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Messaggi del 17/07/2016

Li più fanatichi

Li più fanatichi

Lallo Fabrizi, Posta, Cappellini,
Bighimèo, Giggi Zuffi, Montanari,
lo speziale Spadorcia, Nino Ilari,
Padron Peppe Nicola, Signorini

er cantante, Gargiulo, er sor Buonini,
De Rossi, Bufolone, Pio Linari,
Sestieri er capo de l'anticajari,
Mondei, Pollastri e Simico' Marini.

Poi c'è er Sor Pietro l'oste de l'Archetto,
Oreste Raffaelli, Turchi Erico,
e ... Costantino Massi ve l'ho detto?

Pentenè, Sabatello, Tavoloni,
e un' antra massa che nun ve li dico
pe' nu' scocciavve tanto li carzoni.

Brega (Nino Ilari?)
Da "Li fanatichi p' er gioco der pallone", originariamente pubblicato su Orazio Còccola: fojo romanesco, Roma, Tip. editrice industriale, 1894

Così com'è il soneto appare poco significativo, poco più che una sfilza di nomi. La Strenna del Romanista 2008, dal quale ho tratto il volumetto "Li fanatichi p'er gioco der pallone", dedicava, invece, un non breve articoletto alla spiegazione  del gioco del pallone (sembrerebbe il gioco della pallavolo) ed all'ambiente circostante. Con tali spiegazioni anche questo sonetto sostanzialmente amorfo acquistava un valore del tutto diverso.

 
 
 

Su li conti sentirai lo strillo!

Su li conti sentirai lo strillo!

A fa' l'amore, semo tutti boni!
E qualunque scopetta,
a diciott'anni, già fa la ciovetta
pe' côre appresso a tutti li carzoni:
S'aggiusta 'gni momento li riccetti
e s'ariguarda sempre a lo specchietto
pe' véde si er rossetto
je s'è sbaffato, dopo li bacetti.
Tanto, a casa, c'è mamma che ce penza
e che s'arza abbonora la matina
e je lava, je stira, je cucina...
Lei smucina sortanto a la credenza
pe' grattà quarche cosa che je piace;
ma si trova er panino ch'è rifatto
e drentro ar piatto nun ce sta er preciutto,
è fenita la pace!
E come ce pretenne, doppotutto ...

Ma er giorno che se sposa e cià famija,
allora je s'abbasseno le penne
e s'accorge che, in fonno, a fa' la fija,
nun era tanto brutto1

E, a la matina, come je ce scoccia,
d'arzasse presto pe' la colazzione!
Se veste e je fa male la capoccia,
perché manco fenisce l'orazzione
che già barbotta: "A pranzo che se magna?".
E appena va a contà sur tavolino
li sordi ch'er marito j'ha lassato,
je ce gira er boccino: "Sì' ammazzato!
Che ce devo comprà co' 'sta migragna?
Quann'ho preso la pasta, er pecorino,
er pane, er sale, l'ojo, l'accidente,
ho fenito li sordi; se fa presto
a di' "Stasera, famme trovà er resto!".
Come fussi la serva!
Ma quella magna senza spenne gnente!
È la padrona quella che sospira!".

E quanno torna a casa, stracca morta,
la sporta è moscia e, drento ar portafojo,
nun j'è rimasta più manco 'na lira! ...
"Ma com'ho fatto a spenne tutto quanto?".
E se rifà li conti un'antra vorta:
"Pecorino e guanciale, ho speso tanto;
tanto p'er pane, tanto p'er sapone,
un chilo de spaghetti, l'ajo, l'ojo,
la verdura, er limone,
trentacinque un cascè p'er rifreddore,
duecento lire ho dato a lo stagnaro
che m'ha fatto sturà lo sciacquatore ...
e er conto sorte paro! ...
Mo' me rimane a da': "Cento ar fornaro,
perché da ieri che me l'avanzava,
duecentotrenta a quella che me lava,
e pe' magnà la pasta e la verdura,
so' mille...novecento...settantuno!
e che je do stasera a la cratura?
E noi, che se magnamo, sarvognuno?".

Giulietta Picconieri
Casa e bottega - Angelo Signorelli Editore, Roma, 1953, pag. 13-16

 
 
 

Guido Novello da Polenta

Ho già parlato di Guido Novello da Polenta (1290 circa) nel post n°1905 del 9 agosto 2015, pubblicando -unitamente a tre ballate e un sonetto- delle brevi note biografiche tratte dal libro "Rime scelte de' Poeti Ravennati Antichi, e moderni defunti." Aggiuntevi nel fine le memorie Istoriche spettanti alle loro Vite, ed Opere Poetiche. In Ravenna MDCCXXXIX. Per Antonmaria Landi. Stampat. Camerale ed Arcivesc.
Integro le notizie su questo autore con quelle riportate da Natalino Sapegno nel Volume 10, "Poeti Minori del Trecento", di La Letteratura Italiana Storia e Testi Edita da Ricciardi nel 1952.
"Guido di Ostasio da Polenta, signore di Ravenna: diede ospitalità a Dante negli ultimi anni della sua vita; morì nel 1330. Le sue rime, insieme con quelle di Giovanni Quirini e di altri, documentano la diffusione del gusto stilnovistico e della maniera toscana anche in zone di cultura periferica. Ma in Guido gli elementi del linguaggio nuovo si innestano sul fondo di una tradizione genericamente provenzaleggiante."
Le tre ballate ed il sonetto che ho già pubblicati sono i seguenti:
D' Amor non fu già mai veduta cosa (ballata);
Madonna per virtute (ballata);
Novella gioja il core (ballata);
Tanta ha virtù ciascun, quanto intelletto, (sonetto).
Il Sapegno riporta  le ballate "Novella zoia 'l core" e "D' Amor non fu zamai veduta cosa", come può notarsi in lezione leggermente diversa. Di tali ballate pubblico le annotazioni di Sapegno.

Novella zoia 'l core: la ballata nella versione del Sapegno è divisa in due strofe di 4 e di 8 versi, l'ultimo dei quali recita "come om senta il suo gentil valore". Al verso 7, Sapegno annota: montare ecc., salire a una condizione privilegiata.

D' Amor non fu zamai veduta cosa: anche questa ballata è divisa in due strofe, con lievi variazioni rispetto alla mia precedente versione. Le note di Sapegno sono assai doviziose:
4. simil: altrettanto bello e leggiadro.
5. Così porto, ecc.: il mio desiderio si modella sul'immagine della donna che la mia facoltà immaginativa mi dipinge nel cuore, quando gli occhi hanno occasione di vederla.
9. che 'l piacer, ecc.: fuoco che fa crescere ognor più intorno alla mia mente (li acquista) la bellezza di lei ('l piacer), che mi spinge sempre maggiormente a desiderarla.
11. sperando, ecc.: mentre spero che la virtù, che costringe ogni donna a sentire pietà, mi faccia aver pace di tal guerra, come è giusto che l'abbia chi la chiede con umiltà.

Ballata: Era l'aire sereno e lo bel tempo

Era l'aire sereno e lo bel tempo
e cantavan gli augei per la riviera,
e in quel giorno apparve primavera
quand'io te vidi prima, bella zoia.

Ben fosti zoia, ché tal m'apparisti
e col novo color nel tuo bel viso,
che già dalla mia mente non si parte.
E quando sono in più lontana parte,
più mi sovvien del tuo piacente riso,
sì dolcemente nel mio cor venisti
per un soave guardo che facisti
da' tuoi begli occhi che mi mirar fiso,
sì che zamai da te non fia diviso,
tanta allegrezza mi da' fuor di noia.

Note (Natalino Sapegno):
4. bella zoia: formula tradizionale ripresa anche da Dante (Vita Nova, XV, 4): "quand'io vegno a veder voi, bella gioia".
13. zamai, ecc.: Cfr. Dante, Inferno, V, 135.
14. fuor di noia: senza alcuna angoscia.

 
 
 

Er cane e la cagna

Post n°2968 pubblicato il 17 Luglio 2016 da valerio.sampieri
 

Er cane e la cagna

- Sei cambiata, Fifì mia:
- disse un Cane a 'na Cagnola -
prima annavi sempre sola,
mó vai sempre in compagnia.
Da che stai co' la Duchessa
che te porta in carettella (1),
Fifì mia, nun sei più quella,
te sei troppo compromessa!
Tenghi un cane pe' cantone (2)
che te manca de rispetto:
mó un burdocche (3), mó un lupetto,
mó un bassotto, mó un barbone...
Prima, invece, eri più bona,
nun ciavevi tanta smagna (4) ...
- Eh, lo so! - disse la Cagna -
M'ha guastato la padrona!

Note:
1 In carrozza.
2 Ad ogni angolo di strada.
3 Bulldog.
4 Smania.

Trilussa

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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