Quid novi?Letteratura, musica e quello che mi interessa |
CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Piccola biblioteca romanesca (I miei libri in dialetto romanesco)
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Cento sonetti in vernacolo romanesco (di Augusto Marini)
Centoventi sonetti in dialetto romanesco (di Luigi Ferretti)
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I trovatori (Dalla Prefazione di "Poesie italiane inedite di Dugento Autori" dall'origine della lingua infino al Secolo Decimosettimo raccolte e illustrate da Francesco Trucchi socio di varie Accademie, Volume 1, Prato, Per Ranieri Guasti, 1847)
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Messaggi del 01/01/2015
Il Dittamondo Due giorni andammo senza piaggia o porto: sempre diritta la nostra galea, 5 come per l’ago al padron m’era scorto. Al terzo, come ’l dí quasi apparea, noi venimmo e smontammo in Palermo, cosí nomato dal nocchier d’Enea. Solino in prima e io senz’alcun sermo 10 mirando andava dietro a lui, per modo che de l’omero suo mi facea schermo. Tanto questa contrada in fra me lodo d’ogni diletto che vuol ciascun senso, che sempre ch’io ne parlo me ne godo. 15 "O luce, che sai tutto ciò ch’io penso, incominciai, qui giá fosti altra volta; prendi al lungo cammino alcun compenso col tuo parlare". Ed ello a me: "Ascolta. Buono è il tuo pensier, perché la via 20 è grave e, piú che tu non credi, molta. Quest’isola fu nominata pria da Sicano Sicania e da poi Siculo, giunto, quel nome disvia. E di costui ricordar ti puoi 25 ch’io t’ho detto chi fu e donde venne e che notato l’hai nei versi tuoi. Diversa gente il paese tenne, Ciclopi, dico, e tennerlo tiranni, per li quai sentio giá di male strenne. 30 Chi ti potrebbe dir li molti danni, i diversi tormenti e le prigioni, che qui soffrio le genti per piú anni? Questa isola è posta in tre cantoni e trovila Trinacria nominata 35 se ne’ suoi fatti antichi l’occhio poni. Peloro con la sua punta guata in verso Italia: e questa è la piú degna parte de l’altre ed è la piú lodata. Libeo pare che ’n vèr l’Africa tegna 40 e Pachino a levante, ond’ella è tratta come scudo che ’n terra si disegna. Tra Calavra e Peloro si baratta Silla e Cariddi: l’un le navi rompe, l’altro li dá, inghiottendo, la tratta. E tre laghi ci son, ma di piú pompe e fama è quel che chi la man v’attuffa quanto ne bagna tanto ne corrompe. Del fiume Imero dico non è buffa che amaro è correndo a tramontana 50 e dolce, quando il mezzogiorno acciuffa. Se maraviglia par quella fontana che salta, quando l’uom sopr’essa sona, minor non tegno l’altra di Diana. Ed Aretusa è qui, di cui ragiona 55 Ovidio, poetando come Alfeo la trasformò in fonte di persona. Ancora è qui lo stagno Geloneo, che, qual dimora sopra la sua sponda, il terzo senso sente ciascun reo. 60 Due fonti ci ha: che l’una qual de l’onda femina assaggia, senza alcun riparo, se sterile è, diventerá feconda; l’altra dir posso ch’è tutto il contraro. Ancor vi trovi il nocevole stagno 65 a ogni serpe e a l’uomo molto caro. Lo lago d’Agrigento pare un bagno, perché di sopra olio sempre nuota, util talor, ma di poco guadagno. Eolo par che qui sempre percuota 70 e con piú voci di cagne ci latre e che talora alcun monte ci scuota per le molte caverne forti e atre, che soffian foco e solfo per le gole, come spiran del corpo de la matre. 75 Albo corallo nel fondo si tole di questo mare, non che color mova come fa il Sardo, quando vede il sole. Oro chi ne ricerca assai ne trova. Acato fiume dá l’acata pietra, 80 che molto a Pirro fu giá cara e nova. E benché ora non suoni la cetra d’Archimedes, ti dico, e di Lais illa, pur colá, dove io posso, non s’invetra. Non vo’ rimagna qui senza favilla 85 d’Anapio e d’Anfinomo il miracolo, perché palese ci è per ogni villa: Campo pietoso fu lor tabernacolo". |
Il Dittamondo LIBRO TERZO CAPITOLO XII Cosí andando e ragionando sempre, giungemmo al mar, nel quale a chi non l’usa pare che, quando v’entra, il cuor si stempre. Sopra una nave grande, ferma e chiusa, entrò Solino e con benigna voce mi disse: "Vien, ché qui non vuole scusa". Allor mi feci il segno de la croce; indi la vela aperta vento prese, che fuor tosto ne trasse de la foce. Lo primo porto e 'l primo paese fatato a noi fu l’isola de’ Corsi, dove Solino, e io apresso, scese. Questa può esser per lo lungo forsi venti e sessanta miglia e gli abitanti acerbi e fieri son, che paion orsi. Vini v’ha buoni e sonvi ronzin tanti, che gran mercato n’è; ma chi su monta vie piú che i Sardi par che ’l cuor gli schianti. E secondo che per alcun si conta, Corso, che ab antiquo fu lor duca, del nome suo quell’isola impronta. E altri vuol che questo nome luca da una donna, che Corsa si disse, cui trasse il toro fuor de la sua buca. E per Vergilio Cirnea si scrisse, ché Cirnes, navicando per quel mare, quivi arrivato, giá signor ne visse. Sol la pietra catochite mi pare, tra quante novitá di lá si trova, che sia piú degna da dover notare. Veduto Capo Corso e dove cova Laiazzo, cosí fui del loco sazio, ché stare indarno a chi dee far non giova. E poi che giunti fummo a Bonifazio, fu il nostro passo diritto in Sardigna; tosto vi fummo, ché v’è poco spazio. Molto sarebbe l’isola benigna piú che non è, se, per alcun mal vento che soffia, l’aire non fosse maligna. Lá son le vene con molto ariento; lá si vede gran quantitá di sale, lá sono i bagni sani come unguento. Non la vidi, ma ben l’udio da tale a cui do fé, che v’era una fontana ch’a ritrovare i furti molto vale. 45 Un’erba v’é spiacevole e villana: questa, gustata, senza fallo uccide; e s’ella è rea, ancora è molto strana, ché in forma propia d’uomo quando ride li cambia il volto e scuopre un poco i denti: 50 sí fatto morto giá mai non si vide. Sicuri son da lupi e da serpenti. La sua lunghezza par da cento miglia e tanto piú quanto son venti e venti. Io vidi, che mi parve maraviglia, 55 una gente che niuno non la intende né essi sanno quel ch’altri pispiglia. Ver è, s’alcun de le lor cose prende, per cenni cambio in questo modo fanno: ch’una ne tolle e un’altra ne rende. 60 Quel che sia cresma o battesmo non sanno; la Barbagia è detta in lor paese; in sicure montagne e forti stanno. Quest’isola da Sardo il nome prese, lo qual per sé fu nominato assai, 65 ma piú per lo buon padre onde discese. Un piccolo animal quivi trovai: gli abitator lo chiaman solifughi, perché ’l sol fugge quanto può piú mai. E pognam che fra lor serpe non brughi: 70 pur nondimeno a la natura piace che chi lá vive alcun vermo li frughi. Sassari, Bosa, Callari e Stampace, Arestan, Villanova e l’Alighiera, che le sei parti e piú dentro al mar giace. 75 Quest’isola, secondo che s’avera, Genova e Pisa al Saracin la tolse, la qual sortiro con l’aver che v’era: lo mobil tutto al Genovese colse e la terra a’ Pisani e funno quivi in fin che ’l Ragonese ne li spolse. Invidiosi, infedeli e cattivi i piú vi sono e però chi v’è donno guardar convien da que’ ch’egli ha piú privi. Crudei non son, se non quando non ponno; 85 lanciano i dardi di nascosto altrui e uccidono talor, s’el giunge al sonno. In Arestan, dov’è la tomba fui di Lupo mio e feci dir l’offizio con que’ bei don, che si convenne a lui. 90 Compiuto il caro e santo sacrifizio, pensoso stava, onde Solin mi disse: "Figliuol, lo ’ndugio spesso prende vizio". Indi partio, ché piú non s’affisse, e io apresso lui, cercando ognora 95 se nova cosa alcuna ci apparisse. Parlare udimmo e ragionare allora che v’è un bagno, che, qual vi ripara, ogni osso rotto salda in poco d’ora. Cosí cercando la mia guida cara, 100 che non guardava festa né vigilia, trovammo una galea a Carbonara, dove salimmo per trovar Cicilia. |
Post n°940 pubblicato il 01 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Il Dittamondo "Italia è tratta in forma d’una fronda di quercia, lunga e stretta, e da tre parte la chiude il mare e percuote con l’onda. La sua lunghezza è, quando l’uom si parte da Pretoria Augusta in fine a Reggio, 5 che in venti e mille miglia si comparte. E se ’l mezzo del tutto trovar deggio, propio ne’ campi di Rieti si prende: cosí si scrive e io da me lo veggio. Monte Apennino per mezzo la fende; 10 piú fiumi e piú real da lui si spanda da quella parte che Toscana pende. Poi, come ’l poggio tien da l’altra banda, per le sue ripe molti ne disegna, che nel mare Adrian diritto manda. 15 Maraviglia non par, se giá fu degna tanto, che ’l mondo governava tutto: sí ben par ch’abbia ciò che si convegna. Qui son le fonti chiare per condutto; qui son gran laghi e ricchi fiumi assai, 20 che rendono in piú parti molto frutto. Datteri, cedri, aranci dentro v’hai e campi tanto buoni e sí fruttevoli, quant’ io trovassi in altra parte mai. Qui sono i collicei dolci e piacevoli, 25 aombrati e coperti di bei fiori e d’erbe sane a tutti i membri fievoli; qui gigli e rose con soavi odori, boschetti d’arcipresso e d’alti pini, con violette ognor di piú colori. 30 Qui sono i bagni sani e tanto fini a tutte infermitá che tu li vuoli, che spesso passan l’altre medicini. Qui selve e boschi son, che paion bruoli, se vuoi cacciare, ove natura tragge 35 cervi, orsi, porci, daini e cavriuoli. Qui son sicuri porti e belle piagge; qui son le belle lande e gran pianure piene d’augelli e di bestie selvagge; qui vigne, ulivi e larghe pasture; 40 qui nobili cittadi e bei castelli adorni di palagi e d’alte mure; volti di donne dilicati e belli, uomini accorti e tratti a gentilezza, maestri in arme, in cacce e in uccelli. 45 L’aere temperata e con chiarezza soavi e dolci venti vi disserra; piena d’amor, d’onore e di ricchezza. Lo maggior serpe ch’abbia questa terra Eridano è, che nasce su in Veloso, 50 che con trenta figliuoi nel mar s’inserra. Entra come coniglio e va nascoso nel suo cammino, e, quando fuor riesce, torbido corre in fine al suo riposo. Nel Gemini e nel Cancro sempre cresce; 55 adorna il suo bel letto alquanto d’oro, benché ad averne spesso a l’uomo incresce. Lupi ci sono ancora e fan dimoro, che, per natura, coprono col piede la pietra nata de l’orina loro, 60 e altri che, se alcun uomo li vede, subitamente la voce gli annoda, sí che di fuor, benché voglia, non riede. Italia tien forcelluta la coda: l’una parte riguarda i Ciciliani 65 l’altra dirizza a Durazzo la proda. Abitata fu prima da villani; lo nome suo da Italus prese, che di qua venne co’ Siracusani. Saturno fu da cui il popolo apprese 70 a vivere come uomo e da Latino la lingua, poi, latina si discese. Piace ad alcun che a quel tempo vicino lettera in prima ci desse Carmente, penso spirata dal voler divino. 75 Confina con Provenza nel ponente, con Francia, con la Magna e ’l mar Leone; dal mezzodí, con l’Africa, pon mente; da l’altra parte, in vèr settentrione, lungo il mare Adrian, lo Schiavo vede, 80 dove Durazzo e Dalmezzo si pone. Dodici e cinque province si crede tutta partita, e certo non fallo, con l’isole che ’l mar bagna da piede. Lo mar liguro ingenera corallo 85 nel fondo suo, a modo d’albuscello, pallido, di color tra chiaro e giallo. Spezzasi come vetro il ramicello quando si pesca, e come piú è grosso e con piú rami, tanto par piú bello. 90 Sí come il ciel lo vede, divien rosso; e non pur si trasforma di colore, ma fassi forte e duro, che pare osso. Conforta, a riguardar, la vista e ’l core averne seco quando folgor cade; 95 pietra non so piú util né migliore. In Terra di lavoro son contrade, dove la pietra sirtite si trova di color giallo; ma molto son rade. La pietra veientana non è nova 100 a’ Veientan, la quale in parte è bruna con bianche verghe e questa par che piova. Similemente ci si truova alcuna la qual linguria nomo, ch’a le reni, qual v’ha dolor, miglior non so niuna. 105 Italia truova, a chi gira i suoi seni, venti volte quaranta nove miglia: e qui fo punto a tutti i suoi terreni, ché buon sará, s’altro cammin si piglia". |
Post n°939 pubblicato il 01 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
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