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« LA MALATTIA DELL'ISLAMANCHE QUESTO E' L'ISLAM »

A CHI TOCCA DIRE A FARE

Post n°216 pubblicato il 05 Maggio 2012 da diefrogdie
 

A CHI TOCCA DIRE E FARE

Inermi. In chiesa a pregare, disarmati, fiduciosi nel prossimo e aperti alla spe­ranza come solo gli universitari in un Pae­se in tumultuoso e caotico sviluppo pos­sono essere.
Eppure, la furia del terrori­smo che si dichiara ispirato a un’altra re­ligione non ha esitato a colpire durante la Messa degli studenti di Kano, Nigeria. Quanto sia esecrabile un simile attacco, quanto dolore susciti, quanta solidarietà fraterna e indignazione politica debba sollecitare è stato detto per una volta con confortante ampiezza anche in un’Italia a volte distratta nel rimirare il proprio ombelico.

Per questo merita soffermarsi su un a­spetto non sempre illuminato, alla radi­ce del fondamentalismo islamico – pur inquinato e strumentalizzato anche da altri interessi, spesso di segno economi­co – che dichiara guerra ai cristiani, in quanto tali e come rappresentanti di un altrettanto odiato 'Occidente'.

Proprio ieri, il pastore americano Terry Jones – già reo di aver bruciato nel mar­zo del 2011 una copia del Corano – ha ri­petuto il suo censurabile gesto in Flori­da.
Nell’Occidente considerato 'nemi­co' dai fanatici nigeriani di Boko Haram la condanna è stata unanime, l’isola­mento del provocatore totale. Così come sotto inchiesta sono i soldati americani che hanno distrutto copie del libro sacro all’islam in Afghanistan.

La sensibilità per le violazioni ai diritti dei cittadini mu­sulmani è così accentuata in Europa che qualcuno accusa il Vecchio Continente di usare in casa propria due pesi e due mi­sure rispetto alla tradizione cristiana fon­dativa.

Senza sottovalutare il valore dei simboli religiosi, e l’offesa che reca ai fedeli con il loro disprezzo, il rogo di un volume ri­mane assai meno grave dell’uccisione a sangue freddo di esseri umani raccolti in preghiera.
Ma per le vittime di domeni­ca, come per quelle in Iraq, in Pakistan, in Egitto... non si vede quella censura uf­ficiale, netta e senza ambiguità che ci si aspetterebbe dal mondo musulmano.

L’estremismo di chi usa la violenza in no­me di Dio è certamente un’aberrazione che nulla ha a che fare con la religione, come Benedetto XVI non si stanca di ri­petere.

Va quindi evitato l’errore capitale di ad­dossare all’islam la responsabilità dei massacri.
Ma non si può nemmeno mi­nimizzare, di fronte al dilagare di episo­di di persecuzione anti-cristiana in Pae­si a maggioranza o forte presenza mu­sulmana, il ruolo che istituzioni e perso­nalità religiose, politiche e culturali pos­sono svolgere.

Sappiamo bene come il terrorismo si possa limitare e anche scon­figgere facendo terra bruciata intorno a esso. Se non si contrasta la propaganda, se non si condannano gli attentati come semplicemente sbagliati e odiosi, se non si toglie spazio ai proclami degli imam incendiari, se non si oscurano i messag­gi di addio dei kamikaze dipinti come martiri di una causa giusta, se non si in­terrompe il sostegno economico ai grup­pi e alle moschee dove si predica l’osti­lità verso le altre fedi, non si farà un solo passo avanti.

Dietro il reclutamento della manovalan­za del terrore ci sono il contagio di al-Qaeda, il mito distorto di Benladen, le condizioni sociali ed economiche, l’idea di una rivalsa contro i presunti sfruttato­ri coloniali.
Tuttavia, il clima in cui pro­spera il morbo fondamentalista è quello in cui si predica il wahhabismo (la cor­rente sunnita più radicale), la sharia co­me unica modalità di gestione dei rap­porti politici e interpersonali, il discredi­to nei confronti degli altri culti in una concorrenza per le anime che rifiuta l’i­dea di libertà di coscienza (come dimo­strano le leggi sull’apostasia).

Nulla di tutto questo è di per sé un inci­tamento alla violenza aperta, ma ne può essere l’anticamera. Ecco perché «un mondo nel quale alla dignità di ogni per­sona viene accordato il dovuto rispetto», un mondo in cui il perdono si faccia stra­da «nei dibattiti internazionali sulla riso­luzione dei conflitti» – secondo l’invito lanciato ieri da papa Ratzinger alla Pon­tificia accademia delle scienze sociali – deve vedere non lo scontro di civiltà, ma un franco e onesto dialogo animato dal­la sincera volontà di tolleranza.

Ricor­darlo con decisione a grandi e piccoli Pae­si musulmani, ispiratori e finanziatori dell’espansione globale dell’islam, è un dovere a tutela delle minoranze inermi che fanno quotidianamente le spese di u­na perversa lettura dei precetti religiosi.

 
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