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L'irresistibile vizio postcomunista di vedere negli altri "il Medioevo"
di Giorgio Israel
Si dice che queste elezioni hanno determinato una svolta epocale, ed è
indiscutibile. La parola "comunista" scompare dal Parlamento e non ha torto
chi dice che della falce e martello non importa più niente quasi a nessuno.
Ma questo era chiaro da tempo. Il problema non è il comunismo bensì il
postcomunismo, un'eredità che si esprime in una serie di mentalità, di
atteggiamenti e di "culture" tra cui quella della superiorità antropologica:
gli "altri" sono abbietti nemici, trogloditi che occupano e devastano la
società. Circa la morte definitiva di questa eredità sarei prudente.
Capito in mezzo a un crocchio di genitori all'uscita dei bambini dalla
scuola e sono tutti concordi nel deplorare con aria da funerale l'esito
delle elezioni.
«Vedrete che ondata clericale! Faranno dire ai bambini le preghiere
tutte le mattine prima delle lezioni», lamenta uno; e il fatto comico
è che nessuno dei presenti ha chiesto l'esenzione dei figli dalle
lezioni di religione.
Un altro proclama: «Ci aspettano cinque anni di Medioevo».
Non riesco a trattenermi e osservo: «Beh, dopo due anni di età
delle caverne, cinque anni di Medioevo sono comunque un progresso». Piomba
un imbarazzato silenzio e il crocchio inizia
a disfarsi.
Il loro atteggiamento equivale a un "chi se lo sarebbe mai aspettato
che tra di noi vi fosse uno di 'quelli'?".
Mi sento marchiato a fuoco, in modo indelebile,
come una pecora del gregge cattivo.
Loro, poveretti, trovavano naturale sbraitare contro
l'infausto ritorno dei barbari, dell'"impero che colpisce
ancora".
Come potevano pensare che fosse presente uno di "quelli"?
Tutte le facce sembravano normali e nessuno era riconoscibile
per qualche caratteristica lombrosiana o dal cattivo odore.
Basta leggere i giornali di certa sinistra europea per trovare il riflesso
di questo atteggiamento. Secondo El País la corruzione si è insediata
in forze nei gangli vitali dello Stato italiano. Secondo Libération, il
centrodestra è stato portato al potere da quelli che sfrecciano per le
strade in vespa passando col rosso. Ma chi ha suggerito loro queste analisi
sociologiche? Leggendo gli articoli si apprende che sono ricavate da
dichiarazioni o interviste di "intellettuali" di sinistra italiani, quelli
che erano pronti ad emigrare a Parigi e a cui ora non resta che emigrare a
Madrid. È il famoso partito della sinistra "antipatica" che ha il complesso
dei migliori, così bene descritta da Luca Ricolfi, e il cui segretario
onorario è Umberto Eco
indimenticabile assertore della tesi secondo cui gli italiani
si dividono in due: gli onesti e intelligenti che votano a sinistra,
e quelli che votano dall'altra parte, che o sono cretini
o sono disonesti.
Questa sinistra è lungi dall'esser morta. Non si dice quasi più comunista ma
i suoi tic postcomunisti sono di una visceralità allucinante: basta che si
parli di Stati Uniti o di Israele e la reazione ostile spunta fuori come la
saliva del cane di Pavlov. Nonostante la Cina di oggi abbia conservato poco
dell'ideologia di Mao, il legame affettivo è tale da spingere certuni a
scrivere un documento di solidarietà contro i cattivissimi monaci tibetani.
Proprio come ai tempi in cui Solzenicyn veniva marchiato come un agente
dell'imperialismo.
Ci vorrà un'opera culturale grande e profonda per estirpare questi tic.
Di certo quest'opera non potrà consistere nel correggere i libri di storia,
come è stato infelicemente proposto. Non si scrive "sui" libri, si scrivono
"i" libri. Questo paese ha un gran bisogno del dispiegarsi di una cultura
libera, aperta e non faziosa che s'imponga definitivamente sui cascami
culturali del passato.
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