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Riflessioni, meditazioni... la via dell'accettazione come percorso interiore alla scoperta dell'Essenza - ovvero l'originale spiritualità non duale di Claudio Prajnaram

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UPAYA (MEZZI ADATTI)

Post n°2392 pubblicato il 19 Giugno 2014 da Praj
 

Nell'accettazione reale, anche le opinioni, fatte di "si" e di "no" (ed eventuali varianti e sfumature), possono emergere senza attaccamento ed essere elementi creativi nel grande Gioco della Vita (Leela).
Pure le diversità esteriori, nonostante i temporanei ruoli apparenti - in cui però non c'è attaccamento e identificazione - si percepisce quell'unità di fondo che terrà sempre alla periferia del nostro essere l'estemporaneo e occasionale conflitto. E' la Comprensione di essere attori e co-autori del misterioso Leela.
Nell'accettazione reale e profonda c'è quel naturale buon senso derivante da una corretta declinazione di una essenziale intuizione spirituale. Senza una elaborazione intelligente dell'insight che "noi non siamo agenti personali", si resta appesi ad un astrazione sostanzialmente nichilista, un limbo anaffettivo e, fondamentalmente, si va a sguazzare in una sorta di insensibilità quasi disumana. A certe approssimative interpretazione non dualiste sembra manchi quella maturazione di un percorso che, invece, lo Zen ha perfettamente compreso e che illustra magistralmente nei 10 Tori.
La via della gentilezza derivante dall'accettazione reale, secondo me, è proprio espressione di una forza maggiore, di una visione più ampia di quella che sembra avere la via della spada, della discriminazione mentale. L'amorevolezza gentile contiene elementi di forza che il mero cammino discriminativo forse non ha. Il suo valore è più profondo perché si basa sul lasciare la presa senza contropartite: cosa che invece la comprensione intellettuale richiede solo alla fine. C'è da dire però che, realizzate appieno, entrambe le vie portano allo stesso punto unitario.
La via della spada per alcuni - forse molti in occidente - data la loro strutturazione psicologica mentale, può essere determinante, probabilmente più congeniale.
Ritengo comunque che un opportuno dosaggio di una e dell'altra, a seconda delle situazioni, possa essere molto efficace, sempre che si abbia una disposizione fiduciosa e aperta verso colui con cui si sta condividendo l'insegnamento e che ha realizzato ciò di cui parla.
L'errore, secondo me, è credere che la Via della gentilezza, non possa scuotere profondamente. E', invece,un mezzo idoneo (un Upaya, direbbero i Buddhisti) che può essere portatore di grandi trasformazioni interiori.
Un gesto o un messaggio gentile e "giusto", dato al momento "giusto", può essere davvero una "bastonata" efficacissima, inaspettata, imprevedibile per l'ego sulla difensiva, se veicola la freccia di un possibile e profondo insight. E' chiaro che è solo una possibilità; così come quella che offre il metodo della cosiddetta spada.
Ripeto: ognuno va per la strada che gli sembra più consona alla sua natura mentale e psicologica. A volte, però, mi vien da pensare che la strada che un'ego rifugge, in realtà, sia proprio quella che teme di più, che avverte proprio come risolutiva. Va anche detto queste dispute fanno parte di un dibattito secolare: non s'inventa niente.
Per cui, non ha molto senso contrapporle, negando l'una esaltando l'altra. Quel che conta è che facciano crescere e conducano a Casa. Altrimenti, entrambe restano effimeri e vuoti veicoli e trastulli per la mente, cavalcate da un ego che la fa da padrone, alla faccia del Riconoscimento di Sè.
Le spade usate da alcuni Maestri sono solo sfide alla mente dell'ascoltatore. A me piacciono quelle spade. Perché no, se aiutano a disilludere da tanti fraintendimenti? L'importante è che anche la Via dei cosiddetti metodi "amorevoli" non sia complice, indulgente, strumentale ai giochi dell'ego di nessuno. Per cui, anche un "gentile" non molla mai su quel punto, anche se lo fa con l'apparente guanto di velluto. Altrimenti, se accondiscende, è fuorviante e niente affatto efficace riguardo al Riconoscimento di quel che Sei. Non è comunque la forma (metodo, strumento) in cui si giunge a disidentificarsi dal senso dell'ego, ma è il realizzarlo realmente ciò che conta. Diceva il vecchio Mao Tze Tung: non importa che colore abbia il gatto, ciò che conta è che acchiappi il topo.
Come si fa a non capire che si sa che sono complementari, che non c'è profumo senza la puzza, ma che è naturale per l'essere umano "preferire" il profumo alla puzza? Come è possibile che non trovi che ciò sia sensato? Una cosa è non essere identificati, attaccati al corpo, alle emozioni, un'altra è fregarsene. La prima è saggezza, la seconda è stupidità.
Considerandolo il corpo il tempio del suo essere essenziale, mi sembra giusto prendersene cura, senza derive maniacali e narcisistiche. Negare il corpo è sempre stato l'obiettivo di visioni oscurantiste, innaturali... miopi.




 
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