Mondo Jazz
Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.
IL JAZZ SU RADIOTRE
martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30
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JAZZ & WINE OF PEACE
Pipe Dream
violoncello, voce, Hank Roberts
pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig
trombone, Filippo Vignato
vibrafono, Pasquale Mirra
batteria, Zeno De Rossi
Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)
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Post n°4088 pubblicato il 29 Settembre 2018 da pierrde
Ma lo sapevate che esiste una registrazione di un concerto di un gruppo capitanato da Lester Bowie con Massimo Urbani ? E questa è solo una delle cento e più chicche sotto forma di registrazioni di concerti e/o album fuori catalogo messi a disposizione dal blog Inconstant Sol.Da pochi giorni il patrimonio musicale è stato "rinfrescato", quindi tutti i link sono funzionanti e l'elenco comprende musicisti di notevole spessore, da Steve Lacy a Cecil Taylor, da Tomasz Stanko a Old and New Dreams.
Trovate tutto qui :http://inconstantsol.blogspot.com/2016/04/new-links-for-old-posts.html
Buon ascolto ! |
Anthony Braxton © Franpi Barriaux
Quando nel 1993 Anthony Braxton incise le composizioni di Charlie Parker per l'etichetta HatHut, seguì un processo coerente. Quattro anni dopo Tristano e Warne Marsh e sei dopo Monk, quasi vent'anni dopo aver iniziato una vera opera di documentazione del materiale storico in In The Tradition , è un progetto impegnativo quello che Braxton visita con un sestetto inedito. Venticinque anni dopo l'uscita del Charlie Parker Project 1993 , un box di undici dischi editi dalla Tricentric Foudation , raccoglie l'intera serie di concerti che dal 18 al 24 ottobre 1993 sono serviti come materiale per il doppio album per l'etichetta svizzera. L'occasione, rappresentata dai concerti, da Colonia ad Anversa, consente di confrontare il particolare approccio braxtoniano e di raccogliere la complicità gradualmente emersa tra i musicisti che non avevano mai o quasi suonato insieme, come è il caso di Braxton con il pianista Misha Mengelberg e il trombettista Paul Smoker , Joe Fonda al contrabbasso e Han Bennink o Pheeroah AkLaff alla batteria . Anche se il Braxton più interessante rimane quello che esegue le proprie composizioni, il box non è privo di qualità e preziose gemme. Citizen Jazz, un sito francese dedicato alla musica jazz, ne tratteggia i passi più rilevanti e offre in ascolto cinque brani tratti dal box: https://www.citizenjazz.com/Anthony-Braxton-connait-l-oiseau-par-coeur.html
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Post n°4086 pubblicato il 26 Settembre 2018 da pierrde
Nel numero in edicola di Down Beat c'è questa lusinghiera recensione del pregevolissimo lavoro di Francesco Chiapperini. Una bella soddisfazione per il musicista italiano che vede riconosciuto l'ottimo lavoro compositivo e strumentale dispensato in questo bellissimo album, a mio parere una delle migliori uscite italiane dell'anno in corso. |
Post n°4085 pubblicato il 25 Settembre 2018 da pierrde
CHARLIE HADEN AND BRAD MEHLDAU - LONG AGO AND FAR AWAY Impulse / Universal
Uscita prevista: 26. Ottobre 2018
Produced by Ruth Cameron Haden and Brad Mehldau Era una domenica, il 19 settembre 1993, per essere precisi, quando Charlie Haden sentì Brad Mehldau per la prima volta. Charlie e io stavamo camminando per le sale dell'Hidden Valley Resort, situato nelle Laurel Mountains nel sudovest della Pennsylvania. Il resort sponsorizzava un festival jazz e Charlie aveva appena finito un'intervista, dopodiché dovevamo tornare nella camera d'albergo per preparare il sound-check e il concerto di Charlie quella sera. Mentre ci affrettavamo per la sala, si sentiva, da dietro le porte chiuse dell'auditorium che passavamo, i suoni di un concerto in corso.
Personalmente, penso che abbia visto un po 'di se stesso in questo giovane e brillante musicista. Rara opportunità per i due di avere un dialogo musicale ed entrambi hanno ovviamente accettato con entusiasmo. Rainer aveva chiesto di registrare il concerto, ma i due artisti si sono rifiutati con enfasi. Io, tuttavia, ho avuto la sensazione chei questo concerto sarebbe stato speciale e sono riuscita a far cambiare opinione ai i due musicisti, mentre Rainer dal canto suo ha gentilmente accettato di cederci i nastri. Per ragioni contrattuali riguardanti entrambi i musicisti, la registrazione non è stata pubblicata fino ad ora. Charlie ha ascoltato spesso il nastro e, a un certo punto, voleva farne un disco. Sono eternamente grata a Rainer Kern per averci permesso di registrare e possedere il lavoro. Di conseguenza abbiamo una splendida testimonianza dell'interazione tra due musicisti geniali: il pianoforte e il basso, la loro brillante risonanza attraverso lo spazio sacro di una cattedrale in stile liberty, registrato il 5 novembre 2007.
Ruth Cameron Haden, Los Angeles, California, July 2018 |
Post n°4084 pubblicato il 24 Settembre 2018 da juliensorel2018
Rieccoci di nuovo in veste di ‘servizio pubblico’, dal momento che siamo sempre in attesa del secondo invio della fantomatica newletter Rai sottoscritta ormai un paio di mesi fa. Nel frattempo la programmazione jazzistica prosegue, annunziata solo da un ‘pertugio’ sulla pagina di RadioTre Suite, che consente di anticipare di qualche giorno appena i concerti che giornalmente vanno in onda nel ben noto ‘Cartellone’: evitiamo di ripeterci su questo bell’esito dell’introduzione dell’app Rai Play, già ‘lapidata’ dagli utenti sul Play Store di Goggle. Domani 25 settembre, alle ore 20:30 (con probabile solito ‘ritardo accademico’), nell’ambito di RadioTre Suite verrà messa in onda la registrazione di un concerto tenutosi il 26 ottobre 2017 a Cormons (che il Grande Spirito della Musica salvi anche “Jazz and Wine of Peace”, dalle loro parti non tira una bella aria….) con protagonista il quartetto di Enrico Rava, e cioè: Enrico Rava, flicorno e tromba Francesco Diodati, chitarra elettrica Gabriele Evangelista, basso Enrico Morello, batteria Qualcuno potrà osservare che questo passaggio radiofonico di un ensemble di cui molto si è parlato non ha carattere di eccezionalità: io ribatto che proprio l’alto livello del gruppo non consente di ascoltarlo così spesso dal vivo, com’ è capitato a me quasi due anni fa. E poi c’è un altro motivo, ancora più sostanziale: questo combo è forse uno dei migliori risultati del Rava talent scout e leader (a mio avviso in Italia al massimo ne abbiamo un altro paio, non di più). Anche a prescindere dalle singole personalità individuali (già di per sé di tutto rilievo), il terzetto Diodati/Evangelista/Morello brilla per la compattezza ed scioltezza dell’insieme: i nostri colleghi d’oltreoceano direbbero “seamless”. Un risultato di assoluto rilievo e con ben pochi eguali in una scena jazzistica che sembra fatta apposta per frantumare e smembrare sin sul nascere formazioni anche accuratamente assortite e bisognose solo dell’indispensabile rodaggio nella pratica quotidiana: di questa grave debolezza strutturale del nostro circuito anche noi del pubblico portiamo non poche responsabilità, diciamocelo, ma questo è discorso che andrà approfondito in altra occasione. I miei ricordi mi riportano un Morello che si distingueva per un drumming leggero, controllato, pieno di sfumature, sempre presente; un Evangelista che brillava per velocità e precisione sui tempi vivaci; last, but not least, un Diodati dal fraseggio mobilissimo ed ampio, con lunghi archi melodici e basato su di un tono molto liquido, un partner prezioso anche nel semplice accompagnamento. Auguro a tutti la mia stessa esperienza d’ascolto, ed al quartetto di calcare compatto ed inossidabile ancora tanti palcoscenici. Franco Riccardi
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Post n°4083 pubblicato il 23 Settembre 2018 da pierrde
Avvertenza: la lettura di questo articolo non è consigliata a trend-setters, politically correct, bipartisan, followers 'a prescindere' ed analoghi Bene, vedo che non avete ancora premuto il tasto del 'parental control', quindi partiamo con quello che non pretende di esser un discorso argomentato e ponderato, bensì più che altro uno sfogo, forse animoso, ma alquanto accorato e spontaneo. In una stazione della metropolitana milanese mi imbatto nel manifesto di cui alla foto che accompagna il presente pezzo. Quasi subito mi vengono spontaneamente alla mente una serie di considerazioni che mi sembra necessario condividere con voi, anche a costo di pestare qualche callo. Nessuno più di me felice di vedere affacciarsi alla ribalta una big band (grande tallone d'Achille del jazz italiano, anche in passato), ma va anche osservato che questi debutti mi sembrano sempre più improvvisi e spesso effimeri. Se la dimensione orchestrale è diventata pressocchè proibitiva persino sulla scena americana, cosa dire di un circuito italiano infinitamente più modesto nelle dimensioni e nell'articolazione? Se risulta già difficile tenere insieme e rodare adeguatamente un quartetto od un quintetto, che dire di una big band che richiede lunghe e laboriose fasi di affiatamento, prove ripetute ed accurate? Per tacere della necessità di inserire tra le sue file con la dovuta calma solisti già maturi ed esperti, strappandoli a carriere solistiche di maggiore visibilità. Non parliamo poi della imprescindibile necessità di stabili e continuative occasioni di lavoro.... Quando poi il prezzo del biglietto veleggia intorno agli euro 50/60 (peraltro in un teatro da quasi mille posti, come nel caso), sugli esiti estetici si potrà anche discutere, ma lo standard professionale ed esecutivo deve essere assolutamente fuori questione. Per fortuna questo fardello di preoccupazione pesa in buona parte sulle spalle degli organizzatori, che hanno l'ingrato compito di metter il piatto in tavola. Che la loro sollecitudine giunga addirittura ad influenzare le scelte di repertorio? Per carità, in modo discreto, senza ledere l'autonomia degli artisti.... Solo qualche suggerimento qua e là, dietro le quinte ed a sipario ancora chiuso, anzi a cartellone ancora da compilare. Ed eccoci qui davanti all'ennesimo tentativo di sposare linguaggio jazzistico e la sempiterna tradizione della canzone italiana, uno dei tanti intendiamoci.... Apro subito una parentesi: anche volendosi inserire in questo filone, mai che si veda un tributo ad un certo Bruno Martino, autore di 'Estate', l'unico vero standard italiano entrato spontaneamente nel songbook jazzistico internazionale. Oppure a figure che nello scorcio dei primi anni '70 hanno tentato avventurosi e spontanei innesti tra i suoni del jazz elettrico che arrivava d'oltreoceano e le nostre tradizioni locali, addirittura dialettali. Mi viene in mente il nome di James Senese e dei suoi Napoli Centrale, giusto per rimanere nella stessa area.... Eh no, a quanto sembra per esser 'tributati' bisogna avere al proprio attivo qualche 'disco d'oro' o telegatto che sia, e possibilmente esser trapassati lasciandosi alle spalle una schiera di inconsolabili orfani musicali, possibilmente ora alquanto 'agèe' (cfr. prezzi di cui sopra). Ma qui l'inquadratura si sposta rapidamente dagli impresari (purchè non ci impartiscano lezioni di estetica con battute degne di un personaggio di Ionesco, vedi caso bolognese di qualche giorno fa) e dai musicisti di valore coinvolti (a cui vorremmo fraternamente ricordare che il talento disinvoltamente speso può rivelarsi anche una trappola micidiale: un esempio illustre, la parabola di Chick Corea). Anche per stornare l'accusa di sparare sulla Croce Rossa, veniamo a noi, il pubblico, l'ingrediente invisibile, ma essenziale, di questa precaria alchimia che è il jazz. E' evidente che gli innumerevoli 'tributi' al mondo della canzone nostrana facciano leva sull'elemento 'nostalgia'. Andiamo giù di piatto: dove canta la sirena della 'nostalgia canaglia' per la bella musica della giovinezza, li non c'è il jazz, musica geneticamente contemporanea, la cui più vera vocazione e fascino consiste nel camminare sempre su un filo. Diversamente incombe inesorabile e letale la 'musealizzazione' del jazz, che rischia di esser 'usato' dal pubblico più ampio come semplice 'tappezzeria del salotto buono' dell'anima, come già accade ormai da decenni nel campo della c.d. 'musica colta'. Che dire poi del connubio jazz/canzone italiana? Per me è quantomeno problematico già in llnea generale: l'agilità e la concisione essenziali nel jazz non si conciliano facilmente con una lingua che ha strutturali ampiezze e complessità. E qui parliamo dell'italiano relativamente limpido e classico dei nostri parolieri degli anni '50 e '60. Se poi veniamo ai testi verbosi e prolissi della canzone degli ultimi 20/30 anni, spesso molto 'parlata' e che si appoggia ad una lingua ormai largamente imbarbarita da incrostazioni burocratiche e gergali e costellata da neologismi pesanti ed artificiosi, l'impresa naufraga addirittura in partenza. Salvo ammettere che, anche per radicata e lunga tradizione storica che risale almeno ad un paio di secoli, per noi italiani 'musica' è tendenzialmente sinonimo di 'canzone' o, in senso più lato, di musica vocale. Ed il fenomeno trascende di gran lunga l'ambito della musica popolare, come testimonia la triste sorte di tanta affascinante musica strumentale italiana del '900. Provate a chiedere al nostro inclito pubblico 'colto' se ha mai sentito nominare certi Casella, Malipiero, Dalla Piccola, gente che ai tempi 'si dava del tu' con Stravinskij ed ora è completamente scomparsa dalle locandine delle sale da concerto. Volendo farsene un'idea, non resta che una laboriosa ricerca di registrazioni inglesi, con orchestre inglesi, e magari con direttore italiano espatriato, biglietto di sola andata. Viceversa il jazz, specie nelle sue manifestazioni più dinamiche e proiettate verso il futuro, è una musica eminentemente strumentale (sia pure con sotterranei legami e derivazioni dalla vocalità). A questo punto qualcuno potrà legittimamente concludere che nel Bel Paese la nostra musica sia destinata a rimanere tendenzialmente un fenomeno in qualche misura alieno e di nicchia: posso anche concordare, e la cosa non mi impensierisce minimamente, purchè la 'nicchia' non sia la cripta di una setta chiusa in sé stessa. Del resto, le cose migliori della nostra tradizione artistica e culturale ai loro tempi sono state invariabilmente bollate come 'pallose', 'intellettualistiche', 'estranee al Vero Sentire' del Paese, salvo poi rivelarsi ed esser celebrate poi a distanza di decenni come il suo specchio più fedele - anche se talvolta critico e tagliente. In tutta franchezza, poco mi pesa di non immergermi nella gran corrente del 'Nazional - Popolare': particolarmente con le sembianze che assume di questi tempi.... Scusino lo sfogo. Franco Riccardi
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Dopo l’esordio con l’estemporaneo progetto dedicato alla musica di uno dei mentori di Bill Frisell, il compositore statunitense Michael Gibbs, con “Ballet: The Music of Michael Gibbs” (RareNoise Records, aprile 2017) per il quartetto che vede leader il trombettista vietnamita / americano Cuong Vu si trattava di consolidare una precisa dimensione identitaria, completando sul piano della composizione quell’intesa esecutiva già apprezzata nel precedente lavoro. E la cifra prevalente che assume rilievo in questo “Change in the air”, titolo -auspicio ad un cambiamento socio - politico, in Usa e altrove, pare essere proprio la varietà di toni e temi portati in comune da ciascuno dei quattro componenti del gruppo. Senza eccessive variazioni al modulo stilistico che vede spesso la tromba di Vu e la chitarra di Frisell impegnate all’unisono nell’enunciazione dei motivi tematici in un contesto spesso libero da briglie formali, la musica assume sembianze continuamente in divenire a seconda della mano dell’autore. Si parte così da una ballad old fashioned dai toni confidenziali come “All That’s Left of Me Is You” del batterista Ted Poor per passare, a firma del medesimo autore, al clima sospeso e scuro della seguente “Alive”, uno dei vertici del lavoro, dove gli intrecci elettroacustici richiamano le atmosfere elettriche davisiane, per arrivare a “Lately” terzo contributo di Poor al disco, un tempo lento connotato dalle lunghe ed avvolgenti della tromba di Vu. Dalle parole del leader la conferma che alla base delle sessions c’è un diffuso impegno collettivo “L’unica cosa da leader che ho fatto è stato fare in modo che ognuno inserisse correttamente nel proprio calendario i giorni da dedicare alle prove e alle registrazioni. Quasi un lavoro di segreteria. Ma fin dall’inizio l’intenzione era che ognuno portasse dei pezzi sui cui lavorare tutti insieme. E’ un gruppo di persone con cui sapevo di potermi lasciare andare e fidarmi, perché tutti desideravamo creare la migliore musica possibile dalla nostra interazione”. Il bassista Luke Bergman firma la cangiante “Must Concentrate” che rappresenta l’approccio più vicino al rock del quartetto con un tema pacato che si increspa nello sviluppo fino ad aumentare i decibel della chitarra di Frisell. A Vu spetta la parte più complessa ed intellettuale, con una vena in bilico fra free ed avanguardia che dà il meglio nel fuoco bruciante di “March of the Owl and the Bat” fitto di sequenze di assoli serrate ed avvolgenti. Infine Frisell, che dichiarando di avere volutamente privilegiato la dimensione dell’accompagnamento a quella del solista, firma tre brani inconfondibili per chi lo conosce : la delicata ma straniante “Look, listen”, la bellissima “Long ago” cha ha il passo ed il respiro di quei suoi inni alla natura e alla storia americana che abbiamo imparato ad amare, e l’epilogo in forma di ballad rarefatta e rallentata di “Far from here”. Con “Change in the air” il quartetto di Vu, Frisell, Poor e Bergman dimostra di credere fermamente nella forza del collettivo, ispirandosi ai più fulgidi esempi della storia del jazz, fra i quali non può mancare il quintetto di Davis di metà anni sessanta. E con queste premesse non resta che augurare loro una lunga vita insieme. Andrea Baroni |
Keith Jarrett La Fenice
Keith Jarrett: piano
ECM 2601/02 Uscita: 19 ottobre 2018
Questa registrazione della straordinaria performance da solista di Keith Jarrett al Gran Teatro La Fenice di Venezia nel luglio 2006 vede Jarrett entrare in uno dei luoghi classici più famosi d'Italia e canalizzare il flusso di ispirazione per dare forma a qualche cosa di nuovo. Il risultato è una suite di otto pezzi creati spontaneamente e capaci di spaziare dal blues all'atonalità, a toccanti ballate. E' presente il brano"The Sun Whose Rays" dall'Opera The Mikado di Gilbert e Sullivan; mentre i bis sono il brano tradizionale "My Wild Irish Rose" (precedentemente registrato da Jarrett su The Melody At Night With You) e lo standard senza tempo "Stella By Starlight". Il concerto termina con una poetica versione di "Blossom" un brano di Jarrett.
L'uscita di « La Fenice » coincide con la 62 Festival Internazione di Musica Contemporanea della « Biennale di Venezia » che ha onorato, proprio quest'anno Jarrett con il Leone d'oro alla carriera. E' la prima volta che un musicista jazz riceve questo premio, precedentemente assegnato a compositori contemporanei tra cui negli ultimi decenni, Luciano Berio, Pierre Boulez, György Kurtág, Helmut Lachenmann, Sofia Gubaidulina e Steve Reich.
Tracklist: CD 1
CD 2
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Post n°4080 pubblicato il 21 Settembre 2018 da pierrde
Probabilmente potresti dedicare la tua vita all'ascolto di Sun Ra e a malapena riuscire a graffiare la superficie dell'immenso corpus musicale prodotto dal nostro. Ma è sempre bello sapere che c'è ancora di più da scoprire, strani angoli sconosciuti dell'universo Ra, anche pochi decenni dopo aver lasciato questo regno terreno. La ben fornita pagina di Sun Ra su Bandcamp rende più facile l'esplorazione ( https://sunramusic.bandcamp.com/ ). Caso in questione - questa sessione in trio della fine degli anni '70, che non era mai stata ristampata fino a questa primavera. Assolutamente grandi, sia guardando avanti che indietro ... ho pensato a Vijay Iyer e Duke Ellington mentre ascoltavo. Fonte: https://doomandgloomfromthetomb.tumblr.com/ Per i più esigenti ed inquieti fans del musico saturniano segnalo il sito http://communalsocieties.hamilton.edu/islandora/object/hamLibCom%3Ajsr_root dove è possibile trovare le fanzine dei fratelli John e Peter Hinds. Dal 1995 i fratelli Hinds hanno pubblicato le loro interviste con Sun Ra e membri della sua band, l'Arkestra, nella loro rivista Sun Ra research . Questa raccolta presenta versioni digitali complete e testuali dei numeri originali di Sun Ra Research e un singolo numero (tutti pubblicati) di Sun Ra Quarterly . |
Post n°4079 pubblicato il 20 Settembre 2018 da pierrde
La Resonance Records ripubblicherà due album, Conversation e Iron Man, che Eric Dolphy registrò per Douglas Records nel 1963. La pubblicazione includerà anche più di 80 minuti di materiale inedito delle stesse sessioni che è rimasto nel cassetto per tutti i 55 anni passati da quando è stato registrato . L'album sarà intitolato Musical Prophet: The Expanded 1963 New York Session . Verrà pubblicato in vinile, tre album, il giorno del Black Friday, con una versione più ampia nel gennaio 2019. Le registrazioni comprendono il sestetto principale di Dolphy, il trombettista Woody Shaw, il vibrafonista Bobby Hutcherson, i bassisti Richard Davis ed Eddie Khan e il batterista JC Moses. Su alcuni dei brani il gruppo diventa un nonetto con i sassofonisti Sonny Simmons, Prince Lasha e Clifford Jordan. Ci sono anche diversi brani di Dolphy e Davis che suonano in duo. Una versione alternativa inedita del "Mandrake" di Dolphy è disponibile su Soundcloud. La versione includerà anche un opuscolo di 96 pagine.
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Post n°4078 pubblicato il 20 Settembre 2018 da pierrde
Il 2 novembre, l'etichetta di Manfred Eicher pubblicherà un integrale galattico: l'intero universo dell'Art Ensemble di Chicago in 21 CD, con un opuscolo di 200 pagine. ECM , l'etichetta che l'anno prossimo festeggerà i suoi cinquant'anni, non ha mai sentito parlare della crisi del disco, per non parlare della scomparsa del CD, tant'è che l'annunciato box "The Art Ensemble Of Chicago and Associated Ensembles " è un vero evento discografico perchè nel cofanetto sono compresi non solo gli album essenziali dell' Art Ensemble of Chicago (" Nice Guys "" Full force "" Urban Bushmen "" The thirth decade " ...), ma anche i dischi che i membri del gruppo hanno inciso in altre formazioni e con altri leader, sempre naturalmente per l'etichetta bavarese. Troviamo cosi' Lester Bowie ( "All the magic!", "Avant Pop" ...), Jack DeJohnette New Directions ( "in Europe "...) Roscoe Mitchell ( "Nine To Get Ready", "Bells for the South Side" ...), Wadada Leo Smith ( "Divine Love") e Evan Parker Transatlantic Art Ensemble ( "Boustrophedon") ... Attenzione edizione limitata! Resoconto dettagliato nel n ° 711 di Jazz Magazine , in edicola alla fine di ottobre.
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Post n°4077 pubblicato il 19 Settembre 2018 da pierrde
Nozze d'argento per l'Atelier Musicale nel segno del jazz, della classica e dei suoni contemporanei: sabato 6 ottobre al via l'edizione n° 25 con il concerto del settetto di Paolo Tomelleri |
Post n°4076 pubblicato il 19 Settembre 2018 da pierrde
Il 2018 è stato un anno importante per il jazz: è stato riconosciuto dallo Stato per la sua rilevanza culturale.
Intervista a Paolo Fresu di Nino Dolfo, Corriere della Sera/Brescia Non vorrei alimentare il pessimismo, ma con un pizzico di sano realismo mi pare di poter dire che al governo pentafelpato non interessi una cippa emanare i decreti attuativi... |
Post n°4075 pubblicato il 17 Settembre 2018 da pierrde
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Post n°4074 pubblicato il 16 Settembre 2018 da sandbar
Tre nuove pubblicazioni in contemporanea per il collettivo/associazione Improvvisatore Involontario, una realtà nata nel 2004 per iniziativa del batterista Francesco Cusa (già protagonista qualche mese fa del notevole "From Sun Ra to Donald Trump", con Atti, Graziano ed Evangelista) e dei chitarristi Paolo Sorge e Carlo Natoli, che da Catania si è affermata sul panorama nazionale ed internazionale offrendo strumenti diretti ed innovativi per la produzione e distribuzione di proposte musicali nel segno dell’eclettismo e di una irrequieta curiosità. Oltre a dare sviluppo alla principale creatura di casa, l’orchestra d’improvvisazione Naked Musicians diretta da Cusa, l’associazione, nel corso degli anni, ha offerto ospitalità ad un discreto numero di progetti che costituiscono oggi un significativo campionario del sottobosco del jazz nazionale. Le recenti uscite, a nome del Glenn Ferris Italian Quintet, del Late sense Quartet e del S.d.b. project, arricchiscono il catalogo con opere che si collocano fra la tradizione e l’innovazione, e testimoniano la vitalità di una musica che, fra mille stenti e problemi, si ostina caparbiamente ad essere suonata e divulgata. Beninteso, non siamo al cospetto di capolavori sconvolgenti o di capitoli imperdibili della storia del genere, ma di opere che manifestano progettualità, amore artigianale e non sono prive di alcuni guizzi di creativa follia nella propria realizzazione. Insomma, quello che può convincere l’appassionato a dedicare un ascolto non prevenuto. Dei tre il lavoro più accattivante e comunicativo è quello del quintetto italiano (Mirco Mariottini al clarinetto, Giulio Stracciati alla chitarra, Franco Fabbrini al basso e Paolo Corsi alla batteria) del trombonista statunitense Glenn Ferris, uno che in carriera ha spaziato da Frank Zappa a Tim Buckley e da Stevie Wonder a James Taylor, e che qui mette il proprio estro compositivo e le note ironiche e profonde del proprio trombone al servizio di una musica dalla forte componente ritmica (subito evidente nella title track “Animal Love”, imbastita su un robusto groove) , ma non priva di sfumature e profondità, evidenziate in particolare dall’originale impasto timbrico fra i due fiati e la chitarra bluesy di Stracciati, in evidenza nell’unica cover del disco, una versione straziante di “St James Infirmary”. Da segnalare anche le due composizioni originali di Mariottini “Five in China”, sospesa in un intrigante mistero strumentale, ed il tema arioso di “W Ernest” a firma del bassista Franco Fabbrini. La presenza del trombone in veste di ospite di Massimo Morganti costituisce il motivo di collegamento con “Meetings….” esordio del Late sense quartet (Gaetano Santoro al sax, Edoardo Ponzi al vibrafono e marimba, Francesco Marchetti al basso e Mauro Cimarra alla batteria). Il quartetto cavalca il confine fra una solida impostazione bop e forme maggiormente propense ad un linguaggio libero, omaggiando Bill Evans con le cover di “Interplay” e “Nardis” entrambe riarrangiate dal batterista Cimarra, e dando il meglio nei pezzi a tempo lento come “Ballad for my Valentine” e “Come una rima semplice” dove il vibrafono crea una spazialità di fondo ideale per gli assorti dialoghi fra gli strumenti a fiato. Non mancano pezzi più movimentati come “Broken blue” o l’arrembante ghost track che chiude il disco, né si fa a meno di quel pizzico di elettronica a cura di N2B , chiunque o qualunque cosa sia, che spezia ulteriormente una proposta ricca di tanti umori diversi. Un solo di pianoforte introduce invece “Red and blue”, opera di un quartetto diretto dal giovane, ma già ricco di esperienze, contrabbassista Simone Di Benedetto, che viene affiancato dal sax alto e clarinetto di Achille Succi, dal pianoforte di Giulio Stermieri e dalla batteria di Andrea Burani. In programma un ampio catalogo di influenze e suggestioni che si combinano in una dimensione paritaria fra i quattro musicisti: si alternano echi di Ornette (“The big wuedra in the sky” e “Bei denti ‘sto demone”), spunti di provenienza nordica ed accostamenti classici, dialoghi improvvisati e l’ estroversa comunicativa della title track, a sottolineare l’ attenzione per le componenti tematiche e melodiche. Una prova in raro equilibrio fra scrittura ed improvvisazione, dove la dinamica collettiva lascia spazio ad incisive performance in solo del leader, dei fiati di Succi e del pianoforte di Stermieri che imprimono carattere ed incisività alle articolate composizioni di Di Benedetto. Un lavoro ed un gruppo da non trascurare. Andrea Baroni
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