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Post n°2228 pubblicato il 19 Aprile 2012 da pierrde

L'argomento è il concerto alla Scala di Stefano Bollani con il direttore d'orchestra Riccardo Chailly e l'Orchestra Filarmonica.

Tre le recensioni che ho trovato in rete, tutte piuttosto diverse tra loro.

Franco Fayenz titola  sul Sole 24 Ore "qualche accenno al jazz, ma poca cosa". Ecco una parte significativa dell'articolo, come di consueto link a fine post:

C'era tensione crescente fra i cultori di musica afro-americana (forse in maggioranza fra il pubblico foltissimo) man mano che scorrevano i pochi minuti della bella Alborada: percepivano l'evento, è ovvio, così come lo percepiva Bollani, giustamente sicuro di sé ma innervosito nei giorni precedenti – sono parole sue – dai tanti Bollani-fans ai quali la Scala incute un eccesso di timore reverenziale. Si è seduto al pianoforte munito di un prudente spartito (quanti pianisti dovrebbero fare altrettanto!) che ha sbirciato e girato ogni tanto per conto suo, pur non avendone bisogno. Tutto bene – aveva ragione Ravel quando diceva che «il mio concerto contiene qualche accenno al jazz ma poca cosa» e non nella parte pianistica, aggiunge il sottoscritto; tutto bene, dicevo, salvo lievi carenze qua e là .....

 

Nazzareno Carusi su Libero titola "Più marketing che musica", e pur esprimendo stima per il Bollani jazzista scrive:

 

Perché, allora, Bollani suona Ravel? Per una certa vicinanza al jazz? Non lo so, ma in questo compact disc è proprio Ravel a non esserci, con il pianoforte che sembra avere un corpo talmente indefinito che (forse) sarà pure adatto a improvvisare, ma (di certo) non s’addice alla profondità di uno spartito così grande. Sembra che al pianista manchi il possesso della partitura, prima e non durante l'esecuzione come nel jazz accade. Non ci sono l'anima di questa musica, il suo peso, quel suono (capace di scavare nell'intimo) che autorizza a parlarne in pubblico e, infine, il senso della forma.

Infine Stefano Jacini su Il Giornale della Musica parla di "Ravel senz'anima":

 

Pezzo forte della prima parte della serata (dopo un Alborada del gracioso non troppo limpida) il Concerto in sol di Ravel; ma chi si aspettava dal solista sonorità acide, inconsueti estri timbrici è rimasto deluso. La lettura di Bollani è stata molto ossequiosa, tanto da risultare quasi incolore, senz'anima (vedi l'inizio del secondo tempo dove il pianoforte è allo scoperto), affidata soltanto all'agilità. Chailly inoltre si è scatenato in tempi molto veloci, esagitato l'attacco del concerto, il che non ha aiutato la trasparenza dell'orchestra causando anche qualche piccola défaillance. Tutto sommato un'edizione non memorabile, forse da attribuire a prove insufficienti. Bollani in compenso ha offerto due bis magistrali nei quali; una volta deposta la giacca e consegnata a un violinista, si è sentito a proprio agio e si sbizzarrito da par suo con l'amato Gershwin (I Got Rhytm, The Man I Love), salutato con vere ovazioni. Sarebbe bello che la Scala avesse il coraggio di invitarlo come solista jazz, senza costringerlo a cambiare identità.

Per tutti noi che a Milano non c'eravamo rimane la possibilità sabato sera di farci una idea di questo connubio cosi' fortunato commercialmente grazie a Radiotre che propone in diretta il pianista con la Filarmonica diretta da Chailly in una serata dedicata a Gershwin .

Link:

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2012-04-16/chailly-bollani-teatro-scala-163035.shtml?uuid=AbLLO3OF

 

http://www.liberoquotidiano.it/blog/2402/Bollani-che-suona-Ravel-Pi%C3%B9-marketing-che-musica.html

 

http://www.giornaledellamusica.it/rol/?id=3891

Esce il 3 aprile 2012 il nuovo disco di Stefano Bollani insieme alla Gewandhaus Orchester di Lipsia diretta da Riccardo Chailly. "Sounds of the 30s" (Decca) è un omaggio ai compositori degli anni Trenta: Ravel, Stravinsky, Kurt Weill e Victor de Sabata.

I due maestri sono alla Scala di Milano il 15, 16 e 18 aprile con questo programma e i brani di Gershwin tratti dal precedente disco della "strana coppia".

Il 30 aprile 2012 invece riprenderà con una puntata speciale la trasmissione tv SOSTIENE BOLLANI, trasmessa su RAI 3 lo scorso autunno con un ottimo riscontro di pubblico e di critica nonostante, dice Bollani, "l'orario punitivo".

Il 21 aprile, infine, i due grandi artisti saranno ancora alla Scala, questa volta però con un programma che prevede solo le composizioni di Gershwin.

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
Gianni M. Gualberto il 20/04/12 alle 08:26 via WEB
Mi ricordo di avere letto recensioni trionfalistiche sulla collaborazione fra Chailly e Bollani in Gershwin: sia dal vivo che nell'incisione, in realtà i risultati erano quasi risibili, soprattutto per scarsa idiomaticità a tutto campo. Ché Gershwin non era un jazzista, per quanto fosse capacissimo di improvvisare (ma di questo erano capaci anche Liszt, Thalberg, Gottschalk e tanti altri, senza che ciò li apparentasse all'improvvisazione africana-americana di là da venire): il suo mondo era tutto americano, all'incrocio fra derivazioni colte e il contesto, fra popolare e sofisticato, di Broadway, di Tin Pan Alley, che con il jazz aveva rapporti ben spuri. Anche Schulhoff, Martinu, Ullmann, Stravinskij e altri hanno scritto pagine in qualche modo ispirate al jazz, senza che per questo vi si apparentassero in alcun modo: a nessun interprete intelligente verrebbe in mente di interpretarle in modo "ortodosso" dal punto di vista improvvisativo, si scivolerebbe in un qualcosa di informe e privo di senso. Lo stesso dicasi per Ravel (o persino per il Quarto Concerto di Rachmaninov o per il Primo di Sostakovic): vi è del jazz? Perché no? Si trattava allora di un linguaggio che incuriosiva, o forse divertiva, più che affascinare, alcuni autori europei, peraltro ben consci dell'impossibilità di mutuare per intero (e perché mai?) dei tratti che all'epoca, inoltre, apparivano "vernacolari" e che, comunque, appartenevano ad un affatto diverso contesto culturale. Persino un interprete inarrivabilmente colto e geniale come Friedrich Gulda aveva talvolta delle difficoltà a balzare da una sponda all'altra, pur conoscendole ambedue meglio di quanto possa fare oggi Chailly che, pur apprezzabile interprete accademico, non ha chiaramente una vera cultura, anche sotto il profilo lessicale, in campi più sottilmente ambigui e aperti come quelli che abbondano in tanta parte della tradizione americana. Così, in Gershwin dava vita a un quadro tonitruante, frenetisco senza necessità, scintillante di vuoti lustrini e opimamente statico (e l'orchestra del Gewandhaus gli dava una bella mano, dimostrando di avere scarsa dimestichezza con il repertorio, come già in una precedente edizione gershwiniana diretta da Kurt Masur, in cui l'autore americano veniva riletto attraverso un'ottica indebitata con Weill e un contesto da repubblica di Weimar), in cui, pur brillantemente, Bollani inseriva un qualcosa di erroneo ed estraneo. In Ravel il maldestro giochetto, che pure troverà, come in Gershwin, numerosi laudatores, si ripete, con un rovesciamento di fronte: ché se Chailly certo non è alieno ai lavori di Ravel, lo è invece, e manifestamente, Bollani: ancora una volta, si evidenzia che la tecnica non ha senso senza l'idiomaticità, senza la proprietà di linguaggio, senza la coscienza culturale. Bollani ha fatto un passo più lungo della sua gamba, ed è quello che più ci rimette musicalmente. Chailly rimarrà convinto di avere compiuto senza troppi sacrifici chissà quale eroismo anti-borghese, e i marketing manager della Decca continueranno a sfregarsi le mani: certe operazioni, purtroppo, rendono. Ma questo, purtroppo, la dice lunga su tante cose...
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
anto il 20/04/12 alle 09:01 via WEB
Leggendo gli estratti critici si nota chiaramente come a Bollani non venga imputata una scarsa esecuzione bensì, fondamentalmente, il non essere un Bollani a tutto tondo. Quando accade ciò si deve cominciare a supporre di essere in presenza di un musicista destinato ad entrare nel mito della musica.....
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Gianni M. Gualberto il 20/04/12 alle 19:08 via WEB
Una volta tanto ringrazio il cielo per la mia età, che mi ha permesso di ammirare miti di ben altra caratura... Ero alla Scala e a Bollani non rimprovero nulla, perché non è argomento interessante più di tanto, né per me né, certamente, per lui. Posso solo annotare che non si tratta di volere un Bollani simile a se stesso (un pensiero già angosciante di suo); semplicemente, non si vede per quale motivo debba affrontare testi per i quali non ha la cultura necessaria e sufficiente. I risultati, infatti, sono semplicemente risibili. Il che non significa che non siano ben vendibili... Anzi, di solito il risibile piace. Eccome, se piace...
 
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Milton il 20/04/12 alle 09:48 via WEB
Beh, che dire? Io alla Scala c'ero... Non Domenica sera, ma per mia fortuna, ho potuto assistere alle prove generali di Domenica mattina. Sarà stato che l'ambiente era palesemente rilassato, ma a mio avviso è stato l'evento musicale più intenso a cui io abbia assistito negli ultimi anni. Il momento che più mi ha coinvolto è stato proprio l'incipit del secondo movimento del concerto in cui il piano rimane solo e che è così poco piaciuto ai recensori "istituzionali". Comunque, al di la di tutto, io non ne faccio una questione estetica o esegetica perché non ne ho le competenze e non mi interessa neppure fare questo tipo di speculazioni; quello che posso dire è semplicemente che - da ascoltatore attento quale sono (e anche musicista) - il concerto è stato emozionante e questo mi basta! Poteva esserci più jazz? Doveva essercene meno? Non lo so e non mi interessa. Quello che so è che mi sento di consigliare a tutti di assistere a questo spettacolo perché ne vale assolutamente la pena.
 
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daniela floris il 20/04/12 alle 10:19 via WEB
Bentornato D
 
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emanuele p il 20/04/12 alle 22:19 via WEB
sinceramente, se Bollani diventasse un musicista classico a tempo pieno e ci liberasse anche solo la metà dei festival jazz, dei concerti, dei CD e di tutta l'attenzione che gli viene data appena emette una nota qualsiasi, sarebbe solo tutto guadagnato... viva il jazz, viva la classica, ad ognuno la sua giusta dimensione e il suo giusto spazio, ma finti eroi che fanno di tutto e di più, sinceramente no grazie, perchè tanto nun je 'a fanno...
 
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Gianni M. Gualberto il 21/04/12 alle 09:10 via WEB
Esatto...
 
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milton il 21/04/12 alle 12:51 via WEB
Faccio solo notare che state parlando per preconcetti e per partito preso senza aver assistito al concerto di cui si discute...
 
 
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Luca Conti il 21/04/12 alle 15:03 via WEB
Milton, guarda che Gualberto ha detto che lui, alla Scala, c'era... Io no, ma amici degni di fede mi hanno riferito che il primo concerto non è stato un gran che (più per demerito di Chailly che di Bollani). Ho soltanto ascoltato il cd, che non resterà certo nella storia dell'interpretazione ma non è neanche da buttare via, non certo più della miriade di interpretazioni del concerto di Ravel che le case discografiche buttano da decenni e con poco criterio sul mercato. La mia interpretazione preferita resta sempre quella di Samson François del 1959 (François, che si è ammazzato giovane a forza di droghe e alcol, era una sorta di Bollani alla rovescia, un grandissimo pianista classico che se la cavava bene anche col jazz), anche più di quella, notevolissima, della Argerich. Ma sono gusti personali.
 
   
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Gianni M. Gualberto il 21/04/12 alle 19:40 via WEB
Viva Samson François, in effetti. Un genio. Al posto dell'incisione della Argerich (sia la prima che la seconda con Abbado), che mi ha sempre colpito per una certa "correttezza" un po' curiosa, indicherei una interpretazione molto "scorretta", ma proprio per questo affascinante, di Alexis Weissenberg con Seiji Ozawa. E Weissenberg è un pianista che, comunque, ha amato il jazz. Quanto a Bollani/Chailly certamente, come hai giustamente detto tu, non demeritano rispetto alla pletora dei tanti che hanno interpretato di recente Ravel (fatto salvo, forse, Jean-Efflam Bavouzet). Ma se il paragone lo dovessimo fare con i François e le Argerich, sarebbero dolori...
 
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Luca Conti il 21/04/12 alle 20:07 via WEB
Ah, certo, Weissenberg è sempre stata una delle mie passioni, pregi e difetti compresi. Non conosco la sua versione del concerto di Ravel, ma vado a cercarmela subito. Un'altra che ho sempre trovato fantastica è quella dell'oscuro pianista olandese Cor De Groot, che non so se sia mai stata ristampata su cd (ho un lp davvero archeologico).
 
 
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Gianni M. Gualberto il 22/04/12 alle 18:12 via WEB
L'incisione di Weissenberg, su EMI francese, era scomparsa da tempo, poi è stata inserita in un'antologia di "Introuvables" dedicata dalla stessa EMI a Weissenberg. E' un Ravel fonicamente quasi violento, lontano dai vezzi dia cristalleria di molti altri interpreti. L'incisione di Cor De Groot me la ricordo, secoli fa, nei negozi di dischi, ma non credo di averla mai ascoltata. Vediamo se su Internet è possibile reperirla...
 
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loopdimare il 22/04/12 alle 17:51 via WEB
fermate Bollani! almeno 5 minuti e costringetelo a chiedersi cosa vuole fare da grande: L'entertainer? l'imitatore di cantautori? il jazziata? il virtuoso? pret-a-porter? il solista classico? e qualcuno forse gli spieghi che il senso del limite è un pregio e che non si è bravi sempre edin tutte le situazioni. intanto ho come la sensazione che la sua immagine di jazzista tenda ad appannarsi per troppe sovrapposizioni indebite...
 
 
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riccardo il 23/04/12 alle 08:56 via WEB
Secondo me vuol fare esattamente quello che dici, cioè un po' di tutto. Mi pare chiaro ormai da tempo il suo modo di intendere la musica. E' una forma di eclettismo per me molto discutibile ma oggi abbastanza accettata, se non in voga, collocata in una società che non richiede la necessità di manifestare più alcuna profondità di pensiero nell'esprimersi, ma apprezza più un approccio direi "orizzontale" certamentee un po' in tutti in campi, in una forma di esibizionismo in cui il centro, almeno dal punto di vista della percezione del pubblico, non è più l'esaltazione della musica prodotta in sé, ma dell'individualità che la produce.Ne esce una sorta di "mordi è fuggi" musicale in cui si dimostra di saper fare un po' tutto, anche molto bene, ma in un modo nel quale la cosiddetta "urgenza espressiva" tende a scarseggiare. Per farmi capire faccio un esempio: quando sento Bollani, al suo opposto in merito mi viene in mente un brano come "Meditation on Integration" di Mingus. Oggi nessuno più è in grado di proporre musica con quella intensità espressiva, non solo Bollani, ma io di quella urgenza espressiva oggi sento molto la mancanza. Oggi si manifesta in musicisti come Bollani, una idea di musicista più visto come uomo di spettacolo che artista, il che non mi scandalizzerebbe più di tanto, anzi, pensando ai modelli americani e collocati in un contesto americano (penso ad Armstrong ad esempio e non solo, per il quale, e non solo, l'aspetto delll'entertainment è indissolubilmente legato a quello dell'artista-musicista in modo quasi indistinguibile). Il caso di Bollani è all'apparenza analogo ma, mi lascia, e sempre mi ha lasciato, dubbioso il suo approccio "spettacolare" in quanto non sono convinto che si tratti davvero di un tratto peculiare del suo modo di esprimersi, ma più una esigenza di irrinunciabile consenso e riscontro che diventa la causa scatenante del suo produrre musica e non, come dovrebbe essere, semplicemente un effetto. Quanto alla sua produzione discografica, ne posseggo una gran parte e sinceramente tutta sta grandezza di jazzista non la vedo e non la sento (del pianista sì), in termini almeno di confronto con i veri grandi di questa musica. Pur non mettendo minimamente in discussione il suo talento pianistico, vorrei però sottolineare che in generale Bollani come jazzista mi pare goda di un consenso critico abbastanza benevolo e costante sin dai suoi inizi, almeno dal mio punto di vista, ma come dico sempre può essere che mi sbagli, ammettendo che quando l'ho ascoltato dal vivo mi ha sempre colpito il suo talento indiscutibile.
 
   
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loopdimare il 23/04/12 alle 12:17 via WEB
la mia impressione è che Bollani sia abbastanza irriconoscibile. come jazzista che cifra stilistica ha? e come virtuoso pianista è un grande ecclettico. risultato? fa musica piacevole ma contraddittoria ed assolutamente non unificata in un progetto musicale, che non sia del tipo "guardate come sono bravo!"
 
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