Creato da: hrothaharijaz il 27/12/2006
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Post N° 15

Post n°15 pubblicato il 24 Marzo 2007 da hrothaharijaz
Foto di hrothaharijaz

Il racconto che vi propongo e' in assoluto, unitamente alla Signora dei carlini, quello che mi ha dato piu' soddisfazione. Tutte le volte che lo rileggo mi spuntano le lacrime. E' dedicato a mio nonno, il papà di mio papà, personaggio unico e straordinario.

                                            GLI ULTIMI TRE MINUTI

Da quattro anni ormai Giuseppe viveva una vita senza rendersi conto di viverla; da quando, piano piano, l'Alzheimer aveva cominciato a bergli il cervello.

All'inizio s'era trattato solo di difficoltà nel trovare le parole appropriate; poi la confusione dei nomi: chiamava un nipote col nome di un altro, il figlio con quello del fratello.

All'inizio si rendeva conto di tutto; la sua reazione sempre dignitosa, nessun dramma:" Sto invecchiando" soleva ripetere.

Poi iniziarono i deliri; voleva che gli preparassero le valige e la bicicletta, lui che non era più in grado di camminare se non appoggiandosi a qualcuno, perché doveva recarsi in una casa vicino alla stazione, di che paese o città non lo sapeva,, dove viveva una vedova con due figli che avevano bisogno di lui.

Come tutte le sere, anche quella del 4 maggio 1982, seduto a tavola col resto della famiglia. rigirava neccanicamente il cucchiaio nel piatto della minestra quando, tutto ad un tratto, avvertì qualcosa che non andava, un'improvvisa spossatezza che, partendo dai piedi, risaliva pian piano lungo le gambe e il cuore nel petto che martellava in modo strano.

Le persone attorno a lui si sfuocarono, le voci si attutirono; prese forma al suo fianco la figura di una signora, in abito nero da contadina di fine Ottocento. "Mi sembra di conoscerla" pensò Giuseppe "Ma é passato tanto di quel tempo".

La signora socchiuse le labbra: "Beppe, sono venuta a prenderti per accompagnarti in un posto, non avere paura, sarà tutto facile, non sentirai dolore: Preparati, ti restano ancora tre minuti".

Nella mente di Giuseppe si materializzò una scena successa tanto tempo fa: era verso l'mbrunire del 29 luglio 1900. Aveva cinque anni e da alcune ore, chiuso nella sua stanza col fratellino Umberto, udiva provenire dalla camera accanto le urla disumane di sua mamma. Gli avevano detto di recitare le preghiere a Gesù per aiutare il suo fratellino a nascere.

Col passare del tempo le urla divennero sempre più flebili e poi ci fu il silenzio. La porta della camera si aprì e comparve il loro padre, Pompeo, in lacrime: "Recitate l'Eterno Riposo per la vostra mamma e i vostri fratellini che non ce l'hanno fatta".

Dalla porta semiaccostata Giuseppe la vide, bianca come un lenzuolo, coperta di sangue, col braccio penzoloni dal letto; ai suoi piedi un fagottino con i suoi due fratellini nati morti:

Gli avrebbero ripetuto continuamente, negli anni a venire, che la sua mamma era morta lo stesso giorno in cui Re Umberto I°veniva assassinato a Monza.

Ecco chi era la signora in nero davanti a lui, era Ortensia, la sua mamma che era venuta a prenderlo.

Un sottofondo di voci lo distrae un attimo, la figura in nero si dissolve, ode la voce della nuora Nina: "Nonno, cos'hai, non stai bene?, del figlio Sergio: Portiamolo a letto" e ancora della nuora: "Chiamiamo il dottore".

Uno sforzo, in un attimo di lucidità, dopo quattro anni di buio, Beppe riesce a parlare: "Non é necessario, é arrivata la mia ora". Senza strepiti, senza paura, con solenne dignità.

La figura in nero riprende forma ai piedi del letto: Hai ancora due minuti e mezzo".

Quel bambino, di appena sei anni, arranca nella neve e nel freddo di dicembre per andare a scuola; sei chilometri all'andata e sei al ritorno. Malvestito, con gli stivaletti sbrecciati e consunti ai piedi. Porta sulla schiena lo zainetto dei libri e del pranzo: pane e formaggio; porta sotto il braccio un pezzo di legno che servirà per alimentare il fuoco della stufa della scuola.

Ora é un ragazzetto di dodici anni e per dodici ore al giorno consuma la propria giovinezza in una fornace a fabbricare mattoni per due lire al giorno. Quei soldi gli servono per sopravvivere e per far sopravvivere la sua famiglia.

Si risente la voce della signora in nero: "Beppe, ancora due minuti".

Adesso ha diciotto anni, si trova su un'aia, é in corso la festa della mietitura. "Chi é quella bella moretta che si libra nell'aria con tanta leggerezza?". Non ha occhi che per lei Beppe. Prima di notte conoscerà il suo nome: Oddonea Negri e il sapore delle sue labbra.

"Ancora un minuto e mezzo" scandisce la signora.

E' passato un anno, vestito di grigio verde, sul Sabotino. E' fuori di pattuglia in una notte calda e senza luna del maggio 1916 quando, improvvisamente, attorno si scatena l'inferno. Shrapnels esplodono illuminando a giorno la costa della montagna, una sventagliata di mitraglia e l'esplosione di alcune granate uccidono, nel volgere di pochi secondi, il tenente, il sergente e cinque soldati. "Cazzo al riparo, i tognini! Guastini, porca troia, giu' la testa, vuoi farti accoppare?".

Silenzio, il lamento dei feriti, una voce gutturale urla: "Italiani, arrendetevi, siete circondati".

Il sussurro del soldato Guastini: "Beppe che si fà, sei tu il piu' alto in grado adesso che il tenente e il sergente sono morti, spetta a te decidere".

La voglia di resistere e farla pagare cara a quei tognini é grande, ma davanti agli occhi di Beppe ricompare il corpo flessuoso della sua Oddonea che balla nella notte tra i riflessi rossastri dei fuochi accesi sull'aia: "No, non posso perderti così". Viene alzato un braccio e sventolato un panno bianco. Lo attenderanno due anni e mezzo di prigionia in un campo, in Moravia.

Ricompaiono i rumori nella stanza e le voci di sottofondo: "Nonno, abbiamo telefonato a Fiorenzo, a Pavia; viene subito". Ma su tutte distingue quelle della signora: "Non ti resta che un solo minuto".

La guerra é finita da poco, in un campo di grano maturo, la Oddonea é stata sua per la prima volta. Sarà la sua sposa per tutta la vita.

"Il tempo stringe, ti restano solo trenta secondi" ribadisce la signora.

Le immagini davanti agli occhi di Beppe prendono ad accelerare vorticosamente.

E' duro lavorare la terra con quel gran caldo, soprattutto se hai una spina piantata nel cuore, quella d un figlio che non torna dal fronte.. Beppe si deterge la fronte sudata con la manica della camicia. E' la tarda primavera del 1943. Negus, il vecchio cane nero, scatta improvvisamente in una corsa forsennata verso casa: "Cosa fà?, Dove sta andando?". Dopo mezzora eccolo di ritorno, con la lingua penzoloni e la coda ondeggiante proiettata verso il cielo. "Ma chi é quello in fondo al campo, in divisa? Ma é Sergio! venite! Sergio é tornato dalla Russia".

Giuseppe deve fare presto, sa che il suo tempo sta per finire.

Sul letto di morte c'é sua figlia Edra, consumata dalla leucemia. "Cristo Santo, perché lei e non me".

Pochi secondi ancora ed ecco il viso rapito del nipote Fiorenzo; sono seduti davanti alla stufa durante un freddo inverno dei primi anni sessanta: "Nonno, ma quanti tognini hai ammazzato in guerra? Raccontami ancora degli undici assalti alla baionetta in dieci giorni, del Sabotino e di quella volta che il Re piccolo piccolo ti é passato vicino in trincea".

Poi buio e silenzio. Beppe se ne é andato per sempre.

                                                          ° ° ° ° °

Beppe non sa per quanto tempo ha dormito; si risveglia in una radura erbosa tra i monti; il sole sta per sorgere; Il paesaggio attorno presenta una strana luminescenza grigio verdastra. La signora in nero e' seduta a pochi metri da lui; gli indica un sentiero tra gli abeti: "Seguilo, tra mezzora giungerai davanti ad un cancello, qualcuno verra' ad aprirti".

Beppe si incammina, il pendio é dolce, l'aria frizzante, gli uccelli cantano in coro, l'odore delle conifere intenso. Ecco il cancello, un signore austero lo attende sulla soglia: "Chi sei?" soggiunge. Beppe, intimidito, risponde:" Caporal Maggiore M. Giuseppe, 74° Fanteria, congedato dall'Esercito col grado di sergente, Cavaliere di Vittorio Veneto".

L'uomo di fronte a lui si scioglie in un sorriso: "Sei stato un uomo giusto, Giuseppe, vieni, entra, in tanti ti stanno aspettando".

 
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