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Ci sono profili che non si possono definire. O, almeno, non con le parole di tutti i giorni.
Per esempio, non posso dire nulla di queste rocce, perchè esse se ne stanno in disparte, non danno segni di vita ed il senso che esse suscitano in me, quando l'acqua vi frantuma il balbettio dell'onda, il moto marino e la furia del vento, è quello di impotenza e di dannazione. Certo, potrei definire il profilo di queste rocce come un profilo duro e salato, ma mai dir di loro che sono belle. Anzi, a camminarci sopra, senza sandali, non mi viene proprio il senso del bello; piuttosto, dopo alcuni passi, provo un dolore infinito a ridosso delle parole che l'unico senso che resta fra i denti è una imprecazione soffocata a stento.
Dicevo i profili, queste giovani linee che contengono la vita e la morte degli uomini e delle cose. Profili di donne e di uomini distesi al sole sulla spiaggia sottostante, anch'essi indefinibili, profili conficcati sulla sabbia arroventata dal sole senza nessuna scadenza impressa sulla fronte. Eppure, neanche l'untuosa perfezione di quei corpi eregge un monumento voluttuoso alla bellezza, poichè in quei profili umani ci sono oli e sudori che rigano senza significato i giorni speciali dell'ozio e che finiscono per allagare il tempo silenzioso della rinascita e del rinnovamento.
Cecilia se ne sta seduta proprio sopra una di queste rocce. Ha il sole incorporato nel profilo, ma grazie ai miei occhiali da sole all'ultimo grido (Ahhhhhh!) io la vedo come se ci fosse disegnato un tramonto alle sue spalle, tanto che le parlo di un profilo tutto fuoco e fiamme.
Che a Cecilia non importi nulla dei miei ragionamenti è fin troppo evidente; rimane sulle sue e non fa una piega agli stessi. Del resto, a tredici anni ha altro a cui pensare.
Innanzi tutto deve scrivere in qualche posto i suoi pensieri, mica li può abbondanare a destra e a manca su una isola che non sa cosa farsene dei pensieri di una ragazzina, indaffarata com'è a sopravvivere nella sua naturale prigione, poggiata tra il cielo ed il mare.
Per questo Cecilia ha un quaderno su cui annota ogni tanto una piccola frase.
Che chiamare una piccola frase "Cecilia, Roma, prossima estate" è già una esagerata concessione di fantasia alla teoria concisa della troppa sintesi e del solo essenziale.
Comunque Cecilia non parla. Cecilia scrive. Mica poesie o versi struggenti velati di bianca e infantile malinconia, ma concetti e pensieri impegnati, stringati come certi sms in cui vengono frullati le vocali e le consonanti superflue.
Cecilia non parla, ma emette rutti di inchiostro che sembrano dispacci di una guerra di cui nessuno si accorge.
Cecilia scrive e sorride. La piccola normanna, dentro cui scorre la lava del vulcano taciturno, scrive i suoi pensieri in un diario giallo. Scrive pensieri. Uno dopo l'altro, numerati progressivamente, senza un profilo d'autore che dia allo scritto un senso poetico ed infinito.
Scarni graffi sulla carta, sognando per quei pensieri migliore vita e migliore fortuna; una lista di cose da non sognare ad occhi aperti, ma da fare al più presto, magari oltrepassando il confine delle paure e delle timidezze.
1) Questa isola è sola.
2) Cecilia vuole partire.
3) Non ci vede bene. ( Ma parla di me?)
4) Troppi schizzi! Domani mi metto sù.
5) Alessandro, Roma, aspettami.
....
Per fortuna, che Cecilia dopo un pò si alza e strappa la lista, lanciandola verso di me dopo averla appallotolata per bene. Io che l'ho tenuta in braccio nel tempo delle maree e delle lune piene raccolgo quella pallina e le ridò vita e candore. Lei ride vedendo che sto leggendo i suoi pensieri, la sua ennesima lista.
Con complicità, le sorrido, mentre un aereo sfreccia nel cielo trascinandosi dietro i nostri occhi viaggiatori.
Curioso, rileggo la lista e penso che per i profili del mondo bisognerebbe usare solo l'indicativo presente, mascherando con una risata il tanto famigerato futuro imminente.
D'altronde, se guardo a lungo il profilo del mare mi accorgo che all'orizzonte
ci sono tantissime vele, parole che vorrebbero prendere il largo, sfidando i tempi incerti del congiuntivo e del condizionale.
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