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Leopardi

Post n°1504 pubblicato il 16 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

Leopardi

Come solevi tu, splendida Atene,
Quando ciascun sentia l’eterno rezzo,
Donne appellar ne’ tuoi famosi giri,
Che oscure in vista e nel pensier serene
Spargean su l’urne a prezzo
Larga merce di pianti e di sospiri;
Così l’Italia, benchè onor deliri,
Sovente intorno ad ogni tomba aduna
Vati che piangon l’itala fortuna
Come turbo d’usanza avvien che spiri;
Però talor d’un’alma inerte e bruna
Canta la folta schiera,
Ed a sè fama spera
Tuonando alte parole; intanto chiede
Un volger d’occhio all’orgoglioso erede!

E spregiata ne va quella gentile
Che venne dalle rote armoniose
All’umano intelletto infioratrice;
Non è non è costei fatta sì vile
Nè per bugiarde cose
All’esser suo celestial disdice!
E mentre or lieti or mesti canti elice
Da’ nostri petti egra follia di loda,
Mentre garrula età bestemmie snoda
E divelle virtù fin da radice,
Sol per questa gentil parmi che s’oda
Magnanimo valore;
Però tutta dolore
Tocca d’un piè questi funerei marmi,
E mi sorride, e mi risplende i carmi.

Salve, o fedel, che di tua nave a prua
Sol Virtù candidissima volesti,
La qual ti scorse ove non son confini;
Certo su l’ultimar dell’ora tua
Non co’ flagelli infesti
Rimorso punitor ti stette a’ crini,
Nè mai Giustizia agli occhi suoi divini,
Per te venduta, delle man’ fe’ velo;
Nè simulata prece ergesti al cielo
Con gli avidi pensieri in terra chini;
Te sfavillante d’amoroso zelo
Colse l’ora suprema,
La tua parola estrema
Era amore, e dal corpo onde le dolse
Aprendo un riso l’anima si sciolse.

E per lo mar dell’essere infinito
Seco portò quella potente fiamma
Che penetrava ogni riposto loco,
E sì forte allumò l’etrusco lito,
Che non lasciava dramma
Che negl’itali cor’ non fosse foco;
E ben potea, poi che le parve gioco
Scorrer l’antica e la futura etate,
Potea per queste lande inseminate
Svegliar gli antichi lauri a poco a poco.
Così novellamente inghirlandate,
Novellamente vive
Fosser le nostre rive,
E l’aura nostra, rinfrescando il volo,
Ne portasse l’olezzo all’altro polo!

Queste dolcezze, innamorato Spirto,
Pregavi tu, quando incurvasti il dorso
Sovra pagine eterne e faticose;
E in quella età che alletta al vago mirto
Un cor di tigre o d’orso,
Sole spine cogliesti anzi che rose;
Quando la notte raddormìa le cose,
Quando il Sole infiammava l’Oriente,
Rimoto ognor dalla volgare gente,
T’immolasti all’amor che in te si pose;
E poi che furo in te le forze spente
Ti rimanea sostegno
La virtù dell’ingegno,
E innanzi morte veleggiasti verso
Un mondo incomprensibile e diverso.

Così che la gelosa Invidia scura
E l’Ira pazza ch’aspre voci abbaia,
E amor del peggio, e squallido Sospetto,
E quella esizial Discordia impura
Ch’ogni cosa dispaia
Posero il campo al tuo paterno tetto;
E tu sgombravi, ed esule negletto
Di mite povertà spregiasti l’arti
E custodivi in solitarie parti,
Sola ricchezza, il tuo sdegnoso petto;
Salve, o spirto fedel, che ti diparti
Da questa poca terra,
Ove tempeste e guerra
Il vizio move, tien quel segno a strale
Ogn’intelletto che si vesta d’ale!

Or umil erba il tuo sepolcro cerchia,
Mentre l’età di cieche voglie ancella,
A vento d’avarizia si commise;
Pur nella tomba che la tua soverchia
Declinò l’aurea stella
Ravvivatrice del figliuol d’Anchise.
Ti dorme accanto que’ che un dì s’assise
Presso la riva, e fe’ dall’onde fuori
Veramente apparir Ninfe e Pastori
D’amor cantando in mille dolci guise.
Ahi sopra l’urne povere di fiori
Sol fa mesto lamento
Tra foglia e foglia il vento,
Nè paterno sospir vola ove giaci
Nè sorella ti die gli ultimi baci!

Ne te di sculti marmi o di ghirlande
Onorerà la prona Italia nostra,
Ad altri numi che a Virtute avvezza;
Però più luminoso in tutte bande
Il tuo nome si mostra,
Della sciagura tua tanta è l’altezza!
Ahi ben un giorno, con gentil vaghezza
Memore tomba all’Alighier pregavi,
Perchè l’opre santissime degli avi
Fossero a noi rinnovatrice orezza!
A te le rime libere e soavi
Fian monumento eterno.....
Oh dal labbro materno
Le apprenda il pargoletto e la fiorita
Guancia colori d’animosa vita!

Pur come alla notturna e dormente ombra
Succede l’alba e il bianco cielo indora,
E armonioso a lei succede il Sole,
E al cieco verno che la terra ingombra
Quella stagion canora
Coronata di vergini viole,
Così la verità succeder suole
All’ampia notte de’ terreni danni
E destinata col venir degli anni
Di barriera mortal mai non si duole;
Tale o gentil che dopo tanti affanni
Posi in riva al Tirreno,
Se mai giorno sereno
Vedrà l’Italia, allor più chiaro assai
Dalle ceneri tue rinascerai.

E tu Canzon, portando il vivo nome
Te n’andrai pellegrina
Ove il desio t’inchina,
Come stella che aggiri al mondo intorno
E dovunque sfavilli annunzî il giorno

Giuseppa Guacci Nobile (1807-1848)
giugno 1838

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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