Creato da viandantesilente il 04/12/2010
Le cose che il bambino ama rimangono nel regno del cuore fino alla vecchiaia.La cosa più bella della vita è che la nostra anima rimanga ad aleggiare nei luoghi dove una volta giocavamo. K.Gibran
 

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La verità di Irma

Post n°1 pubblicato il 04 Dicembre 2010 da viandantesilente

 

Ci sono fatti nella vita che segnano e sconvolgono un’esistenza,ma sono fatti che se si ha la forza di affrontarli e di resisterci si rivolteranno sempre contro il male che li ha generati. Certo le conseguenze che lasceranno segneranno per sempre la persona che li ha subiti ed affrontati, ma saranno sempre la possibile testimonianza della supremazia del bene sul male.

***

Irma era una ragazzina vispa e minuta. Era nata in un quartiere povero di  una città del sud,ma la sua vivacità era straordinaria,come l’amore per la vita,la gente ed il movimento. Non  ricordava niente dei suoi primi 4 anni ,ma dal quinto anno,  i vissuti erano molto più chiari. Erano la storia giornaliera di una bambina piena di fantasia, di spirito, di creatività senza fine,che la sera andava a dormire con l’attesa del giorno seguente per potere riprendere a correre per gli spazi  ampi del grande condominio dove abitava e con gli amici e le amiche che si era fatti e quel gioco infinito del “piedino” con i numeri da 1 a 10 gessati sui marciapiedi che erano la sua forza imbattibile.

Era un piccolo capitano amato per la trasparenza e la creatività che dimostrava giorno dopo giorno nel creare nuovi giochi ,nel sapere mediare tra gli stessi ragazzi per evitare le zuffe ,e per la gioia immensa che sentiva e donava nel vedere sempre sorridenti i volti di tutti.

Nell’ora del riposo, vietata allo scorrere tra i piazzali, i giochi si trasferivano silenziosi nelle scale oppure, in primavera, diventavano canti dai singoli balconi, con lei che sempre dava l’incipit.

La chiamavano …”Lo sai che i papaveri”…la sua canzone preferita e che tanto si adattava alla sua figura fisica,minuta ma vitale ed inesauribile. Il portiere del grande condominio tentennava sempre il capo ,demoralizzato, quando il canto dei piccoli, si espandeva nel primo pomeriggio da tutti i balconi, ma lui per primo poi diceva sempre che quella “picciridda” era   unica.

Lei viveva senza tempo quei giorni, era il suo mondo. I suoi nonni la sua gioia,sua madre il suo grande amore,ma anche la paura per le marachelle che giornalmente combinava mentre lei era al lavoro, ed anche, la paura dei rimproveri per quel non aver mai tempo lei, per mangiare.

La sua fantasia poi si nutriva delle gite in campagna dalla sorella di mamma,con quel suo saper sparire mentre tutti chiacchieravano e quel suo correre a perdifiato, in un angolo del giardino incantato,dove una vecchia casa per gli attrezzi era la dimora delle fate e la grande gebbia sempre piena d’acqua con l’erba verde dentro, che lei aggirava continuamente sul bordo stretto con i riflessi del sole dentro ,un incantesimo infinito capace di farla volare a piedi nudi… oltre …molto oltre….

E poi d’estate c’era il nonno che la portava ogni sera all’arena che confinava con il condominio, e con lei dietro, sempre, un codazzo di amici. Lì scopriva un mondo diverso, che la colpiva e la faceva riflettere sempre ,facendole intuire che c’era una vita altra, fuori dalle mura sicure delle quattro grandi palazzine dove aveva sempre vissuto nel suo ricordo, ma un mondo dove lei sentiva presente qualcosa a lei ancora sconosciuto e che la turbava per quel non saperlo definire bene.

Ma erano anni felici,anni che per sempre, avrebbero messo un punto fermo e preciso nella sua vita.

Improvvisamente una persona nuova entrò nei suoi giorni. Non  ne ricordava l’arrivo,ma la sua venuta era collegata ai quaderni, ai compiti, ai rimproveri di sua madre, e ad un cambiamento di gesti e movimenti dei nonni che sparivano e della mamma che aumentava i suoi rimproveri durante la presenza di quest’uomo nella loro bellissima piccola casa.

Non ricordava molto di quelle serate, tranne una malinconia che la prendeva, mentre mettendosi, da sola, il pigiama,si sentiva un essere cattivo ed  inutile, quasi sbagliato,incapace di sapere fare bene le cose più semplici.

Poi il vuoto, il buio per un periodo  impreciso.

Aveva solo la visione di sua madre e di lei stessa in una casa diversa ,sempre serale, e con mamma che lavava e stendeva i panni da una finestra, niente altro!.

Erano spariti i nonni ,era sparita la casa dei nonni, erano spariti tutti i suoi amici, era sparita l’arena,ogni tanto ancora tornavano le gite in campagna dalla zia.Ma lei era diversa,non girava più sul bordo della  gebbia, non cullava più fantasie meravigliose, raccoglieva invece fichidindia a dispetto delle spine e le portava poi a casa dove altri le dicevano brava ,mentre li mangiavano.

Era cambiata, il suo mondo non esisteva più. Era diventato  solo un ricordo molto amaro perché perso e per quel silenzio che ormai caratterizzavatitti  i suoi giorni.  

 

 

 
 
 

La casa delle sette stanze

Post n°2 pubblicato il 09 Dicembre 2010 da viandantesilente

 

 

Era cambiata, il suo mondo non esisteva più. Era diventato  solo un ricordo molto amaro perché perso. Sentiva come se il grigio dell’inverno ricoprisse ogni suo pensiero,il silenzio, il suo grande compagno in casa, a scuola, il movimento, l’unico modo per scaricarsi,malgrado i continui rimproveri delle suore.

Improvvisamente un cambio ancora di vita. Ritornò per un po’ dai nonni,e non vide per qualche settimana la mamma e quello che le era stato detto essere suo padre. I suoi amici la chiamavano, ma lei non scendeva ,si vergognava, quasi li avesse traditi andandosene,e non voleva raccontare niente della sua attuale vita,perché tutto ancora era come su un filo teso in aria, difficile per camminarci sopra con un minimo di sicurezza.

Passava molto tempo al balcone della cucina, da dove rivedendo la piccola salumeria “Orlando” vicino alla sua palazzina all’interno dei condomini, risfogliava i mille viaggi giornalieri fatti in quegli anni per comprare caramelle, cioccolatini ,palloncini, fili, gessetti, corde per saltare, e palloni per sfidare a calcio i maschietti, per non parlare delle palettine  per scavare la terra e piantarci i semi per i fiori.

Come si era sporcata con la terra tante volte, ma era così bello impastarsi,quasi terra lei stessa, provava continuamente una gioia grande e non le importava nulla degli immancabili rimproveri della nonna,al rientro con tutte le macchie addosso ai vestiti.

Non comprendeva come tutto adesso,le sembrasse così lontano, ma capiva di non dovere chiedere nulla ai nonni,che cercavano di riempirla di carezze. Il nonno, ogni mattina, la accompagnava a scuola e poi la veniva a riprendere e con lui era bello andare avanti ed indietro a piedi,quante storie le raccontava.

A volte di nascosto dalla nonna l’aveva portato nella sua bottega di fabbro ferraio e vedergli trasformare quelle aste di ferro in magnifici disegni la riempiva di profonda meraviglia .Cominciò così nei pomeriggi a disegnare, partendo proprio dalle idee che diventavano forme reali nelle mani del nonno.

Poi tutto cambiò ancora e questa volta definitivamente. Adesso la casa era molto grande, due lunghi corridoi, una grande terrazza,ma erano aumentate le persone che vi vivevano. Suo padre aveva portato ad abitare con loro, i suoi genitori anziani e tre sue zie signorine tutte grandi. Due non lavoravano,la terza, diciamo la più giovane, faceva la maestra.

Ebbe un piccolo camerino rettangolare come stanza, ci trovò un armadio grande a muro dinanzi alla porta a cui seguiva il suo lettino vicino alla finestra. Sul letto ritrovò la sua unica grande bambola col vestito celeste, i grandi occhi chiari ed i capelli pettinabili biondi. Per studiare, nell'ingresso, grande quanto una stanza di forma rettangolare, fu posta per lei,una vecchia scrivania vicino alla finestra che dava all'interno del palazzo, con la stessa visuale della piccola apertura nella sua stanzetta.Entrò così in quella che per tanti anni sarebbe stata la sua casa.

 

 
 
 

Legacci e carezze

Post n°3 pubblicato il 16 Dicembre 2010 da viandantesilente

 

La cosa che più le faceva paura e le metteva soggezione era il silenzio che tutti tenevano tra di loro nel giorno, fino all’arrivo di suo padre prima e di sua madre poi verso le diciotto e trenta. Intuitivamente comprese subito che il modo per vivere più sicuro per lei, era quello di non parlare se non proprio strettamente indispensabile. Ma tutto era diventato  grigio. Passava ore ed ore ogni pomeriggio, al rientro da scuola, in quella stanza-ingresso, che per certi versi la estraniava da tutto quello che succedeva in casa,ma che le faceva da rifugio per altri versi,tranne nei momenti  in cui zia Amalia, all’improvviso, apriva la porta per controllare che lei stesse studiando. Aveva compreso l’astio che esisteva tra la zia Amalia che comandava il gruppo delle tre vecchie  signorine ed  il marito della loro sorella sposata, padre, adesso cieco, di suo padre. Nonno Mario era un omone alto, imponente che girava per casa portando avanti un bastone grosso e nodoso. Parlava molto poco,ma spesso le sue parole erano ironia dura e sarcastica in risposta ad osservazioni della zia Amalia,la ricca di casa,la despota di casa.. Per lei  in fondo,quel nonno nuovo, era la persona che almeno ogni tanto, le rivolgeva qualche parola, senza astio nella voce e che le raccontava quando era sereno, piccole barzellette,specie quando era vicina la zia Amalia.

Sua moglie,la nonna,non parlava mai, si occupava di cucinare quello che  due zie a turno, portavano su dal mercato che c’era attorno al palazzo. Verdura,legumi, pasta,pesce mediterraneo ed uova erano il cibo giornaliero, la domenica invece arrivavano  cotoletta ,patate fritte e pasta al sugo,che sua madre  faceva per tutti.

Per fortuna a scuola la accompagnava il nonno Totò,papà di sua madre,che la aspettava sempre in portineria, e per la strada non c’era nessuno più felice di lei. Di nascosto come merenda a scuola aveva treccina, pizzetta,cartoccio, iris,panino con le panelle  e tutto ciò che lei stessa sceglieva al bar o al forno. Nonno  Totò  sorrideva sempre con quella borsa –valigetta  di pelle nera con le fibbie lunghe lunghe  che pendevano in giù mentre  la sua mano poggiata sui suoi capelli lisci e castani la colmava di tante carezze. E quel  loro gioco preferito con quell’inventarsi a turno storie fantastiche ,con  il tempo che purtroppo volava in un attimo sia all’andata che al ritorno. Dinanzi alla portineria  al ritorno, prima di lasciarlo gli ripeteva sempre la stessa cosa:”Domani torni vero?”… 

Ma la nuova vita non poteva distruggere il suo amore per la corsa, il movimento, le storie di gruppo, gli amici. A poco a poco trovò uno spazio nuovo dove potere agire fuori da quel controllo silenzioso e gelido di casa. La scuola divenne  il suo campo di battaglia, gli intervalli, le attese prima delle lezioni, e gli spazi di fine giornata, furono così campi d’azione di grandi gare di “spezza catene”,di “acchiappa fazzoletto”, di “salta piedino”con lei che riusciva a far aprire le catene delle braccia delle squadre avversarie perché con le sue mani riusciva a spezzare ogni catena avversaria di braccia.  

Le sue gambette magre e velocissime battevano tutti nella corsa, ed il sorriso allegro alla fine, rifece capolino sulle sue labbra, dopo tanto  tempo.

 Ma le suore scuotevano la testa di fronte a quella piccola tanto irrequieta che nessun rimprovero fermava e diverse volte finì nella carbonaia,inoltre, per quel suo difendere contro tutto e tutti i compagni più deboli.

Il nonno veniva spesso chiamato dalla superiora e gli toccava ascoltare le lamentele di insegnanti e superiora per l’irruenza che contraddistingueva ogni suo movimento. Fortunatamente aveva la capacità di assimilare facilmente ogni materia di studio e questo alla fine di ogni richiamo giocava sempre a suo vantaggio.

 

 

 

 
 
 

Incidente di percorso

Post n°4 pubblicato il 17 Dicembre 2010 da viandantesilente

 

Ma,Irina,nel frattempo, era stata costretta a cambiare il suo modo di studiare. La zia Amalia aveva deciso che il suo linguaggio era sporco di dialetto e che bisognava ripulirlo. La stessa convinse suo  padre a farle imparare a memoria pezzi di lezione per arricchire quel suo lessico che lei, “maestra di casa”, non riteneva adeguato. E fu un disastro per Irina abituata a favoleggiare su tutto ciò che leggeva per poi rielaborarlo mantenendo intatta alla fine la logica dei contenuti.

Odiò la cucina come luogo, perchè ormai ogni sera dopo cena ,era costretta a  trasferirvisi con suo padre ,dal quale  prendeva sistematicamente i rimproveri per il suo rifiuto ad imparare a memoria, e cominciava a ripetere meccanicamente i pezzi di lezione,  finchè lui non riteneva ottimo il risultato.

Ma non si arrese. Chiese al nonno Totò di comprare con lei, tutti i giornaletti di Tex, di Topolino, ed “Il corriere dei piccoli”.Ogni pomeriggio dopo aver finito i compiti scritti, il suo mondo si allargava verso altri orizzonti; sulla scrivania restavano i libri di scuola, mentre nel cassetto aperto a metà il suo piccolo tesoro di libri diversi la portava via da quel luogo che non le dava mai un solo attimo di gioia. La sera con suo padre si dedicava allo studio memorizzato delle lezioni orali.

Era in  quarta elementare quando un incidente di percorso le fece capire cosa potesse significare disobbedire alle regole. Era il mese di maggio ed Irina a scuola amava tanto il piccolo giardino pieno di fiori della scuola,si rintanava in un angolo su di una panchina e restava lì imbambolata a pensare a come sarebbe stato bello zappare ancora e curare quel rettangolo magico di terreno. Il caldo la rendeva stanca e svogliata, la matematica non era molto di suo gradimento ,e la suora –maestra ,in quei giorni non faceva altro che spiegare matematica. Lei non seguiva neppure le spiegazioni, perdendosi con lo sguardo oltre la finestra, tra i fiori del giardino ed una silente nostalgia.

Le venne così la brillante idea ,per evitare i compiti, di scrivere nel diario ogni giorno, per una settimana, sempre e solo…”ripetizione”,ovviamente,nella pagina corretta del diario, mentre dinanzi alla suora ,visto che stava al primo banco, girava sottosopra il diario e scriveva i compiti che la maestra assegnava veramente alla lavagna per il giorno dopo. Ovviamente lei era poi impreparata. Alla terza interrogazione andata male, la maestra non volle all’uscita consegnarla al nonno Totò e pretese la presenza del padre. Irina capì che era in un bel guaio ,ma pensava ad una bella lavata di capo e ad un qualche castigo, niente di più.

Suo padre arrivò dopo due ore, il nonno non c’era più, e quando la maestra disse della sua impreparazione ,suo padre ribattè che in quella settimana c’era stata solo ripetizione di lezioni varie. Al diniego della maestra,che fece il resoconto delle lezioni lasciate,mentre ripeteva che lei le vedeva scrivere normalmente i compiti ogni giorno, suo padre, furente le aprì la cartella e fece leggere alla suora quanto regolarmente scritto in diario con la parole ripetizione .Entrambi allora in silenzio assoluto si rivolsero minacciosi verso di lei,ed Irina confusa ed impaurita, spiegò manualmente,con i gesti sul quaderno,il piccolo trucco messo in atto. Si prese i rimproveri della maestra, mentre il padre rassicurava quest’ultima che il giorno dopo ,Irina avrebbe portato tutte le lezioni arretrate.Il rientro a casa fu silenzioso e minaccioso, sua madre non c’era, zia Amalia dopo aver sentito il resoconto del nipote, decretò che la lezione doveva essere indimenticabile, ed indimenticabile fu.

Prese tante di quelle botte da entrambi al punto di mettersi rannicchiata a terra per sfuggire a quei colpi in viso ,ma il castigo continuò a suon di colpi di scarpe sul suo corpo. Loro si fermarono solo quando a terra, un liquido bianco giallastro allagò il pavimento. Paura e dolore le avevano fatto fare la pipì addosso.

Non riuscì a dimenticare mai più quell’episodio per tutto il resto dei suoi giorni,ma da quel momento nutrì una forte avversione per quei due esseri capaci di tanta violenza su di una bambina.

Quella notte la passò per buona parte ad aggiornare i compiti e la mattina dopo a scuola la maestra …precisa,la chiamò per prima alla lavagna.

Irina non sbagliò nulla degli esercizi richiesti… ma quando la suora si avvicinò a lei dando le spalle ai suoi compagni per chiederle a bassa voce se i graffi sul viso glieli avesse fatti suo padre, Irina la guardò con fermezza dritta negli occhi, e sorridendo le rispose  …”Mio padre?...no ,è stato il mio gatto mentre giocavamo.!”.

L’anno dopo cambiò scuola e tristemente il nonno Totò non l’accompagnò più a scuola.

 

 

 

E continuarono sempre i libri  di scuola sulla vecchia scrivania, per coprire buchi e per un parlare di lei molto diverso  finalizzato ormai ad un mondo che non la capiva.
Un mondo troppo stretto, un mondo che le immobilizzava il corpo per pomeriggi interi sui libri .
ll suo rifiuto per quel modo di studio, i compiti non scritti, le bugie e le scoperte delle bugie, i castighi che sempre più pesanti la offendevano, la piegavano in se stessa in un silenzio che non permetteva  a nessuno di avvicinarla. 
Mentre i libri ed i giornaletti che  di nascosto il nonno le comprava e le mandava con la mamma, la aiutavano a passare le lunghe ore in quella odiosa stanza,da dove lei, da ferma, da controllata, fuggiva in un mondo tutto suo, tessuto dei libri nascosti nel cassetto che venivano divorati, al posto di quelli aperti inutilmente sulla scrivania.
Nei dopocena era invece i momenti duri con il padre per ripetere fino alla nausea brani di lezioni,così come era stato deciso da lui, e che dovevano essere memorizzati alla perfezione. Lei eseguiva meccanicamente, perchè Irina non c'era in quelle lunghe ore, Irina  amava esprimersi da sempre liberamente e con paragoni ariosi.

E leggeva di tutto Irina per capire, per crescere,per conoscere il mondo fuori da quella prigione che mai l'avrebbe cambiata!

 

  

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

Silenzi

Post n°5 pubblicato il 17 Dicembre 2010 da viandantesilente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 

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