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Messaggi del 18/02/2017

Un ergastolano e il suo giudice

Post n°2042 pubblicato il 18 Febbraio 2017 da namy0000
 

E.F. e Salvatore: un ergastolano e il suo giudice; si scrivono da 28 anni. e la cosa strana è che ha cominciato il giudice. ‹‹L’udienza è tolta››. Il maxi-processo alla mafia catanese finiva così, come tutti. Era cominciato a Torino nel 1985. ‹‹Quella mossa››, racconta il giudice oggi in pensione, ‹‹il dedicare un supplemento di tempo ad ascoltarli, su questioni che non riguardassero il processo, ha permesso di tranquillizzare l’atmosfera tesissima delle prime udienze e di gestire un processo, in cui, 242 imputati, ogni udienza rischiava di diventare una battaglia››. È in uno di quei colloqui, l’ultimo prima della sentenza, che Salvatore, 28 anni, già boss dal curriculum criminale di tutto spessore, si lascia andare a una frase: ‹‹Presidente, lei ce l’ha un figlio? Se io nascevo dov’è nato suo figlio, adesso farei l’avvocato››. Il giudice, nei giorni che seguono, fa il suo lavoro: piovono ergastoli, anche sugli anni verdi, già deragliati, di Salvatore. Soprattutto su di lui: ‹‹Giudicare è applicare la legge e la legge funge in parte da riparo ai turbamenti della coscienza, perché tante volte la pietà ti potrebbe condizionare. I margini del giudice stanno solo negli snodi che la legge ti dà laddove si parla di discrezionalità. Però discrezionalità non è mai nel giudicare se quella persona abbia commesso o meno il reato, è nella gradualità delle sanzioni e con i delitti “proprio brutti” di Salvatore vie d’uscita non ce n’erano››. A quel punto, il processo per loro è terminato. Sono destinati a non incontrarsi più. È in quel momento che il giudice fa una cosa “irrituale”: ‹‹Istintiva, insolita per me portato per carattere e per mestiere a ponderare››. Pesca un libro, Siddharta, dalla propria libreria e lo manda a Salvatore, in carcere, accompagnato da una lettera. È l’inizio di una corrispondenza vera che dura ancora 28 anni dopo. Di solito sono i detenuti a scrivere ai loro giudici, mai – che si sappia – il contrario. ‹‹Il bisogno di non lasciare sola quella persona che con quella frase mi aveva in qualche modo chiesto aiuto››. Avrebbe potuto temerla, Salvatore una corrispondenza con un giudice: ‹‹Ho capito, molto dopo che, continuando a scrivermi, ha rischiato di passare, nel suo mondo, per un “infame” che collaborava con il magistrato, anche se è stato sempre chiarissimo a entrambi che nulla da me avrebbe potuto aspettarsi né mai ha chiesto››. Il giorno in cui, non troppi mesi fa, Salvatore ha scritto che l’aveva fatta grossa, scusandosi di aver tentato senza successo il suicidio, il giudice gli ha chiesto il permesso di raccontare in un libro la vicenda del loro filo di inchiostro.

 
 
 

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