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Ingiustizia infinita

Post n°2137 pubblicato il 07 Aprile 2017 da namy0000
 

“Alle famiglie delle vittime degli atti terroristici, di ogni etnia, credo e nazionalità, dobbiamo qualcosa in più del dispiacere e della rabbia. Meritano giustizia. Dobbiamo chiedere conto allo Stato islamico delle sue azioni, del suo nichilistico culto della morte che vede il mondo in bianco e nero. dobbiamo chiedere conto a Bashar al Assad, che nella primavera del 2011 ha risposto, a chi manifestava pacificamente, con cannoni ad acqua e carri armati, e ai governi di Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Russia, Iran e di molti altri paesi, che hanno fornito sostegno e soccorso a un despota dopo l’altro in Medio Oriente e in Nordafrica. Dobbiamo chiedere conto anche a George W. Bush e a Dick Cheney, che con la disastrosa invasione dell’Iraq, nel 2003, e la successiva smobilitazione dell’esercito iracheno hanno destabilizzato l’intera regione. E ai re sauditi Salman, Abd Allah e Fahd che, finanziando la dottrina wahabita, hanno permesso all’estremismo islamico di diffondersi. Quando ero bambina, in Marocco, nessun religioso mi ha mai detto cosa fare o leggere, in cosa credere e cosa indossare. E se lo facevano, ero libera di non ascoltarli. La fede andava oltre le sue manifestazioni esteriori. Le cose cambiarono negli anni Ottanta. Eravamo in piena guerra fredda e i despoti arabi intravidero un’opportunità: potevano restare al potere reprimendo i dissidenti, soprattutto laici di sinistra, e incoraggiando la destra religiosa, con il sostegno tacito o esplicito degli Stati Uniti e di altri alleati occidentali. Nel vuoto creato dalla decimazione della sinistra laica nel mondo arabo, si fecero avanti di wahabiti, dotati di risorse finanziarie quasi infinite. Le idee wahabite si diffusero in tutta la regione, non perché avessero dei meriti (non li hanno), ma solo perché erano ben finanziate. Non possiamo sconfiggere il gruppo Stato islamico senza sconfiggere la teologia wahabita che lo ha partorito. E per farlo servirebbe un impegno e degli investimenti altrettanto sostanziosi per difendere le idee progressiste. Sono una scrittrice. Passo gran parte del mio tempo tenendo conferenze o lezioni in cui mi vengono fatte domande sull’islam, i musulmani e le guerre che oggi dilaniano il Medio Oriente. Cerco di spiegare e di contestualizzare, ricordare alla gente la storia e la politica, inserendo qui e là un po’ di cultura e arte. Ma puntualmente, dopo qualche mese, e dopo un altro attentato terroristico, il lavoro che faccio appare inutile. Che possibilità ha una persona come me rispetto al potere di reti con grandi risorse finanziarie? Le decapitazioni, le crocifissioni, la distruzione del patrimonio culturale compiute dallo Stato islamico non sono una novità. E queste cose continuano a succedere in Arabia Saudita. Quest’anno il governo di Riyadh ha decapitato più persone di quante ne abbia decapitate lo Stato islamico; ha perseguitato sciiti e atei, e ha distrutto siti archeologici di grande valore culturale e religioso intorno alla Mecca e a Medina. L’Arabia Saudita sta bombardando lo Yemen da 7 mesi. Eppure, quando il terrore colpisce, non viene chiamata in causa, e fugge dalle sue responsabilità. con il sostegno dell’Occidente, che compra petrolio dai despoti e gli vende armi, e intanto si riempie la bocca di discorsi sui diritti umani. Non ho più pazienza con chi sostiene che i musulmani non prendono posizione. Lo fanno ogni giorno: sono le principali vittime dei jihadisti, e sono quelli che più li contrastano. È un insulto alle centinaia di migliaia di vittime musulmane del terrorismo assimilarle ai folli che dispensano terrore. Lo Stato islamico colpisce chiunque non aderisca al suo culto: musulmani, cristiani ed ebrei, credenti e non credenti. Vorrei poter fare qualcosa per le vittime del terrorismo, ma sono una scrittrice e le parole sono l’unica cosa che ho. Ma voglio preservare e celebrare quello che i miliziani desiderano distruggere: una vita multietnica, multiconfessionale e multiculturale” (da La lotta dei musulmani contro l’integralismo, Laila Lalami, The Nation, Stati Uniti, Internazionale n. 1129 del 20 nov. 2015). 

 
 
 
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