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Messaggi del 06/07/2016

Un po' di poeti romaneschi

Le note biografiche che seguono sono state tratte da varie fonti

Filippo Cesare Annessi
Filippo Cesare Annessi  nacque a Roma nel 1871 e vi morì nel 1947. Funzionario dello Stato, fu redattore del "Travaso delle idee" e collaboratore di vari giornali, come "Orazio Coccola", "Marforio" e "Rugantino".

Enrico Anzuini
In Francesco Possenti, Cento anni di poesia romanesca, II voll., Staderini editore, Roma 1966, vol. I pag. 226, è riportata la seguente notizia: "1867-1952. Nato a Norcia, bracciante. Collaborò in «Marforio» e nel «Rugantino» nei primi anni del 1900."

Alessandro Barbosi
Dell’abate Alessandro Barbosi, canonico beneficiato di San Giovanni, si sa ben poco. Romano, visse nella prima del XIX secolo e morì giovane di etisia.
Barbosi scrisse molte opere, tra le quali ricordiamo: ‘Na ggiornata de carnovale a Roma (ottave e sonetti); la battana de li Dorazzi co li Curiazzi; L’aritorno der mi’ fijo dar colleggio; Er discorso de Padron Lisandro de la Regola fatto a la Mensola co’ Peppe er Duro, Clemente Spacca e Felicetto pe’ soprannome Trecciabella, sull’aritrovato der cerusico romano sor Angelo Comi (che decanta l’opera del cerusico Comi, che inventò un ritrovato per pietrificare i morti).
Nel 1851 Barbosi scrisse Didona abbandonata, considerata la sua opera più importante.
Il dialetto del Barbosi risente dei modelli del Peresio, del Berneri, del Micheli e del Carletti. Il romanesco di questi autori, compreso dunque il Barbosi è a tutt’oggi considerato non autentico, perché si pensa che molti modi di dire siano stati deliberatamente storpiati a fini poetici, che siano, cioè, frutto di una manifestazione di comodo.

Giuseppe Berneri
Oratore, scrittore e poeta, Giuseppe Berneri nacque nel 1637 e morì intorno al 1700. Scarsissime le notizie biografiche che lo riguardano.
Sappiamo che fu membro di diverse accademie, tra le quali quella degli "Infecondi".
Autore di cinquantadue opere, tra poemi gioiosi, morali e drammi di soggetto religioso, Berberi è ancora oggi ricordato per il Meo Patacca, poeta sul leggendario ghinardo (bravaccio) da lui creato, pubblicato in varie edizioni, la seconda mirabilmente illustrata da Bartolomeo Pinelli.
Il poema, in ottava rima e in dialetto romanesco, è ambientato a Roma, proprio quando si diffuse la notizia che Vienna, assediata dai turchi, stava per capitolare e racconta le avventure di Meo Patacca, che, radunati a se "li mejo ghinardi de Roma" e con l’aiuto della nobiltà romana, che avrebbe sostenuto le spese per la spedizione, decide di partire per affrontare i turchi.

Alberto Bonacci
Il Possenti (op. cit. pag. vol. I 264) ci dice che nacque in Calabria nel 1871, ma presto si trasferì a Civitavecchia, dove nel 1902 pubblicò il suo primo libro di versi, Scampoletti da gode’. Commerciava in pellami e sposò la figlia di Adolfo Giaquinto, Margherita. Collaboratore assiduo del «Rugantino», era noto soprattutto come compositore di canzoni per la festa di S. Giovanni. Morì nel 1916.

Augusto Casali
Il Possenti (op. cit. vol. I, pag. 289) ci riporta la seguente notizia: "1879 - ? Tipografo. Autore premiato di canzoni per San Giovanni. Collaboratore, nel primo ventennio del 1900, nei periodici «Marforio», «Frugantina» e «Rugantino», nonché nei quotidiani «Il Messaggero» e «Il Giornale d’Italia»."

Angiolo Cassioli
Nato a Montepulciano nel 1882, Angiolo Cassioli morì a Roma nel 1938.
Proprietario di una bottega di caffé in piazzale di Ponte Milvio, coltivò, pur essendo di origine toscana, la poesia romanesca, scrivendo sul "Rugantino" e su "Er Gattello".
Cassioli, che scrisse anche diverse canzoni per la Festa di San Giovanni, pubblicò, nel 1927, un volume contenente poesie romanesche e in lingua, dal titolo Tele de ragno.

Vincenzo Cecchetti
Vincenzo Cecchetti, idraulico, nacque a Roma nel 1849 e vi morì nel 1914. Poeta molto fecondo, pubblicò le sue poesie su diversi giornali: "Rugantino", "Er Conte Tacchia", "Marforio", "Meo Patacca", "Er Marchese der Grillo", "Ghetanaccio". Scrisse anche testi di canzoni per la Festa di san Giovanni.
La sua sola raccolta di testi poetici, Poesie satiriche romanesche, fu pubblicata nel 1904 a dispense, edita dal giornalaio Vitali, che aveva l’edicola in via Arenula.
La produzione poetica di Cecchetti, che fu soprattutto un improvvisatore di versi, declamati per ore ininterrottamente, rimase però a un livello piuttosto mediocre. Egli riprodusse la mentalità del popolazione cui si ispirava, rispettando comunque sempre la metrica e curando le rime dei sonetti secondo la regola.

Cesare Crescenzi
1867-1916, impiegato, particolarmente affezionato a temi semplici, quasi patetici, collaborò anche al «Rugantino» e pubblicò alcuni volumi: Parole der côre (1899), Un po’ de sentimento (1901), Sonetti romaneschi (1904) (Possenti, op. cit. vol. I, p. 311).

Ludovico De Simoni
Insegnante di latino e greco presso diverse nobili famiglie romane, come i Torlonia, gli Sforza Cesarini, i Santafiora e i Colonna, Ludovico De Simoni nacque a Roma nel 1848 e vi morì nel 1928.
Fu poeta in lingua e dialetto, ma non fece mai mostra di sé. La sua poesia si può sicuramente far rientrare nella piccola e colta schiera dei belliani, con versi arguti e garbati, riecheggianti la vita serena del suo tempo: a volte si notano sfumature sentimentali e liriche.
De Simoni pubblicò, con lo pseudonimo di "Righetto de li Monti", una prima raccolta di poesie nel 1886 e una seconda raccolta, dal titolo Versi romaneschi, nel 1894.

Settimio Di Vico
Settimio Di Vico, vetturino, nacque a Roma nel 1883. Innamorato e orgoglioso della sua città, studiò diverse lingue e ottenne così l’autorizzazione a fare la guida ai turisti stranieri in visita a Roma.
Socialista convinto, Di Vico, allo scoppio della I Guerra mondiale si arruolò nel Corpo dei bersaglieri. Morì da eroe nel 1916, colpito da un proiettile nemico.
Proprio in quell’anno aveva incominciato ad allestire la sua ultima raccolta di versi romaneschi intitolata Canti de guera. Collaborò, con lo pseudonimo di "Er moretto", a diversi giornali come "Rugantino", "Marforio", "Er Conte Tacchia".
Scrisse anche molte canzoni per la Festa di san Giovanni, tra cui degna di nota "Er ritorno der berzajere". Tra le sue raccolte pubblicate ricordiamo: A li bagni de Porto d’Anzio, ossia li mariti che se divertono (1902); Quo vadis? Una serie di sonetti umoristici che si ispirano al celebre romanzo di Sienkiewitz (1905); Verso la llibertà Sonetti romaneschi (1907); Aritornelli e canzone (1913); L’agonia de li Bàrberi poesie romanesche su la guera nostra (1915).
La poesia di Di Vico è eminentemente sentimentale, non manca però di spunti satirici e umoristici. Il 3 dicembre 1916 l’Associazione fra i Romani commemorò di Vico; alla cerimonia partecipò Trilussa che lesse alcuni sonetti del poeta.

Roberto Fancelli
Roberto Fancelli, perito tecnico, nacque a Roma nel 1878. Poco più che ventenne, in seguito alla morte del padre, tecnico del Genio Civile in Eritrea, si recò ad Asmara per provvedere al sostentamento della propria famiglia.
Tornato in Italia, fu Capo contabile presso a Società dei Telefoni, poi impiegato di banca e infine si dedicò alla libera professione. Morì a Roma nel 1949.
Estremamente versatile e amante dell’arte in ogni sua manifestazione, Fancelli fu allievo del baritono Cotogni, coltivò il canto e suonò, con estro, il violino, strumento per il quale compose anche alcuni brani musicali.
Egli diede però le prove migliori di sé nel campo della poesia dialettale, dove seppe sfruttare la sua vena satirica e la sua bonomia romana, creando testi in cui la spontaneità conferisce particolare naturalezza e briosità al verso.
Fancelli fu un poeta cronista, che registrò e analizzò i fatti del giorno come in un diario personale. Pubblicò un solo volume di poesie, in cui raccolse il meglio della sua produzione: Un po’ de tutto, sonetti in dialetto romanesco (1922).

Armando Fefè
Armando Fefè (Roma, 1905 - 1969). Nel filone di poeti dialettali sempre presenti nel nostro Gruppo, il Fefè occupa una posizione singolare. Infatti in una stagione ancor notevole della poesia romanesca, dominata dalla personalità di Trilussa, egli ne rappresentò una vena personale, ben individuata soprattutto perché nutrita di quell’umanità e di quel sentimento che, essendo caratteri eminenti della sua natura, trovavano nella poesia l’espressione più sincera.
Oltre che alla poesia occasionale, egli si dedicò ad ampie composizioni cominciando dalla rievocazione dell’ultima guerra nel volume Addio, palude, nella quale rievoca anche il mondo dei butteri e la vecchia campagna romana. Dopo quel volume che rimane la più valida raccolta di tanta sua produzione; passò poi alle leggende più remote mediante un effettivo rifacimento del poema del Berneri Meo Patacca. Qui le sue ottave non si propongono solamente - ciò che il Belli deplorava - di ‘eccitare le risa’, ma attingono ad un’autentica dignità letteraria. (Fondò pure una serie di giornali per sostenere il perdurare dell’uso del dialetto). Superando il genere ‘romanesco’, ridotto troppo spesso ad una manifestazione post-prandiale, infarcita di barzellette, di doppi sensi, di botta finale, magari infiocchettata con qualche parolaccia (vedi il giudizio di Vigolo), la poesia di Fefè scorre sempre limpida e piana, ed il suo stile è narrativo. Si aggiunga il merito di un recupero dialettale di tipo filologico, contrastante con lo slittamento corrivo verso la lingua. Tutto ciò lo fece giudicare vero epigono del Belli, senza farsene pedissequo imitatore. Purtroppo gran parte della sua opera è rimasta inedita; il titolo ne era pronto: Er diavolo a Torrimpietra.

Luigi Ferretti
Luigi Ferretti, figlio di Giacomo (con suocero del Belli) nacque a Roma nel 1836 e vi morì nel 1881.
Fu ingegnere e soprintendente alle scuole municipali di Roma e cominciò a produrre i primi sonetti, di qualità piuttosto modesta, dopo i quarant’anni. L’occasione gli fu fornita, come egli stesso scrisse in una lettera a Luigi Morandi, da un incidente scolastico causato da un suo amico. Obbligato a scrivergli, in virtù del suo ufficio, il Ferretti redasse la lettera burocratica in versi romaneschi, creando così il suo primo sonetto.
Definito dal Morandi "continuatore, non imitatore del Belli", Ferretti fu abile lettore dei sonetti del grande poeta.Pubblicò tre raccolte di poesie: La Duttrinella (1877), poemetto satirico sul piccolo catechismo diocesano di Roma, detto appunto "duttrinella", in cui il poeta mette in ridicolo un certo tipo di insegnamento religioso; Centoventi sonetti (1879) e il Sansone(1880) in ottave romanesche.

Sante Ferrini
Sante Ferrini. 1875 - ? Autore di poesie dialettali a carattere sociale, anarchico rifugiatosi in Francia. Collaborò a «Rugantino» e a «Conte Tacchia». Nel 1909 pubblicò un libro di versi intitolato Fantasticando, Londra, Publishing Company (Veo, Poeti romaneschi, op. cit.).

Lallo Fraschetti
Nato a Roma nel 1873, Lallo Fraschetti morì nel 1902 a Napoli, dove era stato trasferito come funzionario del Ministero della Pubblica Istruzione.
Scrisse molti sonetti in dialetto romanesco, pubblicati sul "Rugantino". Si tratta a volte di composizioni piene di sentimento, a volte di quadretti caricaturali di gusto popolare.
In una serie di sonetti, intitolati Tra la paineria, Fraschetti rifà il verso al "parlà ciovile", modo di parlare in uso nell’ambiente borghese.
Pubblicò una sola raccolta di 60 sonetti, in collaborazione con Pio Pizzicarla, dal titolo Un pellegrino a Roma (1894).

Adolfo Giaquinto
Nato a Napoli il 25 ottobre 1847. La famiglia si trasferì a Roma dopo soli tre mesi. Fu avviato da giovane all’arte culinaria, di cui divenne un affermato esponente. Inventò l’estratto di carne Excelsior e pubblicò diversi libri di ricette. Contemporaneamente iniziò a dedicarsi alla poesia vernacolare, collaborando a diverse testate romane, firmandosi anche con più di uno pseudonimo (Taglia Cappotto, Er Bocio, Adorfo Già-Sesto, Adorfetto, ecc.): «Il Rugantino», «Il Tribuno», «Ghetanaccio», «Il Mattacchione», «La Tribuna», «Il Messaggero». Insieme a Giggi Zanazzo fondò nel 1897 il «Rugantino de Roma in dialetto romanesco», seguito da «Casandrino»; nel 1898, per risolvere il problema della querela per plagio dell’editore Perino, fondarono il «Rugantino», avvalendosi di molti collaboratori (tra i quali Trilussa e Nino Ilari). Nel 1902 fondò il «Marforio». Nel 1909 pubblicò un volume di versi, Poesie dialettali. Ma il risultato più importate della sua ricerca è stato l’invenzione del "cispatano", un misto di romanesco, napoletano, marchigiano e abruzzese; in questo senso il lavoro migliore fu Mattie Franciscandonie all’Afreca, pubblicato nel 1896, una collana di quattordici sonetti in cui narra l’avventura di un popolano che parte soldato per la spedizione in Africa. Si dedicò anche alla prosa, ma la sua fama fu offuscata da quella di Trilussa. Morì a Roma il 28 giugno 1937 (AA. VV., Dizionario biografico degli italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, Catanzaro 2000, vol 54, pp. 560-562; voce curata da Carlo D’Alessio). Il Veo (Roma popolaresca, op. cit. p. 141-142) racconta che Giacquinto iniziò a scrivere in questo dialetto misto, parlato dai poveri immigrati che dal sud e dal centro venivano a lavorare a Roma, trascrivendo alcune espressioni di un oste che illustrava il menu ad un avventore.

Alfredo Gioia
Alfredo Gioia. 1874-1933, idraulico, collaborò anche a «Er Conte Tacchia» e a «Rugantino» (il Possenti non dà invece notizia della sua collaborazione al «Marforio» (Possenti, op. cit. vol. I, p. 379).

Augusto Jandolo
Augusto Jandolo (Roma, 1873 -1952). Personalità complessa e carismatica, davvero degna del posto di padre fondatore del Gruppo dei Romanisti che occupa al massimo livello con pochissimi altri. Era poeta in assoluto: l’uso del dialetto non lo limitava nell’ispirazione. Ed era antiquario erudito ed umanista. In gioventù era stato anche attore nella compagnia della Duse e gliene era rimasta una sapienza di eloquio che sapeva sfruttare nella dizione poetica e nell’affabulazione da quel gran conversatore che egli era. Aveva esordito a ventidue anni nella poesia vernacola pubblicando fin dal 1895 sul "Rugantino" quei sonetti che poi raccolse nel suo primo volume Li busti der Pincio. Scrisse una decina di fortunate commedie per il teatro romanesco, allora fiorente con Giacinta Pezzana ed Ettore Petrolini, ritornando quindi alla poesia dialettale ed all’esercizio antiquario che, all’epoca, costituiva una sorta di commercio aristocratico ricercato dai più ricchi visitatori di Roma. Nella sua poesia, che ebbe più matura espressione a partire dagli anni Venti, Jandolo si distaccò dalla folla degli imitatori della poesia belliana ed degli orecchianti per esprimere proprie tonalità intimistiche e sentimentali. Andò pubblicando diversi volumi di versi, ma la notorietà nazionale gli derivò da una raccolta ispirata da una sua tendenza alla rievocazione storica. Si tratta delle Torri, pubblicate dall’editore Ceschina in una smagliante edizione illustrata: era una rivisitazione delle principali torri medievali della campagna romana, con il loro corredo di dicerie popolari e di leggende. Diede alle stampe anche uno scritto sul Belli: Tre momenti della vita del poeta.
Nell’ambiente curioso ed affascinante del suo studio, un poco dannunziano, gremito di antichi mobili e di cose belle e rare, Augusto Jandolo ospitò, a partire dal 1929 e, poi continuativamente, dal 1932-33, gli incontri dei Romanisti, distogliendoli un poco, senza rinunciarvi, dai modesti simposi da Cesaretto o altrove: quel luogo ‘colto’; risultava più fruttuoso per gli scambi di notizie, per le rievocazioni, per i progetti; da lì spesso i vari gruppetti sciamavano, poi, a proseguire la serata nelle trattorie della zona. In quella sede, sotto il nume benevolo di Jandolo, prese vita nel 1940 la Strenna e quegli incontri proseguirono fino al 1950, alla cessazione dell’attività commerciale dello stesso Jandolo, vittima delle sue condizioni di salute e della pressione di chi intendeva subentrare nell’uso del locale (fu poi la Titanus cinematografica che sventrò e sfigurò quel magico ambiente). Ancora per un anno il Gruppo, auspice Jandolo, poté fruire di ampi e signorili locali a via Margutta 52 che curiosamente vennero definiti ‘l’Antro’. Poi, alla morte di Jandolo, fu la volta dello studio Tadolini al Babuino.
Così Augusto Jandolo svolse la funzione di iniziatore, di animatore e di codificatore del Gruppo dei Romanisti, raccogliendo l’eredità di lunghe frequentazioni di spiriti affini ed innamorati della romanità, che erano stati soliti a ritrovarsi fin dal 1929, in ben assortite comitive radunate alla romana e parlando di Roma, attorno a fiaschi di vino nelle osterie di Trastevere. In tal modo vennero poste le basi della futura operosità dei Romanisti, dalla definizione del nome all’ideazione della Strenna, all’avvio di una serie di pubblicazioni.

Mario Lizzani
Mario Lizzani nacque a Roma nel 1881 da una nota e antica famiglia romana. Il padre Carlo, caro a Mazzini, fu a Mentana con Garibaldi e fece parte dell’amministrazione del sindaco Nathan.
Mario Lizzani partecipò volontario alla I Guerra Mondiale e poi si dedicò alla valorizzazione delle tradizioni romane e alla conservazione dei luoghi garibaldini al Gianicolo.
Fu tra i redattori de: L’Urbe, La Tribuna e Capitolium, dove, con lo pseudonimo di "Marliz", si occupò dei problemi cittadini e in particolare dello sviluppo di Ostia e del Lido. Su quest’ultima questione, che tanto lo appassionava, tenne una conferenza dal titolo: "Il Piano Territoriale di Roma: il litorale e le spiagge di Roma nel quadro del Piano Territoriale", presso l’Istituto di Studi Romani.
Lizzani fu tra i fondatori del Gruppo dei Romanisti e collaborò in più occasioni alla Strenna.
Appassionato di storia e di giornalismo, svolse la sua attività professionale nella Ragioneria del Comune di Roma.
La passione per Roma lo spinse a raccogliere libri rari e a mettere insieme una biblioteca di pregio, ordinata e catalogata, di cui fece dono al Comune.
Scrisse numerose monografie storico-archeologiche, tra cui ricordiamo: Il Celio, Il Circo Massimo, Il Colosseo, Il Lido di Roma, Ostia, La romanità di Goffredo Mameli, La via Flaminia, Il Viminale, Il Vittoriano, Piazza e Palazzo Venezia.
Una forte depressione lo condusse ad una drammatica fine nel 1957.

Giuseppe Martellotti
Giuseppe Martellotti nacque a Viterbo nel 1864 e morì a Roma nel 1942. Dopo la licenza liceale si iscrisse all’Università, ma non portò a termine gli studi per necessità di lavoro. Fui impiegato presso l’Ufficio centrale delle Poste di San Silvestro e, appassionato di latino, continuò gli studi da autodidatta.
Suonatore di flauto, quando fu chiamato alla leva entrò a far parte della banda musicale del suo reggimento.
Scrisse molte poesie in dialetto romanesco, firmandosi con lo pseudonimo "Guido Vieni".
Famosi i suoi Foji staccati dar vocabolario pe’ commido de la gioventù studiosa, lunga serie di sonetti con cui diede spiritose definizioni a parole che si prestavano al doppio senso e alla satira (1905).
Collaborò a riviste e giornali, tra cui il "Travaso delle idee" e "Il Messaggero", facendo uso di un dialetto che aveva provveduto ad ammodernare. Per questa ragione fu oggetto di severe critiche da parte di poeti tradizionalisti.
Fra le sue pubblicazioni ricordiamo: Traduzzione in lingua romanesca de ceti soneti d’Orazio Fiacco fatta dar sottoscritto G. M. pe’ commido de la gioventù studiosa (1892); Una questione psico-fisico-pedagogica. Chiacchierata (1892); Prosperi e cerini (1899); Metrica musicale teorico-pratica, contenente un saggio in dialetto sulla composizione della canzonetta romanesca (1914).

Armando Morici
Armando Morici (Roma, 1885 - 1968) era impiegato al Comune di Roma, ma coltivava in primo grado la passione per la romanistica da poeta e da prosatore. Per la sua poesia, si segnala il volume La regina della Papuasia del 1932 e, per le sue prose, l’altro volume Le novelle del buonumore, uscito nel 1950. Scrisse anche commedie per il teatro dialettale. Era molto legato a Jandolo e a Trilussa, specie per lo studio del dialetto romanesco. Insieme ad Oberdan Pietrini e ad Armando Gozzi fondò il periodico "Stella romana". Fu anche collaboratore del "Becco giallo" e del "Travaso". Come autore di testi di alcune canzoni romanesche, venne più volte premiato al concorso della Festa di San Giovanni. Fu nel Gruppo dei Romanisti e lo troviamo collaboratore fisso della "Strenna" dalla fondazione di questa fino alla morte.

Giggi Pizzirani
Giggi Pizzirani nacque a Roma nel 1870. Uscito dalla fucina creata da Zanazzo nel 1887 con il giornale "Rugantino", fu giornalista e scrisse su vari giornali, tra cui "Il Messaggero" e "Il Travaso delle idee".
Autore di testi teatrali, romanzi e di operette, pubblicò nel 18891 un primo Saggio di versi in romanesco (con lo pseudonimo di Giggetto), cui seguì, nel 1894, il volumetto Ve confinfera?
Particolare successo ebbe, intorno agli anni Venti, il suo delizioso poemetto: La sfida de Barletta, pubblicato nel 1896. Vi fu chi disse che i sonetti della Sfida erano una filiazione de La scoperta de l’America di Pascarella, ma Pizzirani si difese sempre ripentendo che il parlare spropositato di storia o di cose dotte tra popolani all’osteria era cosa assai comune nella Roma dei suoi tempi.
Pizzirani fu tra i primi, insieme a Zanazzo, a cantare i motivi tristi che si annidavano nell’animo del popolo romano.
Facile alla polemica e combattivo, anche se molto cortese, egli amò la sua città e il suo dialetto.
Colpito da una grave malattia agli occhi, non uscì più di casa e si spense nel 1946.
Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: La lingua del barbiere (1899), Quo Vadise?(1900), poemetto giunto alla venticinquesima ristampa, L’affare de sant’Arfonzo (1901), la guida de Roma (1902), Quanno Berta filava (1907), Guerieri antichi e burattini moderni (1919), Papa Sisto (romanzo storico, 1925), Sotto il naso della lupa (leggende, tradizioni, figure e curiosità romane, 1928), Caligola ar lago de Nemi (1931).

Bixio Ribechi
1894 -? Attore di varietà conosciuto in Italia e all’estero, collaborò anche a «Rugantino», «Il Messaggero», «Travaso» (il Possenti, op. cit. vol. I, p. 498, non dà notizia della sua collaborazione al «Marforio»). Nel 1905 fondò Er Circolo, periodico dialettale, e nel 1924 pubblicò la raccolta Paraponzi ponzi po’ presso gli Stab. Tip. Trajano (Veo, Poeti romaneschi, op. cit.).

Pietro Romano
Pietro Fornari, più noto come Pietro Romano (o "Zi’ Pietro", come lo chiamavano gli amici) nacque a Roma nel 1874 e vi morì nel 1961.
Personaggio unico nel panorama della romanistica, abbracciò la carriera giornalistica, fu corrispondente di quotidiani cattolici in varie parti del mondo e divenne poi amministratore del quotidiano "Il Tempo". Uomo assai generoso e pieno di amor proprio disdegnò onori e guadagni.
Andato in pensione anzitempo, si dedicò ad intense ricerche d’archivio e scrisse oltre cento libri, pubblicati quasi tutti a sue spese, che costituiscono una documentazione preziosa per studiosi di storia, arte e folklore romano.
Dopo il primo libro Pasquino e la satira a Roma, pubblicato nel 1932, Pietro Fornari, che da quel momento assunse lo pseudonimo di Pietro Romano, scrisse altri cinque volumi sulla facondia di Pasquino nel corso dei secoli.
Si dedicò poi alla stesura di una collana intitolata I rioni di Roma nel Rinascimento. L’opera, corredata da una grande quantità di notizie, è un capolavoro per la ricchezza dell’apparato storico e la vivacità della narrazione.
Tra gli altri suoi libri ricordiamo, Roma nelle sue strade e nelle sue piazze, Tre secoli di vita romana (1941), Famiglie romane (1942), L’Ottocento Romano (1943), Gli orologi (1944), Il Marchese del Grillo (1944), Modi di dire popolari romani, scritto con Ermanno Ponti (1944), Il Natale a Roma (1945) e I Cantastorie in Roma (1946).
Molti suoi saggi, articoli, monografie sono stati pubblicati nelle varie annate della Strenna dei Romanisti (gruppo di cui fece parte fin dall’inizio) e in riviste come: L’Urbe, Roma, Capitolium e Pantheon.

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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