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Messaggi del 17/11/2014

Isotta Nogarola

Post n°646 pubblicato il 17 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 
Foto di valerio.sampieri

Isotta Nogarola, Veronese

Se vera celebrità si può dir quella che, conceduta una fiata da encomiatori contemporanei, non vien più meno nel lungo volger dei secoli, chi più ne ottenne di questa fanciulla dottissima, nata in Verona sul principio del secolo xv? Le scienze e le lettere aveano avuto costante asilo in casa sua, e uomo grandemente addottrinato era il suo genitore Leonardo, e cultissima una sua sorella per nome Ginevra; ma Isotta era l’astro della famiglia più risplendente. Accoppiava essa a grande sapere, esemplarità di costume e bellezza della persona, e la unione di tante doti serviva a conciliarle universale riverenza ed affetto. Fu suo educatore il celebre Matteo Bosso, che molto usava in sua casa, e che, fattosi religioso, volle cessare dall’avvicinarsele a fine che ’l rigore del costume non trovasse inciampo nelle grazie della discepola. Divenuta Isotta ornamento delle assemblee letterarie, sostenne in esse pubbliche dispute intorno a quegli studi ch’erano coltivati al suo tempo, ed una spezialmente riuscì molto solenne nell’anno 1451. Compose un bellissimo Dialogo in difesa del gentil sesso, pubblicato da Aldo nel 1563. Grande encomio di lei fece Ermolao Barbaro; scrisse l’elogio suo in versi latini Mario Filelfo, figliuolo del borioso Francesco; Costanza da Varano la amava e teneala a sua consigliera; ed il gran cardinale Bessarione fu a bella posta a Verona per lo piacere d’intrattenersi seco in conversazione. È incerto l’anno della sua morte, che alcuno segnò al 1466 quando contava circa 48 anni. Dopo che Scipione Maffei si prese cura di raccogliere le sue notizie, altri valentuomini, come il padre degli Agostini, il Mittarelli, il Crevenna, furono lieti di poter pubblicare qualche suo opuscolo; e dobbiamo al Tiraboschi e ad altri storici la notizia, che le biblioteche di Modena, di Milano, e la Regia di Parigi serbano tuttavia scritti inediti d’Isotta; per lo che è da far voti che una qualche sua concittadina, oggidì fiorente per ispirito e per cultura, divenga raccoglitrice di tali scritti, e onori sè e la patria arricchendone la repubblica delle lettere.

Tratto da: Alcuni ritratti di donne illustri delle provincie veneziane (1826) di Bartolommeo Gamba.

Isotta Nogarola, nata a Verona in data prossima al 1418? e morta nel 1466 nacque da Leonardo Nogarola e Bianca Borromeo.

Il sito Italian Women Writers riporta i suoi seguenti testi:

1. Nogarola, Isotta; Venini Franco, Elisabetta, ed., Chi abbia maggiormente peccato Adamo od Eva (Vicentini e Franchini, 1851).

2. Nogarola, Isotta; King, Margaret L., 1947-; Robin, Diana Maury, ed., Complete Writings: Letterbook, Dialogue on Adam and Eve, Orations (Chicago: University of Chicago Press, 2004).

3. Nogarola, Isotta, "Epistula ad Ludovicum Fuscarenum senatorem" (Venezia: Ex typographia Fentiana, sumptibus praefati Monasterii, 1779) in Bibliotheca codicum manuscriptorum Monasterii s. Michaelis Venetiarum prope Murianum una cum appendice librorum impressorum seculi XV.

4. Nogarola, Isotta, Isotae Nogarolae veronensis Dialogus, quo, utrum Adam vel Eva magis peccaverit, quaestio satis nota sed non adeo explicata, continetur (Venezia: Aldus, 1563).

5. Nogarola, Isotta, "Sonetti" (1799) in Rime per le nozze dei principi Conti Mattei p. 199.

6. Nogarola, Isotta; Nogarola, Angela, ?-ca.1436; Nogarola, Ginevra, fl. 1436; Abel, Jeno; Apponyi, Sándor, gróf, 1844-1925, ed., Isotae Nogarolae Veronensis, opera quae supersunt omnia (Vindobonae: Gerold et socios, 1886). Questo testo è reperibile all'indirizzo http://artflsrv02.uchicago.edu/cgi-bin/efts/textdbs/iww/documentidx.pl?ftext_code=A0347-T001+OR+A0348-T001

L'immagine del titolo è costituita dal frontispizio di Isotae Nogarolae Veronensis, opera quae supersunt omnia (Vindobonae: Apud Gerold et socios, 1886).

 
 
 

XIII. Er Quarto de l'Impiccati (2)

XIII. Er Quarto de l'Impiccati (2)

8.

Seguitate. - A sta nova, fu 'n inferno:
perché, capischi, doppo la battuta
de la squadra volante de Piperno,
che quarche mese prima era accaduta,

presi li nummeri, era uscito er terno!...
Mo st'antra impiccatura arisaputa,
tutte le genti in quanto più poterno,
curzero a vede er sito e la vieduta.

E l'amante de quelo!... poveraccia!
Sola, piangenno tra sta precissione,
chi la burla, l'inzurta, e chi la caccia!

E immagina si che disperazzione
ner vede in cima d'una perticaccia
er su rigazzo amato a pennolone!

9.

Ne pennevano tre inzecchiti ar sole
e lardellati da li gran calori,
giranno ar vento come bannerole,
neri, co l'occhi e la lengua de fori.

E lì desotto quattro donniciole,
sminuzzanno er fattaccio e queli amori,
cercavano, pijannose a parole,
er nummeretto bbono in tra st'orori!...

Quela povera fija vergognosa...
(ch'è matre!...) se dispera sconzolata,
e qua s'aricomanna e là furiosa

s'arivorta sentennose inzurtata...
Poi signozzanno fugge pavurosa,
ronzanno come n'anima addannata!

10.

E sente avvicinasse le zampogne
che a queli metitori fanno core...
J'urla appresso er fattore che li smogne
trafelati e gronnanti de sudore!...

Mostreno cenciolosi le vergogne,
'mbriacati dar tajo e dar fetore
de l'acqua ch'aribolle pe le fogne
come piommo squajato, e che li more!...

Chi trema da la febbre e chi biastemmia
ar luccicà che fanno li serrecchi (3)
ar sole che l'abbrucia e li vendemmia!

Passeno... e avanti, avanti, indimognati
quasi invidianno sti tre corpi secchi,
cibbo da farchi e già mezzo sventrati!

11.

Lei li sente!... e cuprennose la faccia,
tra le ferci s'intana come 'n gatto...
E la gentaja, pe la gran callaccia
che s'arza piomma, con er terno fatto

ritorna a casa... Ma sta poveraccia
vo difenne quer corpo scontraffatto;
mo esce a urlà a li farchi e je li scaccia,
mo de tiraje 'n sasso je fa l'atto...

Passa na ronna e fugge ar nisconnijo,
dar batte che fa er core soffocata...
La ronna passa, e ar trave dà de pijo

e cerca come matta de sterrallo!
Vo daje 'n bacio, vo che sia accurtata
quela berlina infame e sotterrallo!

12.

Mo... chiude l'occhi e penza 'n tantinello
a quela notte!... Ar tribbolà de questa,
co la pavura d'incontrà er bargello,
bbono de faje puro a lei la festa!

Ma la vedi? accimà pe no stradello,
e a gni foja che casca, lesta lesta
annisconnese er corpo suo de quello
e cropillo de sterpi o co la vesta?...

La vedi?.. aripijallo su le braccia?
e cento vorte d'arifà quer gioco?
E si un rogo je puncica la faccia,

penza: "È 'n bacio!..." Fa 'n urlo e, a poco a poco,
casca sfinita... ma carezza e abbraccia
quer corpo freddo! che a lei pare foco!! -

13.

Bravo er poveta!... Bene, sor Grinzetta!
Annate pe licenza. - Eccheve er vino.
Er Sotto ve saluta e v'arispetta...
Ć'avete intenerito un po er cantino!...

- E a notte cupa, urlanno na ciovetta,
diede l'urtimo bacio a quer meschino!...
Co du filagne fece na crocetta
e je la ficcò in tera lì vicino...

Arivò sola a daje sepportura!...
e poi la ricuprì de rame e fiori...
E mo, come poi vede, ancora dura

l'usanza de buttà lì fiori e rame,
o un sasso, in der passà, da chi lavori
pe le paludi o pascoli er bestiame!

14.

Già, se capisce, a queli tempi là,
pizzicato ch'avevi l'omo in fallo,
la Giustizzia sapeva quer che fa
e ce metteva un requie a giudicallo!

Mo s'à da fà ammuffì, s'à da strazzià!...
Ma bastava na vorta d'odorallo
pe faje er su riscritto!: "Da impiccà,
co l'ajuto der cielo, callo callo"!

- Ma l'ommini so ommini, cristiani,
e deve aggiudicalli la nazzione.
Una volta, capisco, erimo cani!

- Bravo Nino! - E ar poveta un gotto e cormo!
E a chi je puzza la Custituzzione,
à da morì ammazzato a regge l'ormo!

Note:

3) Serrecchi, che sono precisamente i ferri coi quali si miete il grano, comunemente per manifesto errore chiamati falci. Il solo fieno si miete con la falce, per le biade e il grano si usa il serrecchio.

Augusto Sindici
Tratto da: "XIV leggende della Campagna romana", Augusto Sindici. Poesie in dialetto romanesco, con prefazione di Gabriele D'Annunzio, Milano, Treves, 1902

 
 
 

XIII. Er Quarto de l'Impiccati

XIII. Er Quarto de l'Impiccati

Quarto de l'Impiccati è un appezzamento di terreno che sta per la via Aurelia, dopo la Valle del Galera, nella tenuta di Malagrotta, già di proprietà degli Anguillara. Ma questo non è il solo appezzamento di terra che viene così chiamato.
Un sensale di bestie da macello, il romano Luigi Scatizzi, detto Grinzetta er poveta, all'osteria di Pressedi, giuocando una passatella con vari macellai romani suoi amici e clienti, racconta ciò che egli sa su queste e simili truci denominazioni che si rinvengono nel Lazio - come: Coccia di Morto, Valle de la Morte, ecc. - e oltre i suoi confini, come quella di Colle delle Forche che sta di fronte al così detto Pizzo del Monte, in prossimità di Giuliano Romano, non lungi da Pressedi. Questi nomi, come si vedrà nella leggenda, ebbero tutti la stessa origine.

1.

Come? ma nu lo sai? Ce ne so tanti
de sti siti che so ccusì chiamati.
- Dunque, siconno te... ma, scusa, e quanti
a quer tempo moriveno impiccati?

- Ce moriveno tutti li briganti...
Macché allora ć'avevi li giurati?!
Chi la faceva, nun ć'ereno santi...
'Nnaveno pe mozzoni l'avvocati!

- Sicuro... je cuciveno la bocca.
- Ir brigante batteva la campagna.
Lo pizzicavi? E alé, a chi tocca, tocca.

Mo che lui sta in città, già ch'è cuccagna,
la Giustizzia s'arangia e ce sbajocca,
e tutto quanto er monno campa e magna!

2.

Ma che me canti?.. Quanno se vedeva,
a la svortata de na via curiera,
quarche pezzaccio brutto che penneva
in cima a 'n palo come na banniera,

er monno ce penzava!...e che diceva?
"Fresca! e qui er conto se paga la sera!";
ć'annava moscio moscio e ce credeva.
Ma, in oggi, a falla franca e chi nu spera?

- Che me discuri!... a queli tempi là
godeveno sortanto li scagnozzi,
e pe l'antri nun ć'era libbertà...

- Saranno stati, dico, tempi rozzi,
ma chi faceva quarche impunità
rischiava er vicoletto de li tozzi!

3.

Nun te dico de no... che quarche vorta,
in der maneggio de la prucedura,
si la Giustizzia nun ce stava accorta,
te la sonava quarche impiommatura,

e quela botta la faceva corta,
e quest'antra più longa de misura.
- Ma vorebbe sentì la gente morta.
s'aritornasse da la sepportura!

Ché ar tempo antico, in de la gran battuta
tra Marco Sciara (1) e la squadra volante,
Qui robba brutta e tanta ànno vieduta!

Come quanno impiccorno pe brigante
chi la su libbertà s'era vennuta,
gnente de meno, a causa de l'amante! -

4.

L'amante sua? de lui?... Ma 'bbè, aricconta,
e si nun coji ar lecco, sai le botte!...
Ma in prímisi, ah rigazzi, giù na conta,
quattro litri, e ce famo mezzanotte.

- Damoje. - Dà, Giggetto Battilonta.
- Giù! - fermi! - Quante so le peracotte?
- Ah Minicuccio! me ce fai l'aggionta?
Si fai li giochi, qui so costa rotte!

- Cinque e tre... otto e nove... dicissette,
du... dicinnove e sette... ventisei,
e quattro... trenta, e sette... trentasette;

- Frate! Embè sete fora da le pene.
La conta tocca a voi, sor Capolei,
e aricordate chi ve fa der bene...

5.

E adesso, avanti, e annatece leggero,
l'amico se sta a fa la su bevuta
e penza a facce ir novo ministero.
- Dunque? - Come dicemio... a sta battuta

er bargello te porta in monistero
un giovinotto che ć'aveva avuta,
pe la disgrazzia sua d'esse sincero,
quarche imprudenza brutta, arisaputa.

- Sarebb'a dì? - Lo poi capì, fratello:
quatr'asole romane areggistrate...
Un'ariscallatura de cervello...

Robba de gelosie, de serenate,
de vino misturato, de cortello...
Pe queli tempi, propio rigazzate...-

6.

Arto!... Voi, Toto, fatece er Padrone,
e a voi, compar Ninetto, che je date
forte de sdegno co l'opposizzione,
ve faccio Sotto, purché ce penzate,

in der beve, a la santa indiscrezzione!
- 'Bbè dunque vada pe licenza er Frate.
- Posso beve, eh sor Sotto? - E chi è 'r padrone?
Si nun avete sete, alora fate...

- Dunque, sarebb'a dì...? - Che pe 'r momento
pare che tienga sete zi Pangrazzio;
si sète bbono, ve farò cuntento.

- Ò capito! - Ce fate la boccaccia?
- Io, no, ma se capisce dar prefazzio:
a chi ve fa der bene, carci in faccia (2)

7.

Dateje, Giggi. - Alora... quelo li,
che a magnà canipuccia nu j'annava,
provò d'arzallo er tacco, e j'ariuscì...
Solitario ste macchie bazzicava;

ma vinto da la fame e dar patì,
se sa, co li briganti s'arangiava...
Ce lo beccorno inzieme un venerdì
e er sabbito mattina dinnolava.

- Mo cor tu baccajà, 'mbè, me t'aggusto;
ma der proverbio te ne sei scordato?
Dice: "A la Storta fu impiccato Giusto"!

- O storta o dritta, quelo fu impiccato;
e se me dichi che ce piji gusto,
potressi arifrescamme un po er palato! -

Note:

1) Marco Sciara, detto Sciarretto, il famoso masnadiero del secolo XVI.
2) Antico adagio romanesco.

Augusto Sindici
Tratto da: "XIV leggende della Campagna romana", Augusto Sindici. Poesie in dialetto romanesco, con prefazione di Gabriele D'Annunzio, Milano, Treves, 1902

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 26/04/2008
 

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