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Pronto soccorso

Post n°2295 pubblicato il 01 Agosto 2017 da namy0000
 

Pierdante Piccioni, medico, nel suo libro Meno dodici, rievoca la sua drammatica vicenda, iniziata il 31 maggio 2013. In quel giorno, che cambiò radicalmente la sua vita, era finito fuori strada con la sua macchina: una botta al cervello, sei ore di coma. Quando si era risvegliato, gli ultimi dodici anni erano stati cancellati. Non ricordava più che cosa era accaduto in quel periodo, nella sua esistenza e nel mondo attorno a lui. Un buco nero sul quale si affacciavano volti, voci, persone sconosciute. A cominciare dai due figli che ricordava bambini e non riconosceva nei “marcantoni” in jeans e maglietta che lo chiamavano papà. Anche la moglie, Assunta, non l’avrebbe riconosciuta, se non fosse stato per gli splendidi occhi azzurri che lo guardavano con apprensione.

Una lesione alla memoria episodica aveva fermato l’orologio della sua vita al 25 ottobre 2001, quando era un semplice medico. Mentre ora, gli dicevano, era primario del Pronto soccorso dell’Ospedale di Lodi, consulente del direttivo dell’Academy of Emergency Medicine and Care. Quel buco nero fece a pezzi la sua esistenza. Si sentì un marziano, un uomo del passato obbligato a vivere nel futuro. ‹‹Giorno e notte mi ossessionava una domanda: dov’è finita la mia vita? Quel tempo perduto che mi aveva tenuto per mano senza che io lo sapessi e che avevo ritrovato senza poterlo più vivere, tutte quelle cose che non riconoscevo, che forse erano state mie oppure no, quei volti che mi guardavano come una persona che si conosce da sempre, mentre io non ricordavo niente di loro… Ero estraneo a tutti, estraneo a me stesso››, ha scritto nel primo libro.

La risalita da quell’abisso di rimpianti fu drammatica. Non ricordare i momenti belli e importanti delle stagioni familiari e anche quelli tristi, la morte dell’amatissima mamma, la malattia della moglie; la struggente malinconia di non ricordare le emozioni, le attese, le scoperte che danno sapore, colori, spessori alla vita. La tentazione di arrendersi e accettare la proposta della Direzione sanitaria di “andare in pensione” per invalidità lo straziò a lungo insieme con la solitudine di chi non si sente capito e creduto.

Alla fine viene la passione per la medicina e per quegli ammalati che aveva messo sempre al primo posto: l’amore per la famiglia, la fede, maturata negli anni del suo “albero degli zoccoli”, terra di provenienza, la scuola di don Mazzolari. Con uno studio “matto e disperato”, superando prove difficili, ha ottenuto di essere reintegrato nell’antico ruolo.

Ma tutto era cambiato per il “dottor Amnesia”, che continuava a vestirsi con il vecchio cappotto grigio e le giacche dell’altro millennio. Oggi Pierdante Piccioni non si sente più solo un medico ‹‹ma un paziente, e come dice la parola stessa che mi definisce, adesso possiedo ciò che prima non avevo: la pietà. Per me stesso e per gli altri››.

Nominato primario del Pronto soccorso di Codogno, scenario del secondo libro, Pronto soccorso (Mondadori), inaugura un rapporto nuovo con gli ammalati, privilegiando l’incontro con la persona e con la sua storia. Passare dalla parte dei pazienti significa non identificarli con il referto, ma ascoltare le loro storie, stabilire un rapporto di empatia e di accoglienza, ricordarsi sempre che per un medico ‹‹esiste solo una cosa: la vita. Noi dobbiamo salvare la vita. E la vita è una sola per tutti››.

Questo spostamento di prospettiva non è facile da realizzare nel caos degli affollati pronto soccorsi di oggi, con colleghi spesso demotivati, regole rigide e intralci burocratici. Non è stato facile per il “dottore amnesico”, segnato da una invalidità che lo faceva sentire vicino a quegli “ultimi” per i quali faceva il tifo. Non si ritorna più indietro quando d’impara che ‹‹malati siamo tutti, perché è una condizione della vita, come la morte››.

Con questa consapevolezza Pierdante Piccioni ha fatto una scelta. Si è dimesso da primario per dedicarsi a un progetto sanitario pilota, rivolto agli anziani, ai vecchi delle case di riposo, i più dimenticati, attraverso una collaborazione tra medici che escono dall’ospedale per incontrare i loro colleghi sul territorio. Per ricominciare dai più fragili una nuova umanizzazione della medicina. (Mariapia Bonanate, FC n. 31 del 30 luglio 2017).

 
 
 

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