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Messaggi del 18/05/2015

I Pifferari

Post n°1623 pubblicato il 18 Maggio 2015 da valerio.sampieri
 

Trasportiamoci ai tempi di questa costumanza, che or non è più. Un segnale dell'inverno è dato dai pifferari. Nel giorno 25 novembre (Santa Caterina) in cui s'incominciava ad accender le legna nei camminetti (compresi anche i quartieri dei soldati), ecco in Roma i pifferari, che a drappelli numerosi percorrono le vie, che dando fiato a quando a quando al clarino ed alla zampogna, fanno udire delle ariette villerecce e preludiano con patetiche note alle loro cantilene pastorali. II loro arrivo in quei tempi più semplici era grato e festevole.

Muovono questi poveri villici dalle estreme fimbrie dell'Apennino presso le sponde del Liri nell'Abruzzo. Giunti appena in Roma si leva un grido di gioia dalla garrula ragazzaglia insolente che loro danza d'intomo; e le nonne, col capo imbianchito e crollante, annunziano in casa ai nepotini, che loro saltellano e schiamazzano attorno, che manca un mese solo ai giorni santissimi.

Le vestimenta dei pifferari hanno una impronta originale, avanzo e ricordo della prisca semplicità dei secoli. Hanno irsuti velli invece di calzari tenuti fermi da più volute di funicelle rannodate nell'articolazione cruro-femorale. Ai piedi hanno i campestri coturni; portano i lombi precinti da una zona pellicea per riporvi talvolta il piffero, allorquando con passo colere e lena affannata passano da uno all'altro angolo della città per lucrar molti soldi.

Un racconcio mantello di bergampson, di mal tessute ed aride lane, giunge appena al loro ginocchio; che alla prima pioggia si accorcia, onde passò in proverbio. È questo testimone di lunghe età, e aveva forse ricoperto il dorso dell'estinto bisavolo e di chi venne da lui. Un pileo di rozzo feltro a forma di cono troncato all'apice ombreggia loro il capo, che sovente adomano tra i nastri colla immagine di San Domenico per evitare la rabbia canina, e coll'immagine di Nostra Donna trafìtta da 7 spade.

I loro strumenti musicali sono le cornamuse o ciaramelle, ossia la piva otricolare composta di un otre e di tre canne, una per dargli fiato, e le altre due per suonare; ed il piffero (da cui hanno preso il nome) o clarino, fistola traforata di suono acutissimo.

Dal 25 fino al 29 novembre, principio della novena all'Immacolata, vanno attorno per la città suonando dinanzi alle abitazioni, dove sono a locanda i biondi figli del Nord; ma questo suonare precario non è il pastorale concerto serbato al rito.

I pifferai si dividono a due e talvolta a tre, se il padre già cadente per età, debba insegnare al provetto genero, ed al figlio adolescente le case degli antichi clienti, o, com'essi dicono, le poste. Nel montare le scale danno un triplice segno collo stridente clarino; la fantesca o il cameriere si fa subito loro incontro, ai quali si porge il regalo solito, una cucchiaia di faggio lavorata nel condurre l'armento al prato, o quando riparano nei rustici casolar! per le nevi che fioccano sui monti. Intanto a vicenda si narrano i fatti di casa, e mille fole di streghe e di miracoli.

I pifferari nelle novene della Madonna e di Natale, prima che l'alba rosata tinga l'orizzonte in arancio, e fino al tramonto alternano senza posa le loro cantilene. Uno di essi, maestro in arte e per età provetto, imbocca la piva o l'otre della ciaramella, e nell'angolo che questa forma colla siringa delle prolisse canne ineguali vi pone il cappello, restando per atto di devozione a capo scoperto; l'altro di più floridi anni si pone il suo sotto l'ascella sinistra, e con quanto ha di lena nei robusti polmoni da di aspirazione al clarino, il cui acutissimo strimpello viene intramezzato da certa salutazione rimata, cui non hawi poliglotte che possa vantarsi di interpretare. Tutto compiesi con quella cantilena, conosciuta sotto il nome unico di pastorale, motivo unico e invariabile in tutti i musicali concerti dei più dotti contrapuntisti. La pastorale incomincia coll'allegro, ha un medio largo e l'ultimo parimente allegro. Se poi fu promesso ai musicanti il cartoccio della padrona, o poco vino, tu senti toccare tutte le chiavi, quando meno lo aspetta orecchio armonico; tutti ligii sono i motivi, i gravi cogli acuti, il patetico coll'allegro, e un sibilar repentino tocca di un colpo la nota, e dall'inno al sommo rapidamente trapassa: un insieme orchestrato da disgradarne qualunque musica dell'avvenire.

Per un forastiero era certo la cosa più odiosa e fastidiosa del mondo il sentirsi svegliare nel cuore della notte dal suono melanconico della zampogna per tutto l'avvento: ma la costumanza sanzionata dal tempo era gradita ai romani, fino a che non si cominciò ad avere a sdegno ed a vile le usanze avite. Leone XII, che ne provava fastidio, prima di montare al trono ordinò ai pifferali di non isvegliare i suoi sudditi prima delle 4 del mattino.

Le novene si facevano in ogni bottega, in ogni casa, che non volesse dare negli occhi al parroco ed alla polizia. Molti forastieri e pittori, che temevano di passare per liberali, facevano dipingere a fresco una Madonna sul muro del loro studio, e per un paio di novene si godevano le serenate di questi Orfei.

L'abbonamento era 2 paoli (circa un franco) per novena, ed era ben contento il vecchio pifferaio se poteva far conto di portare a casa 40 scudi, somma enorme allora negli Abruzzi che gli permetteva di passare 7 od 8 mesi senza lavorare.

I giovani poi si divertivano, tra una novena e l'altra della giornata a cantare alle belle minenti:

Fior de castagna, Venite ad abitane alla mi' vigna,
Che séte 'na bellezza de campagna.

II Natale avrebbe perduto tutto il suo bello misterioso in Roma senza la venuta dei pifferari. n 1836, nel quale essi non vennero, attesi i cordoni sanitari tra lo stato pontifìcio ed il regno delle Due Sicilie, per il cholera-morbus, parve a Roma un anno melanconico e di funesto presagio.

Perché, dopo il 1870, furono proibiti i Pifferari. Vano è chiedere la ragione di ciò che è fatto senza soda ragione. Noi adesso siamo senza carattere e senza convinzioni; e diversamente dagli altri popoli che sono più innanzi di noi nella civiltà, ci vergogniamo dei patrii costumi, i quali dovremmo piuttosto aver cari. In Inghilterra tutti i reggimenti scozzesi hanno varie coppie di suonatori di zampogna, in memoria delle avite usanze; e guai a toccarglieli! Essi ne vanno superbi. Le cantilene pastorali della cornamusa nelle feste di Natale, erano un ricordo dell'antica semplicità; i poveri pifferari non facevano male a nessuno, e mai si è inteso che abbiano commesso un ferimento o un furto nelle molte botteghe o case dove praticavano. Se è lecito ai professori d'orchestra di guadagnarsi il pane coi loro strumenti, perché non ha da esserlo ai suonatori di pifferi e di zampegne? Rivogliamo i pifferari!!

Costantino Maes
Tratto da Curiosità Romane

 
 
 

I pifferai

Post n°1622 pubblicato il 18 Maggio 2015 da valerio.sampieri
 

21 dicembre. Son quindici giorni che i ”pifferari”, o suonatori di cornamusa, ci svegliano alle quattro del mattino. È gente capace di far odiare la musica. Son rozzi contadini ricoperti di pelli di capra, che in occasione delle Feste discendono dalle montagne abruzzesi e vengono a Roma a far serenate alle Madonne. Arrivano quindici giorni prima di Natale e ripartono quindici giorni dopo: ricevono due ”paoli” (un franco e quattro centesimi) per una serenata di nove giorni, sera e mattina. Chi vuoi essere stimato dai vicini e non vuoi incorrere in una denuncia al parroco, nonché tutti quelli che temono di passare per liberali, si abbonano per due « novene ».

Non c'è niente di più odioso dell'essere svegliati nel cuore della notte dal suono melanconico delle cornamuse, un suono che da ai nervi come quello dell'armonica. Leone XII, che li conosceva bene già prima di salire al pontificato, proibì ai ”pifferari” di svegliare i cittadini prima delle quattro. In fondo a tutte le botteghe, a Roma, c'è una Madonna illuminata da due lampade. Credo che non esista un romano che non abbia in casa almeno una Madonna. Sono molto devoti della madre del Salvatore e quantunque la polizia si preoccupi di « proibirne l'adorazione » pure non è ancora riuscita a far diminuire il fervore del popolo. Ho visto artisti che temono di passare per liberali affrescare sul muro del loro studio una Madonna e pagare ai ”pifferari” quattro ”paoli” per due novene. Il ”pifferare” con il quale ho avuto a che fare nel mio appartamentino mi ha detto che sperava di tornare a casa con cento scudi (centosessantun franchi), somma enorme in Abruzzo, che gli permetterà di stare sette o otto mesi senza lavorare. Mi ha chiesto se credevo che Napoleone fosse morto veramente. Anche se l'eroe evidentemente gli piaceva, tuttavia finì per dirmi: « Se avesse continuato a vincere, i nostri affari sarebbero stati rovinati (“andavano a terra”) ». Gli son piaciute molto, come un segno di nobiltà, le pistole attaccate al muro della mia camera. Mentre faceva l'atto di mirare, la sua faccia ha assunto un'espressione talmente feroce che l'ho condotto dalla signora Lampugnani. Ha avuto un grande successo: lo abbiamo fatto pranzare alla trattoria vicina e, la sera, lo abbiamo invitato a casa nostra per interrogarlo sul suo paese, la sua famiglia e le tristi esperienze compiute al tempo delle invasioni dei tedeschi e dei napoletani. Mi piacerebbe scrivere un libro con i nostri commenti alle risposte del ”pifferare". Ci ha cantato una bella canzone, che i giovanotti suonatori di cornamusa cantano alle romane:

Fior di castagna
Venite ad abitare nella vigna,
Che siete una bellezza di campagna.

Ecco un'altra stornellata, composta per un contadino, la cui amica riceveva gli omaggi di un soldato francese:

Io benedico il fior di camomilla:
Giacché vi siete data a far la Galla;
Vi volto il tergo, e me ne vado in villa.
Fior di granturco:
Voi mi fate paura più dell'orco,
E credo ancor che la fareste a un turco.

Non c'è niente di più malinconico della cantilena di queste canzoni; molti stornelli, poi, non sono troppo decenti. Secondo il signor Von*** questo tipo di canzone, il cui primo verso è composto dal nome di un fiore, si ritrova nei poeti latini. Egli ritiene addirittura che si tratti di una forma preromana.

Per me, la cosa che più mi ha commosso è stata la musica, improntata a una passione profondissima, capace di estraniarsi completamente dagli astanti, i quali, anzi, addirittura la offendono con la loro sola presenza. Cosa importa del prossimo all'uomo divorato dalla passione? Di tutto ciò che lo circonda gli interessano solo le infedeltà dell'amante e la propria disperazione.

Stendhal
Tratto da "Passeggiate romane", Ed. LATERZA 1973

 
 
 

Un ber gusto romano

Un ber gusto romano

Tutta la nostra gran zodisfazzione
de noantri quann’èrimo regazzi
era a le case nove e a li palazzi
de sporcajje li muri cor carbone.

Cqua ddiseggnàmio o zziffere o ppupazzi,
o er nodo de Cordiano e Ssalamone:
llà nnummeri e ggiucate d’astrazzione,
o pparolacce, o ffiche uperte e ccazzi.

Oppuro co un bastone, o un zasso, o un chiodo,
fàmio a l’arricciatura quarche sseggno,
fanno in maggnèra c’arrivassi ar zodo.

Quelle sò bbell’età, pper dio de leggno!
Sibbè cc’adesso puro me la godo,
e ssi cc’è mmuro bbianco io je lo sfreggno.

Giuseppe Gioachino Belli
22 giugno 1834

Note:
2. quann’èrimo = quando eravamo
5. ddiseggnàmio = disegnavamo
10. fàmio = facevamo
11. fanno in maggnèra = facendo in maniera

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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