come si dice: dopo Auschwitz – ma anche prima). Un Dio che faccia tornare i conti, una ragione in cui si compongano senza dissidi tutte le dimensioni dell’umano, una storia i cui slogati frammenti si accordino in un senso complessivo: queste ed altre cose la cultura filosofica e teologica se l’è lasciate alle spalle. Può spiacere, ma è così. E non è riproponendole con maggiore forza che si procura loro maggior fondamento. L’inculturazione greca della fede cristiana, il tomismo e l’ analogia entis, la ragionevolezza della religione e l’autorevolezza della tradizione: lungi da me l’idea che sia tutto da buttare. Ma finché il Papa avrà occhi solo per il modo in cui il cristianesimo può difendere il suo passato, e non invece per il modo in cui già in passato ha saputo pensare al futuro, difenderà appunto un’identità passata e non metterà una pietra per costruire quella futura. E invece di trovare un punto di mediazione, si troverà (giustamente) preso tra due fuochi: dalla cultura laica per il segno restauratore delle sue battaglie; da quella religiosa, cristiana e non, per l’apologetica affidata ad una ragione che non c’è più. Facciamo allora anche noi un esempio. 1453. L’Impero bizantino (quello che era stato anche di Manuele Paleologo) cade per mano dei turchi. Cade Costantinopoli, cade la seconda Roma. Maometto II entra in città, e la città viene messa a ferro e fuoco. È una strage di cristiani. Muoiono decine di migliaia di persone, le chiese vengono saccheggiate, le donne violate. E mentre in Occidente c’è chi vorrebbe allestire una nuova crociata, in mancanza del Palazzo di Vetro si riuniscono in cielo, per tentare una mediazione, i rappresentanti di tute le religioni. C’è anche san Paolo, che accompagna Gesù. Il quale san Paolo, che a giudicare dalle lettere non doveva avere il più mansueto dei caratteri ma che per l’occasione sfoggia un confacente spirito ecumenico (si capisce: è giudeo, di abiti romani e di fede cristiana), a un certo punto dice: “La salvezza dell’anima avviene per fede […]. Una volta riconosciuto ciò, la varietà dei riti non turberà più nessuno. I riti possono cambiare, la verità resta immutabile”. Un’utopia, il De pace fidei di Niccolò da Cusa, ma un’utopia cristiana, concepita da un cardinale profondo e visionario, mentre il vecchio mondo andava in frantumi e nuovi mondi cominciavano a disegnarsi: c’erano i Turchi alle porte, ma di lì a poco anche Colombo oltre le colonne d’Ercole, Lutero dinanzi al portale della chiesa di Wittenberg e Copernico lungo nuove rotte planetarie. Considerando i dogmi della fede congetture, approssimazioni alla realtà infinita di Dio, Cusano non abdicava semplicemente alla verità, non si rassegnava al relativismo, ma lo sfidava: non abbassando la verità a misura dell’uomo, ma ponendo più in alto di essa il mistero, e riconoscendo al cristiano (e solo a lui!) la capacità di essere nella verità a distanza dalla verità piuttosto che nel trionfante possesso di essa. Purtroppo Ratzinger ha scelto un’altra via. E invece di pensare l’incontro tra le fedi e le religioni nella forma aperta che Cusano inventò mentre il mondo medievale cedeva, preferisce rinchiudersi nella critica della forma filosofica del nostro tempo, cercando così non di conciliarsi con lo spirito critico della modernità, ma di incontrarsi con l’Islam nella critica alla modernità. Figuriamoci. ■ Massimo Adinolfi
 
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