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Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi del 03/06/2017

Vedo i miei figli

Post n°2223 pubblicato il 03 Giugno 2017 da namy0000
 

“Vedo i miei figli di 16 e 13 anni e i loro amici, passare talvolta da un amore ad un altro con leggerezza. Si innamorano, si lasciano e mi chiedo se imparino qualcosa. Si vedono, si piacciono, si mettono insieme, ma spesso lo fanno in modo superficiale. E quando si lasciano, qualche volta si arrabbiano, ma altre volte gli passa dopo pochissimo, come se niente fosse successo. Vorrei parlare loro, ma non è facile – Loretta.

Cara Loretta, bisogna parlare d’amore con gli adolescenti. Non di sesso, ma proprio di amore. Certo, sono in una fase di sperimentazione e di apprendistato. Ma proprio per questo, senza scandalizzarsi dei loro tentativi magari un po’ superficiali, occorre pensare insieme a loro una visione più alta e completa. Propongo di partire da quel capolavoro che è Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry. Il suo cuore sono le pagine del dialogo tra la volte e il principe. Esse ci aiutano a capire che l’amore non è tanto questione di sentimenti, ma è il risultato di un percorso, di un avvicinamento progressivo e rispettoso. Quando la volpe chiede al principe di essere addomesticata, cioè di creare un legame forte fra loro, in realtà gli propone una vera e propria educazione sentimentale. Basata non sull’emozione o sul sentimentalismo ma sulla disciplina. Dapprima infatti la volpe chiede pazienza al ragazzino: per addomesticarla, deve sedersi un po’ lontano da lei, nell’erba, e avvicinarsi poco per volta, giorno dopo giorno. Senza dire nulla, perché le parole sono fonte di malintesi. E venendo tutti i giorni alla stessa ora, per creare un’aspettativa e far sì che la presenza sia prima nella mente e poi nei corpi. Occorre un vero e proprio rito, perché solo così si dà valore ai giorni e alle ore. Infine, bisogna riconoscere e accettare anche il distacco. Che genera dolore ma consente di capire pienamente l’unicità dell’altro. Nel momento della separazione, la volpe rivela il suo segreto al piccolo principe: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi. È il tempo che viene dedicato ad addomesticare la volpe o a coltivare una rosa. E, potremmo aggiungere, a crescere un figlio o a consolidare un amore. È il tempo della cura donata a qualcuno che rende il nostro prossimo così importante. Nell’attuale società dell’immagine e di Internet, queste pagine sono un invito a esercitare una visione non di superficie, che richiede lo sforzo del pensare. Andare al di là delle emozioni immediate per dare nome a ciò che si prova. Riflettere sul profondo rispetto che si deve all’altro. Accettando anche la distanza che c’è tra noi.” (Fabrizio Fantoni, Psicologo e psicoterapeuta, FC n. 22 del 28 maggio 2017). 

 
 
 

Intervengo volentieri

Post n°2222 pubblicato il 03 Giugno 2017 da namy0000
 

“Gentile direttore, intervengo volentieri sullo scambio d’opinioni sulla parola badante. Ho 86 anni e altrettanti ne ha mia moglie, che è ormai invalida perché ha una forte osteoporosi, si è rotta due volte il femore, quattro volte un braccio, e inoltre ha subito un grave distacco della retina, un sezionamento dello stomaco per asportare un tumore, e ha anche una forte diminuzione dell’udito e diverse altre patologie minori. Non si lamenta perché dice che a lamentarsi non starebbe meglio. Talvolta ricorda le parole di Isaia, là dove dice che i ciechi vedranno, i sordi udranno e gli zoppi salteranno come cervi, e si domanda se sarà proprio vero, e per quanto tempo dovrà attendere ancora. Per quanto mi riguarda sto tuttora abbastanza bene (o per dir meglio: acciaccatamente bene) e ancora non mi mancano le forze. Ora, dopo ben 66 anni di felice e travagliato amore coniugale, che dovrei fare? Cercare una badante che l’accudisca? Me ne guardo bene, ho lasciato tutte le altre attività per dedicarmi totalmente a lei. Così mi domando se ho inventato un nuovo mestiere: faccio il badamante. E ringrazio il cielo di poterlo fare, perché con la mia sposa stiamo così bene insieme che mi sembra il più bel mestiere del mondo. Antonio T. – Roma” (Avvenire, 2 giugno 2017). 

 
 
 

Tutti i figli di Adamo

Post n°2221 pubblicato il 03 Giugno 2017 da namy0000
 

(da) Che cosa ci fa umani. 

(Ferdinando Camon, Avvenire, venerdì 2 giugno 2017)

 

«Tutti i figli di Adamo formano un solo corpo, / sono della stessa essenza. / Quando il tempo affligge con il dolore / una parte del corpo / le altre parti soffrono. / Se tu non senti la pena degli altri / non meriti di essere chiamato uomo». Versi bellissimi. Semplici e potenti. Sono di un poeta persiano e stanno all’entrata del Palazzo dell’Onu, a New York. L’umanità è composta di miliardi di uomini, la morte di un nemico la diminuisce come la morte di un amico. A rigore, se il nemico è uomo come me, non posso chiamarlo nemico. La caduta dei nostri è una tragedia. La caduta degli altri è una vittoria. Tutti puntano sulla vittoria. Le stragi, anche le stragi, contano non in proporzione alla loro vastità, ma in proporzione alla loro capacità di suscitare emozione in noi occidentali. Noi non siamo umanità, cioè un unico corpo collettivo, che comprenda tutti gli uomini, come sognava il poeta persiano. Se lo fossimo, una strage sarebbe un’amputazione del nostro corpo, e una strage di queste dimensioni sarebbe un’amputazione invalidante, non potremmo più vivere come prima. Dovremmo bloccarci. E se invece non ci blocchiamo, ma rimuoviamo la strage dalla nostra informazione, vuol dire che non formiamo un corpo unico, siamo tanti corpi separati, e il dolore degli altri non tracima nel nostro. Il poeta persiano dice: «Non meritiamo di essere chiamati uomini ». Fermiamoci su questo verso. Qui c’è una nuova idea di uomo, e vale la pena di tirarla fuori: uomo è chi soffre se vede che gli altri soffrono. E, in un certo senso, muore se vede gli altri morire. No, non siamo umani. Il nostro compito è lavorare per diventarlo.

 
 
 

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