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Messaggi del 20/04/2018

L'inizio di un nuovo sentiero

Post n°2611 pubblicato il 20 Aprile 2018 da namy0000
 

Il ’68 fu anche l’inizio di un nuovo sentiero. “Mi ritrovai ventenne al secondo anno di università nel dubbio: studio e faccio finta di non vedere e di non capire? Mi risultava impossibile guardare solo al famoso ’68 come a uno stravagante terremoto improvviso, c’era stata dappertutto una lunga preparazione per entrare in quel tempo sconosciuto e nuovo. Era perciò la prima occasione, per quel giovanotto che ero, di trovarsi dentro un trambusto confuso, ma inevitabile, il primo vero test di quella scoperta sempre difficile, per cui il Regno di Dio pulsa nelle vicende umane, anche caotiche, e non solo e soprattutto in luoghi protetti e riparati. E allora cosa ho imparato da quegli anni così tumultuosi e tanto discussi?

Alcune luminose direttrici, che poi mi hanno accompagnato come uomo, padre, docente, formatore. Che i giovani si portano in dote dei doni, ma, se non li si ama, non escono allo scoperto, e quei doni possono marcire miseramente. Che, se ti fai i fatti tuoi, nessuno può dirti niente, ma ormai, nel momento in cui ti si sono aperti gli occhi sugli occhi degli altri, cambi davvero, e quindi, se non c’era un’accoglienza seria per gli studenti da fuori città, il loro problema era anche il mio, come ebbe a dire un certo don Milani… E inoltre che non era ancora chiaro in giro che una donna avesse lo stesso valore di un uomo, e ancora che qualcuno, troppi, pensavano ci fossero per diritto di nascita uomini superiori ad altri uomini, e che qualcuno, proprio in quei mesi sessantottini moriva solo per questo, vedi il caso di Martin Luther King. Che povertà, malattie, disabilità non potevano più essere nascoste o ignorate, ma affrontate e condivise. Che ogni guerra, violenza o sopraffazione, specie se in nome del denaro e del potere di pochi, erano incompatibili con quello che ci si diceva negli incontri associativi, nelle chiese e con quanto trasmesso nel Vangelo…

Ci furono poi devianze, gravi errori, prepotenze, assurdità e persino orrori in quella stagione e anche dopo? Sì, certo, purtroppo, come accade durante ogni tempesta, ma chi l’ha vissuta dal di dentro e può dire semplicemente ‹‹c’ero anch’io››, sa che quel passaggio non ha lasciato solo macerie, ma era l’inizio di un nuovo sentiero che allargava le strettoie di coscienze assuefatte al privato dei fatti propri. Qualche metro più in su, insomma, in salita, più in alto, certo, per vederci meglio… sapendo che indietro non si torna per quanti intensi tentativi si stiano facendo – S.M.” (FC n. 16 del 22 aprile 2018).

 
 
 

Al mondo ci sono

“Al mondo ci sono oltre 40.000.000 di non vedenti. La maggior parte di loro avrebbe potuto evitare la cecità: sarebbe bastato fare delle cure oculistiche adeguate fin dall’infanzia. Purtroppo, milioni di persone non vi hanno accesso e sono obbligate a vivere per sempre nell’oscurità. Scegliere una strada diversa è possibile. Durante un soggiorno in India, mentre lavoravo a una storia su una cura per la cecità, sentii parlare di una scuola per studenti ciechi. In India, dove moltissimi non vedenti sono condannati a una dura e spesso breve vita d’elemosina, strutture come questa sono difficili da trovare e rappresentano un raro investimento sulle cure per non vedenti. La scuola, inoltre, è collegata a un ospedale che opera gratuitamente i più poveri per aiutarli a guadagnarsi un posto nella società. Il primo giorno, notai un gruppo di ragazzi albini: l’albinismo è un disordine congenito caratterizzato da un’assenza parziale o totale di pigmenti negli occhi, nei capelli e nella pelle. Le persone che ne soffrono hanno solo il 5% della vista: nonostante siano considerati non vedenti, riescono a distinguere le sagome di ciò che hanno davanti. L’albinismo non li rende predisposti a sviluppare solo il cancro alla pelle, ma li porta anche a perdere la vista. Durante quel primo viaggio realizzai un ritratto formale di quei ragazzi, e nel corso degli anni sono tornato più volte nella scuola per fotografarli man mano che crescevano. Spero un giorno di poterli ritrarre in ruoli produttivi della società indiana mentre mettono a frutto le abilità che hanno acquisito sui banchi di scuola. Sarebbe un’enorme soddisfazione. Per un fotografo, la vista è tutto: se non vedessi, non potrei scattare, e se non potessi scattare, non saprei cosa fare. In un certo senso, chi non vede rappresenta la mia paura più grande. Eppure, quando queste persone si scrollano di dosso le sofferenze che vivono, e dimostrano il proprio valore alla società, incarnano il trionfo dello spirito umano. Questa scuola ha dato ai suoi studenti, provenienti spesso dai contesti più disagiati, la consapevolezza di valere come esseri umani, offrendo loro solidarietà e ambizioni, e cambiandone radicalmente la vita. Aver avuto l’occasione di fotografarli, ha cambiato di certo la mia” (Brent Stirton, L’Ambassador Canon, Internazionale n. 1251 del 19 aprile 2018).

 
 
 

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